Cap I.2 Iacopo da Trezzo
III. Per un catalogo delle medaglie di Iacopo da Trezzo
3. Presso le corti asburgiche (1554-89)
Anche qualora non si accetti l’affascinante ipotesi di Alexandre Pinchart, secondo il quale Iacopo, documentato a Bruxelles dal 1555, vi sarebbe giunto al seguito di Ferrante Gonzaga, rimane un fatto che, come per Leone Leoni, le commissioni dei governatori a Milano furono per il Nizolla un punto di avvio e un’occasione per uscire dai confini regionali della sua produzione e per aggiornarsi su nuove voci artistiche347. A partire dagli anni cinquanta, il trasferimento del nostro presso la corte di Filippo II a Londra e a Bruxelles incoraggiò infatti un importante sodalizio: Iacopo si trovò a ritrarre la famiglia reale accanto ad Anthonis Moor, che lo avrebbe poi seguito anche in Spagna348. Due artisti più giovani riproposero così la formula già sperimentata da Leoni e Tiziano, ritrattisti esclusivi di Carlo V.
343 Armand 1883-87, II, p. 245, n. 8 (ibrido, attribuito ad anonimo); Toderi e Vannel 2000, I, p. 64, n. 108
(Iacopo da Trezzo). Esemplari principali: Rizzini 1892, p. 101, n. 712; Börner 1997, p. 228, n. 1033 (anonimo).
344 Al fratello Francesco, che risulta attivo a Milano nel 1573 come intagliatori di vasi per Guglielmo V di
Baviera (Simonsfeld 1901, p. 304, n. 99; p. 312, n. 111, e p. 121, n. 130), Iacopo cercò di fare avere l’ufficio di contestabile di Porta Tosa a Milano nel 1565 (in ASM, Dispacci reali, b. 272, fasc. 15, ne è riassunta la supplica del 18 giugno); su questa figura (della quale non si conoscono opere) cfr. Distelberger 1999, pp. 310- 314.
345
Toderi e Vannel 2000, II, p. 607, n. 1862.
346 Toderi e Vannel 2000, I, p. 149, n. 388 (anonima in tutta la bibliografia). 347 Pinchart 1870, p. 15.
Già con la medaglia di Maria Tudor (1554), la cui fortuna non pare avere conosciuto ombre per diversi secoli349, le figure turgide, dolci e regolari amate dal lombardo presero a evolvere in una direzione affine a quelle del pittore: il ritratto è animato da un chiaroscuro sottile e intelligentemente descrittivo, che sembra tradurre in rilievo gli effetti delle tele fiamminghe.
A questa fase risale anche la medaglia di Maria d’Asburgo (1528-1603), un pezzo che, pur essendo stato ascritto ripetutamente a Iacopo da Trezzo, è stato oggetto di dubbi attributivi assai poco giustificati350. Dato che qui la figlia di Carlo V (promessa dal 1548 al cugino Massimiliano d’Asburgo) si fregia del titolo di Regina di Boemia che acquisì dal marito, si è recentemente supposto che l’opera sia successiva al 1562 (Toderi e Vannel); ma per Babelon il ritratto metallico fu commissionato in occasione del matrimonio tra i due principi, celebrato nel 1549, e la datazione proposta dal francese trova un ulteriore sostegno nel fatto che il titolo di “re designato di Boemia” fu usato dall’Asburgo assai prima della sua incoronazione (ad esempio, in una lettera di Antoine Perrenot scritta nel gennaio 1551)351. Dato che il ritratto è realizzato dal vero, come dimostra il confronto con una tela che Moor dipinse sul suolo iberico nel 1551 durante la reggenza di Maria (Madrid, Museo del Prado), la medaglia può essere datata a ridosso delle nozze − durante un ipotetico soggiorno milanese della Principessa sulla strada tra l’Austria e la Castiglia – o nel 1551 − anno in cui sicuramente Maria e Massimiliano, di ritorno a Vienna dalla Spagna, transitarono per la città in cui Trezzo risiedeva352.
Poco più tardi deve essere datato un microritratto di Giovanna d’Asburgo, l’altra figlia di Carlo V (1535-73): il rovescio (Cerere in trono esibisce quattro spighe di grano, con motto “CONNVBII FRVCTVS”) allude al parto che diede alla luce l’erede di Giovanni d’Aviz, l’infante di Portogallo, e consente di riferire l’opera al 1554353. L’anomala tipologia frontale del busto, che non ne facilita il confronto con altre medaglie, è dovuta al modello pittorico che l’artista seguì: dovrebbe trattarsi di un dipinto di Cristóbal de Morales del
349
Cfr. p.e. Van Loon 1732-35, I, p. 4; Cicognara 1823-25, V, pp. 597-598.
350 Van Mieris 1735, III, p. 271; Herrgott 1742, p. 116, n. 116, tav. XXVII; Armand 1883-87, II, p. 237, n. 6
(equivoca le due corone del rovescio con un libro, come segnalato da Whitcombe Greene 1913, p. 417); Babelon 1922, pp. 215-219 (attribuisce a Iacopo da Trezzo e identifica due esemplari del ritratto nell’inventario in morte di Filippo II, 1602); Waldman 1991, fig. 3; Waldman 1994, p. 60 (ipotizza che il modello iconografico sia un rilievo antico); Toderi e Vannel 2000, I, p. 70, n. 126 (Pompeo Leoni). Esemplari principali: Rizzini 1892, p. 99, n. 703 (Pompeo Leoni); Pollard 1984-85, III, p. 1269, n. 738 (Pompeo Leoni); Cano Cuesta 1994, p. 165, fig. 3 (Pompeo Leoni o Iacopo da Trezzo); Johnson e Martini 1995, p. 133, n. 2296 (Pompeo Leoni); Börner 1997, p. 177, n. 769 (Leone Leoni); Toderi e Vannel 2003, I, p. 55, n. 489 (Pompeo Leoni); Attwood 2003, I, p. 118, n. 76 (Iacopo da Trezzo). Una riduzione è schedata in Armand 1883-87, II, p. 237, n. 7; e Domanig 1896, p. 5, n. 52 (Iacopo da Trezzo).
351 Lettera s.d. a Leone Leoni, in Plon 1887, p. 363, n. 23; cfr. anche Brandi 1961 (1937), p. 584. Riprendendo
una tesi già sostenuta da Jean Babelon, dobbiamo notare che non solo la resa di molti dettagli anatomici (il profilo, il naso, le narici, l’attaccatura dei capelli), ma anche alcune soluzioni decorative (come la punzonatura negli orli del colletto) uniscono indissolubimente questo ritratto a quello firmato di Maria Tudor e, potrei aggiungere, a quello tardo di Ippolita Gonzaga, che pare essersi servita dal medesimo gioielliere. I rovesci delle due medaglie regie presentano lo stesso panneggio spezzato, scandito nelle cuffie da solchi rettilinei che affondano verso gli estremi: una maniera da incisore affatto diversa dal tipo di rilievo, più basso e sottilmente mobile alla luce, caro a Pompeo Leoni, cui pure la Maria d’Asburgo è stata ricondotta. L’attribuzione a Iacopo è del resto sostenibile anche su base epigrafica: si notino per esempio i caratteri in grassetto, la foglia d’acanto iniziale, lo spesso margine inciso su cui è allineata l’iscrizione.
352
Prado 1990-96, I, p. 344, n. 1258.
353 Van Mieris 1732-35, III, p. 319, ad annum 1553 (anonimo); Herrgott 1742, p. 115, n. 113, tav. XXVII
(anonimo); Armand 1883-87, II, p. 247, n. 15 (anonimo); Kenner 1886, p. 20; Babelon 1922, pp. 215-219 (attribuisce a Iacopo da Trezzo, data l’opera e ne identifica il modello, per il quale cfr. Hymans 1910, p. 66); Toderi e Vannel 2000, I, pp. 61-62, n. 98 (Iacopo da Trezzo). Esemplari principali: Domanig 1896, p. 5, n. 49 (Iacopo da Trezzo); Álvarez-Ossorio 1950, p. 96, n. 327; Attwood 2003, I, p. 118, n. 79 (Iacopo da Trezzo); Toderi e Vannel 2003, I, p. 53, nn. 464-465 (Iacopo da Trezzo).
1552 (oggi nelle collezioni reali inglesi) o di una tela di Alonso Sánchez Coello realizzata nel 1553-54 (oggi al Musée Royal de Beaux-Arts di Bruxelles)354.
Alla medesima fase stilistica − in cui la regolarità delle precedenti silhouettes si lascia turbare da riccioli più voluminosi e da una squillante cesellatura a freddo, come quella riscontrabile nella medaglia di Filippo II del 1555 − potrebbe essere accostato anche un cammeo di Filippo (London, British Museum) che traduce a mezza figura l’effigie volgendo a destra il capo, ma mantiene il disegno della corazza rappresentata sulla medaglia e l’articolazione del taglio in tre archi che accennano alle braccia355. È invece da giudicarsi un ibrido di autore ignoto (come già riconosciuto nel 1905) la medaglia di Filippo II che combina il ritratto leoniano del 1549 (rimodellato per allungare la barba e modificare il mantello) con il rovescio trezziano realizzato dopo il 1568 per Giannello Torriani (Fontana della Scienza)356.
354 La stessa Giovanna compare in una medaglia unilaterale eseguita quando l’effigiata era già vedova, cioè
dopo il 1554 (Herrgott 1752, p. 115, n. 114, tav. XXVII, fig. 114; Kris 1923-25, pp. 163-166). L’iscrizione fuorviante niellata sulla montatura tarda del cammeo (e trascritta con uno scioglimento errato da da Almudena Pérez de Tudela, in Checa Cremades 1998, p. 665, n. 285) va letta: “M(a)R(i)A . CAROLI . V . FILIA . MAXIM(iliani) . I . IMPERATOR(is) . CONIVNX . MDLXVI”.
Ernst Kris ha identificato il modello di questo ritratto in un cammeo viennese attribuito a Iacopo da Trezzo (onice bianca, h.x l.: 41 x 34mm), ma ritiene che la versione in argento sia attribuibile a Pompeo Leoni (Kris 1923-25, pp. 163-166; cfr. anche Arneth 1858, tav. I, fig. 118 e tav. IV; Kenner 1886, pp. 17-18, secondo cui il modello sarebbe di Abbondio, ma l’esecuzione sarebbe dovuta a Iacopo; e infine Eichler e Kris 1927, p. 118, n. 203; e Kris 1929, tav. 79, fig. 323). In realtà alcune piccole differenze, riscontrate in parte dallo stesso Kris, chiariscono che le due opere copiano un dipinto di Alonso Sánchez Coello del 1557 (oggi a Vienna, Kunsthistorisches Museum, inv. 3127). Sebbene il rompicapo sia dei più incompleti, la proposta attributiva di Kris non pare da scartare, perché dotata di una sua fondatezza epigrafica e capace di dar conto della diversa maniera del panneggio e del rilievo. Bisogna inoltre considerare che la tipologia particolarissima ed estremamente dinamica di questo busto frontale, cui la lieve rotazione di tre quarti imprime un forte scorcio nella spalla destra e un aggetto accentuato negli sbuffi di quella sinistra, non pare nei registri della stecca di Trezzo, artista che non amò né decentrare il collo della figura, né collocare il massimo rilievo in possimità dei bordi, né rinunciare all’effetto di cornice dell’iscrizione e della perlinatura, come spesso fece Pompeo. Giova osservare che la soluzione di Kris si basa sull’ipotesi che la compresenza dei due artisti alla corte madrilena li avesse indotti a una diversa specializzazione già a livello microritrattistico, come sarebbe poi avvenuto per la tomba della stessa Giovanna; proprio il parallelo monumentale, così dibattuto nella spartizione delle mani, mostra tuttavia i limiti di un simile argomento esterno.
355
Cfr. Dalton 1915, p. 51, n. 381 (dove l’onice già nella Franks Collection, larga circa 30mm, è attribuita a Iacopo da Trezzo) e Babelon 1922, pp. 241-242. Tratti simili presenta anche il piccolo cammeo con testa di Filippo II pubblicato da Fortnum 1876, p. 22, n. 205 e tav. IV, ma in quest’opera il troncamento del busto e l’acconciatura dei ricci sono estranei alla produzione di Trezzo.
356 Sulla medaglia di Filippo II il rovescio con la Fontana della Scienza è attestato in esemplari
cinquecenteschi talora ottimi (Bibliografia: Van Mieris 1732-35, III, ad annum 1555; Armand 1883-87, I, p. 168, n. 27; Toderi e Vannel 2000, II, p. 698, n. 116; esemplari: Laurenzi 1960, p. 96, n. 173; Pollard 1984-85, III, p. 1220, n. 713; Cano Cuesta 1994, p. 194, n. 46; Johnson e Martini 1995, p. 121, n. 2249; Börner 1997, p. 177, n. 768; Attwood 2003, I, p. 122, n. 89). La copia del ritratto leoniano dell’infante Filippo (Toderi e Vannel 2000, I, p. 50, n. 60) presente sul recto di questo tipo è rimodellata nel mantello e rilavorata per allungare il pizzo in una barba a punta.
Il riconoscimento dell’ibrido è già in Herrera 1905, pp. 269-270, ma ancora Cano Cuesta 1994, p. 194, n. 46, e Toderi e Vannel 2000, I, p. 698, n. 116, registrano l’opera come una medaglia originale di Pompeo Leoni; non poi è mancato chi attribuisca il pezzo a Iacopo (Attwood) o a Leone Leoni (Armand, Laurenzi, Pollard, Johnson e Martini, Börner). Gli argomenti epigrafici addotti da Attwood in favore della sua attribuzione a Iacopo da Trezzo meritano seria considerazione, perché sono gli unici basati su osservazioni formali: tuttavia, se il “copista” ebbe a disposizione un esemplare della medaglia di Giannello Torriani per trarne l’impronta, poté anche studiarne le lettere per adeguare al verso il nuovo recto (che ha lettere meno contrastate).
Bisognerà comunque guardarsi dalla tentazione di voler suddividere tra Iacopo, Pompeo Leoni e il meglio riconoscibile Giovampaolo Poggini tutti i microritratti in relazione con la corte madrilena (come pure si è voluto fare): un recente articolo di Almudena Pérez de Tudela ha opportunamente segnalato che tra gli artisti filippini anche l’alessandrino Vespasiano Alessio realizzò punzoni per coni (Pérez de Tudela 2000, p. 252), e medaglie anonime come quella in cui il ritratto di Filippo II è associato all’immagine di Anchise ed Enea