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Cap I.4 Arrivi dall’Italia Centrale

I. Pietro Paolo Romano

1. Questioni biografiche

Qualche puntualizzazione richiede innanzitutto la biografia del monogrammista “PPR”, a tratti documentabile a partire da pezze d’archivio e menzioni letterarie, ma confusa sinora con quella di un orafo quasi omonimo, Paolo Romano, che condivise forse col nostro un apprendistato nella cerchia di Benvenuto Cellini, ma al contrario di “PPR” fu legato all’atelier parigino461. Anche la tradizionale identificazione di Pietro Paolo Romano con

458 Cfr. Contile 1564, c. 308r; Lomazzo 1973-74 (1563 ca.), p. 64, e infra.

459 Habich 1924, p. 136. Forrer 1902-30, II, pp. 190-194; VII, pp. 336-337. Anche il Magnaguti però, notando

che “P.P.R.” aveva siglato medaglie di Cesare Gonzaga, Vespasiano Gonzaga e del patrizio Francesco Guerrieri, ipotizzò un soggiorno dell’artista a Mantova (1965, p. 32). Influssi in ambito milanese della maniera di Cellini furono invece messi in luce da Hill 1920 (2), p. 88, e ribaditi in Hill e Pollard 1978, p. 78.

460 L’intervento di Cosini nel Duomo milanese è discusso da Agosti 1990, pp. 182-183 e pp. 197-199, note

65-68, e da Dalli Regoli 1991, p. 25 e p. 26, nota 55.

461

Dopo la ricostruzione della presunta attività parigina di Galeotti/“PPR” dovuta a Plon 1883, pp. 50 e 69- 70, poco aggiunsero le biografie di Forrer 1902-30, locc. citt., e Galeotti Pier Paolo, in Thieme e Becker 1907-50, XXX, 1920, p. 91. Ancor più fuorviante è Marco Rufini, Galeotti, Pietro Paolo, in DBI, LI, pp. 437- 439. Sull’atelier parigino di Cellini cfr. anche Dimier 1898, pp. 36-38; Pope-Hennessy 1985, p. 76; Jestaz 2003, in part. pp. 80, 86 e 126-128. Nella cronologia proposta nelle pagine seguenti non segnaleremo più un elemento che ne giustifica alcune divergenze dai compendi biografici recenti: dato che i registri contabili francesi presentano datazioni a Resurrectione, mentre quelle fiorentine sono ab Incarnatione, entrambe sono state convertite in stile moderno, avendo cura di verificare la loro coerenza all’interno delle rispettive serie.

Pietro Paolo Galeotti, attivo invece a Firenze, non è priva di zone d’ombra, e merita una discussione che è finora mancata.

a. Biografia di Pietro Paolo Galeotti

Tra i tre personaggi omonimi, Pietro Paolo Galeotti (Monterotondo, Roma, primo o secondo decennio del XVI secolo - Firenze, 1584) è senza dubbio quella meglio messa a fuoco. Sul suo conto sono infatti disponibili due tipi di fonti: l’autobiografia di Cellini (presso il quale egli esordì a Roma intorno al 1530) e i pagamenti per le opere che l’allievo realizzò nella bottega toscana di Benvenuto462. Dalla Vita apprendiamo che Cellini, lasciando Firenze per Roma nel 1535, trovò impiego per Pietro Paolo presso Alessandro de’ Medici: il giovane creato avrebbe stampato alcune monete con i coni già incisi dal suo maestro463. A partire da quel momento la presenza a Firenze del romano, che i pagamenti chiamano invariabilmente Galeotti, è documentata senza interruzioni per circa quindici anni: nel 1545 egli realizza un vaso d’oro per la guardaroba medicea464, e dal 1540 risulta assunto come incisore di coni per monete nei libri mastri della Zecca, dove saldi a suo beneficio sono registrati per ciascuno degli anni che intercorrono tra il 1542 ed il 1550465. Nel luglio del 1552 lo ritroviamo ancora a Firenze, dove il primo dicembre riceve due scudi e un soldo per “quindici giorni” serviti “a nettare le figure dell’opera del Perseo” (compito per il quale è retribuito anche il 19 aprile 1554)466. Nondimeno, se è vero che il nostro copre la carica d’incisore dei coni medicei fino alla morte (19 settembre 1584), la sua attività di monetiere viene interrotta per alcuni anni: una rapida scorsa ai registri della Zecca fiorentina prova infatti che dal 1550 al 1562 almeno Galeotti non percepì nessuna remunerazione per i coni, che sono invece realizzati da Giovampaolo e da Domenico Poggini467.

462 La notizia celliniana secondo cui Galeotti, figlio di padre ignoto, sarebbe stato accolto dal fiorentino a

Roma prima del 1527, va però smentita, come indicato a suo tempo da Gaetano Milanesi (Vasari 1878-85 (1568), p. 390, nota 1): il padre di Pietro Paolo, l’orafo Pierfrancesco Galeotti, avrebbe al contrario avviato il figlio alla professione, portandolo successivamente a Firenze per metterlo a bottega. Come vedremo più avanti, la contraddizione individuata da Milanesi potrebbe però non discendere dalla biografia celliniana, ma dall’erronea identificazione del “Paolo” romano orfano col Galeotti.

463

Cellini, 1, 80-82 e 87, ed. 1996, pp. 288, 291-293 e 316. Cfr. Attwood 2004, p. 114.

464 Supino 1901, p. 51.

465 ASF, Ufficiali della moneta, poi Maestri di Zecca, b. 190, cc. 1b, 24b, 26a, 28a, 29b, 34b, 35a-b, 41a, 42a,

49b, 51b, 54a, 59a, 61a, 72a-b, 76b, 77a, 80a, 81a-b, 86a-b, 91a, 96b, 98b, 104a, 105b, 107b, 113b, 114b, 115a, 116a, 130a, 141a, 143a, 147a, 149a, 153a, 154a, 154b, 156a-b, 157a, 158a-b, 159b, 173a, 178a e 179a-b.

466 Cfr. Cellini ed. 1929, III, p. 49, n. 27, e Benvenuto Cellini, Ricordi di cose d’arte, in Cellini ed. 1857, p.

256. La nota, datata 19 aprile 1554, riguarda le spese per la manodopera prestata per quindici giorni in un periodo compreso tra il 9 luglio 1552 ed marzo 1554 (ma in proposito cfr. anche i documenti regestati da Calamandrei 1971, p. 318). Secondo alcuni autori, nel giugno 1553 Galeotti risulterebbe nuovamente tra gli aiutanti di Cellini retribuiti per lavori al gruppo statuario destinato a Piazza della Signoria; in questo caso tuttavia l’identificazione con il “Pietro romano” menzionato dal registro di conti dello scultore è meno sicura: BRF, ms. 2787, c. 29b (num. ant.) = 31r (num. mod.): “1553. Et più [deon dare a’ dì 19 di giugnio] danari 15 a Pietro Romano per sua opere al Perseo”.

467 ASF, Ufficiali della moneta poi Maestri di Zecca, b. 190, c. 191a, mandato del 31 luglio 1550: “Deono

dare soldi 50 per tanti fatti buoni a Domenico fabro, per 50 torsegli da quattrini datti a Pietro Pagolo Galeotti quando era inttagliattore de feri, e 50 datti a Gianpagolo Poggini a soldi 10 l’uno” (corsivo nostro). Toderi e Vannel (2000, II, p. 505) riportano anche, senza citare la loro fonte, la notizia di una pagamento percepito dal Galeotti per lavori alla Zecca fiorentina nel 1556.

Una divisione per mani dei coni delle monete fiorentine − ormai datata, ma attendibile nelle linee generali − è proposta da Galeotti (1930, pp. 59 e ss.): lo studioso attribuisce a Pietro Paolo tutti i coni per le emissioni monetali successive al 1562, mentre per il periodo compreso tra il 1547 ed il 1562 gli riconosce solo alcuni tipi.

Sulla scia della generosa menzione di Galeotti nei sonetti del Varchi (1555)468, dove “PPR” figura come nuova promessa della scultura locale assieme a Domenico Poggini, nel 1556 l’orafo laziale richiede infine la cittadinanza fiorentina, dichiarando di avere risieduto continuamente nella capitale granducale per più di ventisei anni (cioè dal 1530 circa): la sua domanda viene però accolta solo il 24 ottobre 1560469.

Nel 1561 realizza per Eleonora di Toledo “una gangheratura laborata di basso rilievo messa a un libriccino della Madonna in lingua spagnola”, e intorno al 1563, forse col sostegno della Duchessa, riottiene il suo posto di incisore dei coni470. A partire dal 1567 stampa per Cosimo I una storia metallica alla quale Vasari fa riferimento per la novità del progetto seriale ed il suo interesse iconografico471.

Il 18 dicembre 1574 riceve dalla Depositeria fiorentina il ricompenso per “un fornimento da balestra di ferro commesso”472. Tale attività nel campo dell’agemina, nella quale l’orafo pare avere assunto una maniera riconoscibile, è rammentata anche nelle Vite di Giorgio Vasari (1568), dove la menzione di Galeotti, svolta in chiave medicea, contiene tuttavia un ricordo preciso delle opere da lui compiute e della sua formazione romana:

Pietropaulo Galeotto, romano, fece ancor lui e fa appresso il duca Cosimo medaglie de’ suoi ritratti e coni di monete ed opere di tausía, imitando gli andari di Maestro Salvestro, che in tale profesione fece in Roma cose meravigliose [...]473.

Giunto a Roma per l’anno giubilare, dal 10 maggio al 12 dicembre del 1575 Pietro Paolo sostituisce Ludovico Leoni alla Zecca e rimase iscritto all’università degli orefici fino al 1576; dopo tale data non se ne ha più notizia474.

b. Pietro Paolo Galeotti, attivo a Firenze, e Paolo e Pietro Paolo Romani, attivi a Parigi

A tale compatta carriera granducale, solo parzialmente offuscata dalla perdita o dal mancato riconoscimento di diverse opere orafe, la sorte ingenerosa che insidia le figure minori ha però giocato due scherzi villani.

468 Varchi 1555, p. 252: “Voi che solo dei duo primi e maggiori / celesti messi il sacro nome havete, / voi,

ch’ai piccioli bronzi hoggi rendete / col caro mio Poggin gli antichi honori: / se bramate, che meco ognhor v’honori / il mondo tutto, e schivar sempre Lete, / quelle frondi formate altere e liete / che dell’usata via mi trasser fuori: / quelle, ch’io spero un dì tanto alte e chiare / vedere ch’al sole e alle superne stelle / d’altezza andranno, e di chiarezza pare. / Queste fra tutte l’altre opre più rare / e di mano, e d’ingegno, le più belle / saran senza alcun dubbio, e le più care”. Nell’indice dei dedicatari il sonetto risulta rivolto a “Pietropagolo Galeotti”.

469 Milanesi 1876, III, fasc. 209, trae da una filza del 1556 (ASF, Decima granducale, Suppliche, b. 213) il

seguente documento non datato: “Illustrissimo et excellentissimo signor Duca, Pietro Pagolo di Piero Galeotti Romano oreficie, servitore dell’Eccellenza vostra, dicie havere habitato la città di Fiorenza continuamente più che 26 anni, et havere in tal tempo servitola in Zeccha più tempo, come lei sa con fede: et che harebbe gran desiderio di entrare a graveza in detta ciptà et pagare la sua decima de’ beni et supportare le graveze come cittadino et godere i benefitii della ciptà predeta, come fanno li altri li altri sua fidelissimi servitori”. Si noti nel testo l’accurata distinzione tra i ventisei anni di residenza e il servizio prestato in Zecca, che non si era protratto altrettanto.

470 Supino 1901, p. 51. Pare invece discutibile una vecchia identificazione (accolta ancora da Attwood 2003, I,

p. 3348) con un “Pietro Paolo Romano” pittore, attivo a Torino: i nomi dei due santi patroni dovevano essere estremamente comuni a Roma.

471

Sulla commissione cfr. da ultimo Scorza 1988, pp. 24-32. Il buon inserimento di Galeotti nella Firenze granducale si misura anche da un altro episodio riferito da Vasari, l’acquisizione di alcuni cartoni pontormeschi per gli apparati fiorentini per il Carnevale del 1513: Vasari 1966-87 (1568), V, p. 311.

472

Supino 1901, p. 51.

473 Vasari 1878-85 (1568), p. 390.

474 Cfr. risp. Ronchini 1874 (2), p. 326; e Bertolotti 1886, p. 109, la notizia dell’attività di Galeotti alla Zecca

La Vita di Cellini, per una volta prodiga di informazioni veritiere, è all’origine di un primo equivoco che ha pesato non poco sulla biografia della personalità che stiamo considerando. Benvenuto racconta di essere stato accompagnato a Parigi (1540) da “Pagolo e Ascanio, mia allevati” (2, 3), e poco oltre spiega che i due erano “lavoranti, i quali avevo levati di Roma” (2, 7)475. Nel secolo XIX i libri mastri di Francesco I di Valois rivelarono che un “Paul Romain” aveva effettivamente goduto di un trattamento salariale come orafo di corte e aiuto di Benvenuto, e l’incrocio tra le due notizie indusse quasi tutti gli interpreti a identificare il giovanissimo creato parigino con Pietro Paolo Galeotti, che negli anni quaranta era invece abbastanza esperto da lavorare in autonomia ed essere assunto come incisore di coni per la Zecca di Firenze476.

Si è così voluto trascurare il fatto che Cellini chiami invariabilmente il suo principale aiuto francese “Pagolo”, e che sotto questo medesimo nome il secondo risulti anche nei libri mastri d’Ippolito d’Este a Fontainebleau477. Anche la notizia che nel 1540 il giovane “Paul” fosse giunto in Francia da Roma contrasta con quanto sappiamo di Pietro Paolo, che nello stesso periodo − se dobbiamo dare credito al suo memoriale del 1556 e ai pagamenti fiorentini − lavorava a Firenze.

Rileggendo alla luce di quanto detto un passo della Vita (1, 81), appare chiaro che nel 1535, poco prima di lasciare Roma per la Toscana, Benvenuto aveva lasciato nella città pontificia una bottega gestita da aiuti diversi dal Galeotti. Come spiegava lo stesso scultore al duca Alessandro:

E’ s’è pensato a ogni cosa, perché io ho qui [a Firenze] un mio discepole [Galeotti], il quale è un giovane romano, a chi io ho insegnato, che servirà benissimo la Eccellenzia vostra per insino che io ritorno con la sua medaglia finita a starmi poi seco per sempre. E perché io ho in Roma la mia bottega aperta con lavoranti e alcune faccende, aùto che io ho la grazia [per i crimini di cui era accusato], lascerò tutta la divozione di Roma a un mio allevato che è là, e dipoi con la buona grazia di vostra Eccellenzia me ne tornerò a⋅llei478.

Questo secondo “allevato” potrebbe forse essere già Paolo, che nel 1539-40 accompagnò Cellini a trovare Ascanio di Giovanni de’ Mari a Tagliacozzo: la circostanza sembrerebbe infatti indicare che a tale data il responsabile della bottega di Via dei Banchi Nuovi fosse Paolo, mentre Ascanio aveva lasciato temporaneamente il lavoro per tornare dalla famiglia in attesa che il maestro fosse scarcerato. Benvenuto riferisce anche che a quel tempo “faceva lavorare […] Pagolo sopraditto” ad un “bacino tanto ricco e tanto bene accomodato, che ognuno che lo vedeva restava meravigliato, sì per la forza del disegno [dovuto allo scultore fiorentino, che aveva avviato l’opera] e per la invenzione e pulizia che usavono quei giovani in su dette opere”479. Si ricordi del resto che ancora nel 1540 Paolo è definito un “giovane”, mentre Ascanio era “pur giovinetto”480.

Un terzo argomento, dirimente, a sostegno della conclusione che Pietro Paolo Galeotti e Paolo Romano non possono essere la stessa persona è fornito dal confronto tra le serie documentali fiorentine e quelle francesi. Nei libri mastri dell’Hôtel de Nesle, l’immobile

475

Cellini ed. 1996, risp. pp. 471 e 485. Per Ascanio cfr. soprattutto le pp. 336, 376 e 475.

476 Sull’attività dei due artisti cfr. Laborde 1877-80, II, p. 330. Nello stesso 1541 il cardinal Ippolito donò a

Francesco I “un bacillo et boccale” già commissionati a Benvenuto e ai suoi aiuti (lettera di Carlo Sacrati ad Alfonso d’Este, in Venturi 1889, pp. 376-377: per le due suppellettili cfr. anche Campori 1864, pp. 289-297, e infra).

477 Campori 1864, pp. 289-297. Cfr. anche Cellini ed. 1889 (1873), pp. 408-409, dove si precisa che Paolo

Romano era cognominato anche “della Frangia”, forse per distinguerlo dagli altri omonimi che nomineremo.

478

Cellini, 1, 81, ed. 1996, p. 291.

479 Cellini, 2, 1, ed. 1996, p. 466.

480 Cellini, 2, 4, ed. 1996, p. 475. Ascanio compare nella Vita intorno al 1536-37 (Cellini 1, 93, ed. 1996, p.

concesso da Francesco I a Cellini e alla sua bottega, Paolo Romano non è menzionato prima dell’8 aprile 1546, quando gli viene corrisposta una somma di novanta lire per l’acquisto dell’argento necessario a corredare di anse due vasetti rimasti incompiuti481; dai successivi pagamenti si deduce tuttavia che egli lavorava a Parigi per lo meno dal marzo del 1545482. A partire dal febbraio 1546, essendo Cellini rientrato a Firenze per gettare il Perseo (1545-54)483, Paolo risulta il responsabile della bottega francese con un ruolo paritario a quello del più giovane Ascanio de’ Mari. Naturalmente, ciò non esclude che “Paul Romain” avesse continuato a servire Cellini sin dal 1541, ma per questi primi anni la contabilità della bottega di costui è perduta.

Dopo una breve assenza nel 1547-48, Paolo ricompare dal 31 dicembre 1548 fino al 31 marzo, e poi di nuovo dal 1554 fino al 31 dicembre 1556 stile moderno484. In quest’ultima data un oscuro contenzioso suggerisce la possibile ragione dell’interruzione di rapporto tra l’orafo e il monarca francese: sappiamo infatti che Paolo Romano, Ascanio de’ Mari e il contabile Jacques de la Fa furono chiamati a rispondere della presunta sottrazione di varie quantità di argento, avvenuto sotto Benvenuto tra il 1542 ed il 1546485. La conclusione della vicenda non è documentata, ma fu tale che Ascanio rimase in Francia fino al 1563, mentre Paolo non vi fece mai più ritorno486.

Tale circostanza ha indotto la bibliografia celliniana a ritenere che Paolo, alias Pietro Paolo, facesse allora ritorno a Firenze per essere reintegrato nel suo incarico alla Zecca. Ma come è possibile giustificare l’onnipresenza di quest’orafo tra il 1546 e il 1547, e tra il 1549 e il 1556? Poteva un artefice modesto e subalterno abbandonare la propria bottega come il richiestissimo Cellini e fare la spola tra le due capitali come un moderno conferenziere per la delizia dei suoi committenti? E soprattutto: come avrebbe potuto Galeotti, dopo un lungo soggiorno parigino, dichiarare di aver risieduto a Firenze per ventisei anni ininterrotti? Pietro Paolo, incisore, ageminatore e intagliatore, e Paolo, più giovane orafo romano, sono di necessità due figure distinte.

La verità nascosta dalla querelle biografica è che i capricciosi e repentini spostamenti di Cellini tra diverse città − quelle irrequietezze che attraverso le pagine della Vita hanno intessuto il mito di un artefice libero ed eccezionale − erano invece consentite da un sapiente gruppo di rimpiazzi ed accoliti: l’autobiografia di Benvenuto ne elenca ben quattro a proposito del solo soggiorno parigino, un Paolo (de’ Maccaroni) venuto appositamente dall’Italia ed altri due Paoli (!), cioè il fiorentino Micceri (che nel 1542 si sposò all’Hôtel de Nesle con Catherine Scelau) ed il romano di umili natali che aveva condotto la bottega in assenza del maestro487. Tra gli atti notarili relativi alla bottega parigina di Cellini compare infine un “Pierre Paul, orfevre rommain italien aussy”, attivo all’Hôtel de Nesle dal 1 agosto 1544 al 28 febbraio 1545 e deceduto poco dopo, come documenta

481 Laborde 1877-80, II, p. 330. 482

Il 3 marzo 1545 Paolo Romano risulta infatti testimone di un atto di morte rogato a Parigi (Grodecki 1971, pp. 78-79, n. XIII), sul quale torneremo tra breve.

483 Laborde 1877-80, II, p. 331. Sulle vicende della realizzazione del Perseo cfr. Pope-Hennessy 1985, pp.

163-186.

484

Laborde 1877-80, II, pp. 335-336. Negli anni cinquanta Paolo lavorò ad una commissione di Enrico II consistente in due coppe d’argento dorato e in un coperto con posate bizzarre − la forchetta racchiudeva infatti una saliera e ospitava una figurina di Diana che alludeva alla destinataria del dono, Diana di Poitiers.

485

Non si vede per quale ragione il contabile dell’Hôtel de Nesle Pierre di Jacques de la Fa avrebbe dovuto falsificare i conti a partire dal 1552, attestando infondatamente la presenza a Parigi di Galeotti fino al 1557 (come sostiene Marco Rufini, Galeotti, Pietro Paolo, in DBI, LI, pp. 435-436), quando il reato contestato agli orafi riguardava invece il periodo 1542-46, amministrato dal padre del suddetto Pierre.

486

Campori 1864 (1), p. 297. Nello stesso anno Ascanio di Tagliacozzo, venuto alle mani “con uno parigino […] de questi caporali”, fuggì nelle Fiandre per sottrarsi alla giustizia (Venturi 1889 (2), p. 378).

487 Cellini, 2, 28, ed. 1996, p. 544. Sul matrimonio di Paolo Miccery “Marchant florentin natif de Florence”,

l’attestazione della sua morte vergata il 3 marzo e sottoscritta da Paolo Romano e Ascanio de’ Mari488. Esisteva dunque anche un Pietro Paolo attivo a Parigi e distinto sia da Paolo Romano, sia dal Galeotti!

Bisogna tenere presente che la collaborazione con il richiestissimo maestro offriva a quest’ultimo la possibilità di mantenere i suoi clienti in un ambiente fortemente concorrenziale: dapprima un versatile aiuto, Pietro Paolo, permise a Cellini di lasciare Firenze subentrandogli nella posizione di orafo ducale e incisore dei coni alla Zecca489; poi, l’interesse a mantenere attiva la bottega parigina e il protrarsi dei lavori per il gruppo bronzeo monumentale del Perseo, che avevano motivato la permanenza dello scultore in Toscana, lo indussero a ricorrere a due nuovi sostituti, Paolo e Ascanio, ai quali affidò provvisoriamente gli incarichi provenienti da Francesco I di Valois490.

Se pensiamo poi ad altri casi di fiorentini ‘romanizzati’, come quello di Giorgio Vasari, appare chiaro che il modello di imprenditoria artistica inaugurato da Cellini non fu affatto un’invenzione isolata. Il servizievole Galeotti fu solo uno degli artifici con cui il polimetico Cellini, mantenendo la propria ubiquità, tenne viva in vari centri artistici la propria clientela: la via della committenza pontificia, come sappiamo, gli era stata ormai preclusa dal papato farnesiano e dall’arrivo di Leone Leoni a Roma nel 1538.

c. Dati biografici su “PPR”

Una volta stabilito che Pietro Paolo Galeotti e Paolo Romano non possono essere la stessa persona, rimane da acclarare il loro rapporto col corpus di medaglie contrassegnato dal monogramma “PPR”, cioè con il Pietro Paolo attestato dalle fonti e dai documenti milanesi ben oltre il 1545, data di morte del Pietro Paolo Romano che collaborò con Cellini a Parigi. Un importante indizio sul monogrammista attivo a Milano, finora completamente trascurato, proviene dal Libro dei sogni di Giovampaolo Lomazzo (1563 circa), che attribuisce a “Pietro Pagolo Romano” la medaglia del musicista Giovanni Michele Zerbi, finora ritenuta di Iacopo da Trezzo, e ne data l’esecuzione nel 1548, in coincidenza con il transito del principe Filippo di Spagna per Milano. Nel preambolo del Ragionamento quarto è lo stesso Giovan Michel “dello Strumento” a narrare agli amici un suo pantagruelico incontro con Pietro Paolo Romano, intessendolo di riferimenti a fatti storici:

Essendo io già con Giovan Giacobo [Pecchio?] dal Cornetto e moltissimi altri compagni e Giovan Pavolo [Lomazzo] tornati dalla nobilissima comedia (che in Milano davanti a Filippo d’Austria re di Ispagna da diversi acuti spiriti fu recitata) a casa, e spogliatomi, partiti che gli altri furono, entrai in letto, nel qual dormei sinché alla mattina mi venne a svegliare Pietro Pavolo Romano scultore, che dar un fine alla medaglia, che principiata del mio ritratto avea con soma diligenza, voleva; nella quale dette quatro steccate, conoscendo io aver sonno, con molta frezza, dicendo a casa poi volerla finire. Doppoi avendo non con poco riso fatto una colazione di una infinità di offelle e malvagìa, si partì tutto alegro, et io, avendo sonno mi tornai a corcare a letto491.

Il racconto è ambientato in un circolo di musicisti e artisti che si apostrofano come

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