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Per un inquadramento storico del linguaggio di Fontana

Cap I.3 La ‘scuola milanese’ a Milano: Annibale Fontana

II. Per un inquadramento storico del linguaggio di Fontana

Una prima conseguenza dello stato incerto delle attribuzioni è il fatto che le fonti figurative di Fontana non siano mai state evidenziate debitamente. Nella sua trattazione del 1929, Ernst Kris presentò Annibale come una straordinaria sutura tra la cultura figurativa romana e quella diffusa dalle stampe di Albrecht Altdorfer (1480-1538), mentre a partire da Adolfo Venturi (1937)418, il linguaggio dello scultore fu posto sotto la tutela di numi distanti, ma ‘nazionali’ come Leonardo (sicuramente più influente sulla plastica lombarda agli inizi del XVI secolo), Michelangelo e Raffaello. Confronti con la maniera di Tintoretto, già avanzati dal Kris, furono ripresi in termini più generici anche dalla Becherucci, che parlò di fonti visive veneziane419. La critica più recente (soprattutto con Spiriti), pur proponendo riferimenti meno attardati (Pellegrino Tibaldi, Baccio Bandinelli, Bartolomeo Ammannati), ha mantenuto però una valutazione analoga, caratterizzata dall’impressione di un “eclettismo” incontrollato.

416 Tra le quattro versioni esistenti della medaglia di Cristoforo Madruzzo (nelle quali il diritto rimane sempre

identico), sono senz’altro fontaniane solo quelle in Toderi e Vannel 2000, I, pp. 73-74, nn. 136-137. Maggiori incertezze suscita il rovescio della n. 135, raffigurante l’impresa della fenice con data “MDXXXXVI”: è naturalmente ammissibile che una medaglia commemori un evento alquanto anteriore, ma qui sono proprio la qualità mediocre della raffigurazione ed il suo stile a suscitare perplessità sull’attribuzione a Fontana accreditata da Toderi e Vannel. La variante in questione potrebbe invece essere un ibrido antico (già schedato in Van Mieris 1732-35, III, p. 107 [fig. 2]). Stupisce invece che, tra i microritratti fontaniani del Madruzzo, non sia stato riconosciuto come ibrido il tipo con rovescio con Ercole che debella i mostri e legenda “DABIT DEVS HIS QVOQ(ue) FINEM” (lo danno per completamente autografo ancora Andrea Spiriti, in DBI, L, 1998, p. 615; Toderi e Vannel 2000, I, p. 74, n. 136): l’intera figurazione del verso deriva infatti dalla medaglia di Consalvo de Córdoba (Toderi e Vannel 2000, I, p. 58, n. 89), per la quale rimane credibile l’attribuzione a Leone Leoni. Il fatto di accettare a titolo di mere varianti i due pezzi che qui scorporiamo dal catalogo di Fontana non ha giovato al riconoscimento dell’autografia della sua unica medaglia del Madruzzo.

417 Riserve sull’attribuzione delle medaglie del Madruzzo sono espresse da Attwood 2003, I, p. 129 (“the

assured compositions and forms of Fontana’s medals are absent in those listed here under Annibale”). Anche l’argomento cronologico addotto da Pollard per distinguere “ANIB” da “Fontana” è discutibile: per la medaglia di Giovambattista Castaldo, che lo studioso data al 1552 per il riferimento alla presa della città ungherese di Lippa, la data vale solo come post quem. Non è purtroppo noto a che data il Castaldo rientrasse a Milano (secondo Gaspare De Caro, Castaldo, Giambattista, in DBI, XXI, 1978, pp. 562-566, 565, “almeno dal 1555”), ma è chiaro che il 1555 fissa un post quem più avanzato per l’incontro con Fontana: l’allusione alla riconquista di Lippa, capolavoro militare del Castaldo, valse probabilmente come motivo celebrativo personale anche dopo la chiusura della campagna d’Ungheria (1556), ed è possibile che i tre tipi di rovescio realizzati da Fontana per il generale possano essere distribuiti fino a dopo il 1565 (post quem per la morte del Castaldo).

418 Venturi 1937, pp. 466-482. 419 Becherucci 1934, p. 55.

Una volta recuperate, attraverso le medaglie, le prime prove del nostro, le sue predilezioni paiono invece molto più precisabili. Nascendo intorno al 1540, come vuole il suo epitaffio a Santa Maria sopra San Celso, Fontana aprì gli occhi su di una Milano la cui cultura era appena stata trasformata da due avventi artistici di segno diverso: da un lato Leone Leoni, che dal 1541 prese a coniare medaglie e dal 1542 a incidere coni per monete, e l’eredità multiforme della grande stagione medaglistica appena conclusasi a Roma; dall’altro, il confronto con Gaudenzio Ferrari (trasferitosi nel capoluogo nel 1539) e più in generale con la tradizione figurativa lombarda.

La medaglia che celebra Cristoforo Madruzzo come restitutor Mediolani, senz’altro una delle prime opere note di Fontana (1556-57), ci può aiutare ad attribuire il giusto peso a entrambe le sollecitazioni. La figura del Cardinale sul rovescio, velata come un imperatore romano sacrificante secondo il tipo iconografico monetale e in accordo con la sua dignità di vescovo, rappresenta anche – nei panneggi delle maniche e della tunica – una rilettura originale degli stilemi di Gaudenzio e di Aurelio Luini420. Anche nei due ritratti di Consalvo Hernández de Córdoba (uno con chiome fluenti, l’altro con capelli ricci), le forme morbide e piene del volto, le ritmiche ciocche uncinate ed il grafismo delle arcate orbitali si riallacciano all’opera di Andrea Solario maturo e del Moderno (una cui invenzione è rielaborata nel rovescio)421. Il giovane Fontana si inserì insomma nell’alveo della tradizione moderna della microplastica lombarda, dimostrandosi sensibile alla pittura contemporanea422. D’altro canto, certe sigle centroitaliane dei panneggi (per esempio nella Dacia raffigurata sul rovescio della medaglia di Giovambattista Castaldo) denunciano un aggiornamento sui fatti artistici toscani che ha fatto talora pensare ad un precoce viaggio di Fontana a Firenze (Spiriti). Ma la personificazione della Dacia trova precisi riscontri in una medaglia di Domenico Poggini del 1558, oltre che nella celeberrima medaglia celliniana del 1537 con Mosé che fa scaturire la sorgente423.

La sua particolare predisposizione per la lavorazione del cristallo di rocca e la fusione di microritratti rese Annibale attento al lessico di Giovanni Bernardi e di altri intagliatori e medaglisti centroitaliani, le cui opere giunsero in Lombardia per lo più in forma di placchette ed effigi metalliche424. I nudi che Fontana modella nella medaglia con la

420 Patrizia Valerio (1977, p. 148, n. 115) avanza l’ipotesi che questo tipo sia un ibrido “incerto e poco curato

nella fattura”. L’idea, basata su di un esemplare di qualità media (CRNM), è però da accantonare: i leggeri scarti stilistici rispetto alle medaglie successive sono infatti pienamente giustificabili sulla base della giovane età dell’artista e, come nota la stessa Valerio, il rovescio non può che risalire agli anni in cui Madruzzo era Governatore di Milano (1556-57) e Fontana, diciassettenne, era già attivo in città. Per il modello monetale cfr. infra il cap. II.4.

421 Il rapporto tra l’opera di Moderno, originariamente una placchetta prima di ritratto, e la medaglia di

Fontana è qui discusso nel cap. II.4.

422

È suggestivo in tal senso il canone di scultori tracciato da Pellegrino Tibaldi (Pellegrini ed. 1990, p. 359) nel suo trattato su L’architettura (risalente al suo periodo milanese e sicuramente anteriore al 1596), dove Fontana è annoverato i lombardi capaci di gareggiare con l’antico assieme al più anziano Cristoforo Solari (sulla cui fortuna cfr. Agosti 1986, pp. 57-65) e a Francesco Brambilla, che ultimò i lavori abbandonati da Annibale alla sua morte. I toscani cui Fontana è accostato nel medesimo contesto sono Donatello e Baccio Bandinelli, i ferraresi Alfonso e Girolamo Lombardi; Mantova è rappresentata solo da una figura tutto sommato secondaria come Andrea Romano, attivo come stuccatore a Palazzo Te intorno al 1530 nella Loggia Grande e autore nel 1574 di un busto di Alfonso I Gonzaga che si trova nel parco del Castello di Novellara (cfr. Günter Meissner, Andrea Romano, in AKL, III, 1992, p. 550).

423

Toderi e Vannel 2000, II, risp. p. 492, n. 1454, p. 466, n. 1379.

424 La diffusione padana delle opere di Giovanni Bernardi non sfuggì al Kris (1929, p. 70), ma è rimasta

ignorata da chi si è occupato di Fontana scultore e plasticatore. Sulla questione dei rapporti tra le invenzioni di Giovanni Bernardi e i disegni preparatori forniti da altri artisti, come Perin del Vaga e Michelangelo Buonarroti, cfr. Kris 1929, pp. 62-71; per un catalogo delle placchette di derivazione bernardiana cfr Donati 1989, pp. 206-224, 228-264. Sul ruolo delle invenzioni di Bernardi nella formazione di Francesco Tortorino, si veda invece Venturelli 1998 (3), p. 200; sui rapporti tra la produzione più tarda di Giovanni Bernardi e

“TRANSILVANIA CAPTA” potrebbero essere una rielaborazione lombarda delle forme che Giovanni aveva appreso dai disegni preparatori del Buonarroti (e che Fontana trovava anche nell’opera di concittadini più o meno coetanei come Giulio Taverna ed i fratelli Sarachi), oppure rispecchiare lo studio di rovesci celliniani come quello con Fortuna e Virtus del 1537 (che Annibale seguì da vicino anche nello schema iconografico in una medaglia la cui paternità verrà discussa tra breve, quella di Bernardo Spina)425. Fu proprio alla luce di questa precoce apertura al mondo della scultura tosco-romana che Annibale poté elaborare uno stile la cui tenuta fu sempre vivace, anche a fronte di artisti come Leone Leoni.

Buona parte dei tagli ritrattistici adottati da Annibale ha infatti origine nel catalogo dell’aretino: in opere mature come la medaglia di Francesco Ferdinando d’Avalos (1560- 63) la rilettura di alcune soluzioni del maestro toscano (il troncamento mistilineo del microritratto di Ferdinando d’Asburgo, i panneggi cha dissimulano l’interruzione della figura nel rilievo con Carlo V oggi al Museo del Prado) è tanto più evidente quanto più ne diverge l’effetto sinuoso e fisiologicamente posato426. Anche nei rovesci Annibale riadattò i modelli di Leoni aumentando l’aggetto e decentrando il punto di massimo rilievo, mentre nei diritti stabilì rapporti più regolari tra il busto e i margini dell’iscrizione: la scena della Battaglia di Ceresola nella medaglia di Consalvo senior, ad esempio, si rifà con nuova grazia alle medaglie leoniane di Ferrante Gonzaga e di Consalvo Hernández junior.

Già a partire dal ritratto madruzziano del 1556, riprese e abbandoni del legato leoniano si susseguono durevolmente nell’opera di Annibale: è evidente che per Fontana le novità leoniane non costituirono un momento di ridiscussione e di aggiornamento maturo (come furono per Iacopo da Trezzo), ma piuttosto una situazione di partenza profondamente condivisa, un repertorio di invenzioni comprese nella loro efficacia e riutilizzate senza prona sudditanza. Le convenzioni fissate negli anni quaranta e cinquanta erano ormai capaci, nella loro riconoscibilità, di inquadrare tout court i ritratti in precise classi (come vedremo nel cap. II.4), e furono vissute da Annibale e da altri artisti milanesi come condizioni preliminari all’invenzione.

Fontana fu l’unico artista del bronzo che osò ingaggiare un confronto non superficiale con le forme leoniane, imponendo alle proprie una simile tridimensionalità, una forte tenuta prospettica nell’impaginazione delle lettere e del piano di posa e uno studio mobilissimo del nudo. La medaglia in cui il generale Castaldo riceve la sottomissione dei signori di Navarra e Transilvania si presta bene a mostrare come, partendo da rovesci leoniani con più personaggi complanari che insistono su di una mensola di terreno (per esempio, quella della medaglia di Filippo II con Ercole al Bivio), Fontana mantenesse una fisionomia stilistica assolutamente autonoma e sviluppasse una ricerca diretta ad ampliare le dimensioni delle figure e a variare l’invaso dello spazio ‘abitato’: la doppia ghiera dell’iscrizione, passando sotto una parte della figurazione, aiuta a distinguere il primo piano dal secondo. I quattro

quella della bottega dei Sarachi cfr. Cupperi, in Avagnina, Binotto e Villa 2006, p. 281, n. 239; sulla formazione di Giulio Taverna e le sue “fonti figurative” cfr. soprattutto Kris 1930, pp. 548-549.

425

Fortuna e Virtus sono raffigurate sul rovescio della medaglia celliniana di Francesco I di Valois (Pope- Hennessy 1985, p. 81; Toderi e Vannel 2000, II, p. 467, n. 1380). La conoscenza della medaglia di Benvenuto motiva anche il fatto che nel rovescio della medaglia di Consalvo Hernández Fontana modifichi il suo modello, una Scena di battaglia del Moderno, proprio per inserire la figura michelangiolesca di Virtus: anche il riadattamento della Notte per la Sagrestia Nuova di San Lorenzo entro uno schema iconografico di battaglia era già presente nella medaglia di Cellini. Una seconda attestazione della figura e dello schema iconografico celliniano (privato però del cavaliere) circolò in Lombardia negli stessi anni sul rovescio della medaglia di Iacopo Antonio Pallavicini (Toderi e Vannel 2000, I, p. 71, n. 133), che attribuiremo al monogrammista “PPR” nel cap. seguente.

426 Sul rilievo marmoreo con Carlo V in armatura cfr. Coppel Aréizaga 1998, p. 80, n. 14. Sulle due medaglie

personaggi, allungati fino ad occupare tutta l’altezza del campo, non occultano però il paesaggio, costituito da una linea d’orizzonte punteggiata d’alberi: evitando ogni congiunzione tra il primissimo piano e lo sfondo, Annibale ottiene infine una vertiginosa veduta dal basso. È alla luce di simili confronti che si comprendono la fortuna di Annibale come inventore “studiosissimo” (F. Borromeo)427, l’attenzione rivolta alle sue placchette da altre botteghe428, ed il credito con il quale la sua irrequieta ricerca stilistica tra fonti plurime venne additata dal Trattato del Lomazzo nel 1584:

Ma tutta la forza di questo ritrarre quello che nella mente alcuno s’imprime consiste nell’avere una grandissima avvertenza di conoscere se stesso e quella che la sua mente desidera, e con facilità e grazia esprimerla fuori in opera, eleggendo quello di bello e buono che negl’altri vede. La qual cosa è molto difficile, ancor che appresso a molti sia stato facile, sì come appresso il nostro Fontana, il quale ha eletto la maniera più bella de’ panni e de’ nudi che si sia già mai potuto eleggere429.

Non sarà un caso, del resto, se la maniera del Fontana verrà adottata come modello per le esercitazioni dell’Accademia Ambrosiana430, presso la quale rimangono oggi suoi rilievi con l’Adorazione dei Pastori, la Nascita della Vergine e il Transito di Maria, e ancor più se ne conservavano in passato431.

Poco dopo i suoi precoci esordi come medaglista, comunque, il referente principale di Annibale pare divenire Giulio Campi: la grafica del cremonese lo guida a forme più aperte, a panneggi sinuosi e innervati, ad anatomie tonicamente nervose. Nella sua audace e originalissima presentazione a mezzo busto frontale, la medaglia fontaniana di Lomazzo rimedita nei panneggi della tunica oratoria gli stilemi tipici di Giulio − forse rinverditi dalla scopertura della magistrale pala di Santa Maria della Passione nel 1560. Del resto, se confrontiamo le fattezze regolarizzate, modulari e compostamente accigliate del ritratto

427 Borromeo 1994 (1624), p. 82. 428

Un caso estremamente interessante della circolazione di invenzioni fontaniane è formito da Olga Raggio (1971, p. 2), che segnala la ripresa di un’invenzione per il Ratto di Deianira negli stucchi di Villa Pamphili a Roma. Sulla fortuna delle soluzioni ritrattistiche di Fontana cfr. infra, cap. I.4.

429 Lomazzo 1973-74 (1584), pp. 381-382. Un significato analogo al passo sopra citato ha la celebrazione di

Annibale da parte di Natura, che egli ha superato, nel sonetto In mòrt dor compà Ribeud scoltó dra Vall, scià dicc Annibal Fontanna (post 1587), in Lomazzo 1993 (1589), p. 136: “perché r’onó spessa Natura e a tì [Mort] ra toa possanza heva levad”.

430 Sappiamo per esempio che nel 1622 la prima classe dell’Accademia dovette disegnare un Angelo di

Annibale e l’Adorazione in terracotta, mentre la seconda classe studiò un suo nudo e la più avanzata copiò un calco del Laocoonte; altre esercitazioni riguardarono nello stesso anno l’Assunta di Santa Maria sopra san Celso: cfr. Nicodemi 1957 (2), pp. 672-673; Bora 1992, pp. 360-361; Agosti 1996 (2), pp. 151-152.

Secondo Bora, l’apprezzamento per i soggetti religiosi di Fontana partì da San Carlo, antico possessore dell’Adorazione dei Magi dell’Ambrosiana; sulla base di un passo dei Rabisch (Lomazzo 1993 (1589), pp. 144-145) Barbara Agosti 1996 (2), pp. 158-159, ha però ipotizzato che almeno alcune opere di Annibale possano essere pervenute alla Biblioteca all’epoca di Federico Borromeo attraverso Carlo Mazenta, che alla morte dello scultore si era assicurato diverse sue sculture rimaste in bottega. Nel De pictura sacra (Borromeo 1994 (1624), p. 82), in effetti, Federico formula un giudizio elogiativo su Annibale, estendendo il proprio apprezzamento all’esemplarità morale del personaggio. Nell’alveo di questo filone devozionale di fortuna vanno collocate probabilmente sia la realizzazione dell’Adorazione dei Magi Kress, che come si è detto è un’opera seicentesca d’après Fontana (Middeldorf 1976, p. 74, n. K1044), sia la presenza, nell’inventario Mazenta del 1672, di un cristallo di Annibale nel quale era “scolpito un Cristo morto, con altre figure, bellissimo, quale può servire per l’offerta della pace” (cito da Dante Isella, in Lomazzo 1993 (1589), p. 144- 145; ma cfr. anche Venturelli 2005 (2), p. 128).

431 Sulle due terracotte con Storie della Vergine dell’Ambrosiana, ritenute bozzetti preparatori autografi per le

ante in argento dell’altare di Santa Maria sopra san Celso, cfr. da ultima Venturelli 2005 (2), pp. 284-285 (con discussione del relativo corpus di studi grafici). L’Adorazione dei pastori milanese è invece connessa al rilievo marmoreo di analogo soggetto murato sulla facciata della Basilica. È invece smarrito un busto di Giovampaolo Lomazzo (cfr. Lomazzo 1587, p. 540; e Nicodemi 1948-56 (1954), p. 75 e p. 51).

fontaniano di Giovambattista Castaldo (ancora molto vicine alle forme ideali dei volti di Marco d’Oggiono, a dispetto della gotta che sfigurava il militare) con le ultime prove medaglistiche di Fontana, per esempio l’effigie caprina del Lomazzo, si ha l’impressione che il nostro abbia acquistato una maggiore libertà metrica, all’interno della quale la mobilità delle superfici si mette al servizio del ‘piacere dell’accidente’432.

Fu proprio questa capacità di sintesi a trasformare precocemente Annibale in un ‘classico’ non solo per le esigenze precettistiche di Lomazzo433, ma anche per quelle campanilistiche di Paolo Morigia, che ne rideclinò la fortuna internazionale e la celebrazione borghiniana (mediata dall’incontro di Annibale col toscano Stoldo Lorenzi nel cantiere di santa Maria sopra San Celso) come una prova d’eccellenza della scultura ‘milanese’ (quella da cui Leone Leoni veniva ormai escluso)434. Ancora nel 1624, per un Cheribixo poetico in lode di Milano (secondo Dante Isella, opera di Bernardo Rainoldi) il supporto più idoneo su cui immaginare la rappresentazione sintetica della città è un bacile in cristallo, e l’artista che lo ha realizzato non può essere che lo scultore per antonomasia, “Nibalìn che no g’ha par”435. Non stupisce che i pochi committenti per cui Fontana modellava medaglie fossero spesso ufficiali o funzionari asburgici, un ceto d’élite che viaggiava e proveniva da altri Stati come Napoli, Mantova o Trento: il medaglista capace di “far opere simile all’antichi” (Pellegrino Tibaldi) ereditò da Leoni quella categoria di mecenati che cercavano ritratti di alta qualità, ma conformi ad una tipizzazione del recto e del verso già consolidata436. Fontana non visse di microritratti, ma li realizzò cercando il capolavoro e accettando di lavorare solo per amici (come Lomazzo) e personalità influenti.

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