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La Milano di Ferrante Gonzaga e le medaglie italiane (1549-54)

Cap I.2 Iacopo da Trezzo

III. Per un catalogo delle medaglie di Iacopo da Trezzo

1. La Milano di Ferrante Gonzaga e le medaglie italiane (1549-54)

Qualsiasi trattazione su Iacopo da Trezzo parte dalla premessa che ciò che conosciamo è solo una porzione collaterale ed episodica della produzione artistica per cui Iacopo divenne celebre, ed è anche il genere più condizionato da contiguità ingombranti con altri artisti, che la critica ha reso ancor più oppressive.

Tra le medaglie del Nizolla e le numerose gemme ascrittegli (sulle quali getteremo uno sguardo alla fine di questo capitolo) esiste un curioso rapporto compensativo: così come nelle prime la messa a fuoco incerta dello stile di Iacopo ha reso scarno il suo catalogo

l’anno seguente stimò il valore delle gioie della regina Isabella (cfr. Checa Cremades 1992, pp. 129, 157, 167 e 170-171). Nel 1580 Iacopo è tra gli artisti proposti per la stima di una fontana scolpita in diaspro da “Roque Solario” (Martín González 1991, p. 128).

322 Cfr. Babelon 1922, p. 32. Siguenza 1923 (1600), pp. 412-413, riporta le perdute epigrafi dei due

tabernacoli del retablo, dettate da Arias Montano; la prima recitava: “IESV CHRISTO SACERDOTI AC VICTIMAE PHILIPPVS II . REX . D . OPVS . IACOBI TRECI MEDIOLANENS . TOTVM HISPANO . E LAPIDE”; l’iscrizione sul tabernacolo minore era la seguente: “HVMANE SALVTIS EFICACI PIGNORI . ASSERVANDO PHILIPVS II . REX . D . EX VARIA IASPIDI HISPANIC . TRICII OPVS”. La doppia firma dovette valere sia come soluzione autocelebrativa (a partire dal fraseggio anticheggiante), sia come espressione di devozione, visto che Iacopo non firmò mai altri intagli, neppure gli elementi in diaspro e pietra per una fontana rustica pagatagli nel 1569 (per la quale cfr. Checa Cremades 1992, p. 129).

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L’espressione è adottata in una nota all’inventario carolino del 1563 (cfr. app. I). In ASM, Dispacci reali, b. 272, fasc. 15, Iacopo è invece definito come gioielliere di sua Maestà; nella stessa filza è però definito per lo più “scultore” (fascc. 18 e 23).

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Martín González 1991, p. 66. La possibilità che Iacopo collezionasse oggetti d’arte legati alla sua professione è accreditata anche dalla seguente nota inedita, dalla quale risulta che nel 1563 egli acquistò un cammeo bilaterale proveniente dalla “almoneda” dei beni di Carlo V (AGS, Contaduría Mayor de Cuentas, ép. 1, leg. 1145, c. 18v, qui pubblicato all’app. I): “Reçíbesele en quenta una medalla de camafeo de dos hazes, contenida en dicha partida del cargo de esta quenta, que en XIIII dias del dicho mes de setiembre de dicho año de MDLXIII se envió a m(aist)re Jacome, entallador de camafeos y cristales de su Magestad, la qual medalla estaba guarnecida de oro y estaba tasada en treinta ducados, y se le envió por XXXIII ducados como parece por fee de Juliano dicho scribano, que asistió a la almoneda que se hizo de sus bienes”.

medaglistico − una terra di nessuno destinata a raccogliere quasi solo le opere respinte dai corpora di altri artisti più famosi −, nell’ambito della glittica la mancanza di pezzi ‘firmati’ o d’autografia documentata ha favorito un’ipertrofia di attribuzioni alimentate dalla fama dell’intagliatore e dalla divergenza tra sopravvivenze e fonti scritte.

Le iscrizioni autografiche offrono invece un punto fermo imprescindibile per la ricostruzione della medaglistica di Iacopo. Al momento più noto della sua produzione in metallo (1549-54) – caratterizzato dalla vicinanza geografica e stilistica con Leone Leoni e da tipi ritrattistici meno personali – corrisponde infatti per il Nizolla una firma dalla funzione distintiva, costituita dal nome di battesimo e dal toponimo di provenienza (espresso in volgare e con grafia scempiata: “I .T.”325, “IAC . TR”326, “IAC . TREZ”327, “IAC . TREZO”328). Le due abbreviazioni più estese della carriera di Iacopo compaiono infatti nella medaglie di Isabella Capua e in quella della figlia Ippolita Gonzaga sedicenne o diciassettenne, opere commissionate in un ambiente nel quale l’intagliatore andava sostituendosi a Leoni assente e andava adattandosi ad aspettative che lo portavano a emulare i modi del toscano329.

Questa circostanza diviene ancor più significativa se si considera che i contrassegni autoriali non furono impiegati mai dai medaglisti milanesi dei decenni precedenti. Un secondo corollario dell’assenza di medaglie autografe nei primi lustri della Milano asburgica è la possibilità che la carriera di Iacopo come plasticatore e incisore di coni sia iniziata negli anni quaranta, e che alcune sue effigi in metallo possano quindi nascondersi tra i numerosi tipi anonimi precocemente condizionati nell’iconografia dalla circolazione di modelli leoniani330.

Proprio la vicinanza di Leone Leoni ha contribuito non poco a sottrarre alle indagini storiografiche le prime opere in metallo del suo collega. Già a partire dalla trattazione di Fabriczy (1903) la difficoltà a distinguere tra le due mani ebbe conseguenze cospicue non solo sulla valutazione di Iacopo, ma anche sulla sua presunta biografia: la pretesa affinità stilistica tra i due artisti sembrò infatti provare non solo il discepolato del Nizolla presso l’aretino, ma anche la sua discendenza dalla stessa cultura figurativa composita331. Secondo Georg Habich (1924), addirittura, le due maniere si distanziavano quasi esclusivamente per gli effetti di finitura e per la qualità più incisoria del disegno di Iacopo332: un giudizio di tal fatta è anche la ragione implicita della renitenza a riconoscere a Iacopo da Trezzo alcuni dei capolavori che discuteremo, aggirando il fatto che le medaglie firmate di Ippolita Gonzaga e di Maria Tudor mostrano eloquentemente lo spessore del personaggio e la tramatura lombarda delle sue esperienze figurative.

Persino dopo la monografia di Jean Babelon, che pure ha contribuito non poco a fare chiarezza sulla maniera propria dell’intagliatore lombardo, la progressiva scoperta di medaglie anonime di provenienza spagnola, ma morfologicamente italiane, ha fatto sì che alcuni capolavori della medaglistica milanese siano stati contesi a Iacopo da una terza figura poco messa a fuoco, quella di Pompeo Leoni (che tratteremo nel cap. I.5).

325 Medaglia di Filippo III, in Toderi e Vannel 2000, I, p. 65, n. 114. 326

Medaglie di Maria Tudor, in Toderi e Vannel 2000, I, p. 62, n. 99; di Johann Khevenhüller, in Toderi e Vannel 2000, I, p. 64, n. 109; e di Ascanio Padula, in Toderi e Vannel 2000, I, p. 64, n. 110.

327 Medaglia di Ippolita Gonzaga, in Toderi e Vannel 2000, I, p. 61, n. 95. 328

Medaglia di Isabella de Capua, in Toderi e Vannel 2000, I, p. 61, n. 97.

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La numerazione della legenda, “AET . AN . XVII”, colloca la medaglia nel 1551 (“aetatis anno decimo septimo”) o nel 1552 (“aetatis annorum septemdecim”). Sulla commissione delle altre medaglie di Ippolita cfr. anche il cap. II.4 e infra.

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Su questo aspetto della fortuna di Leone Leoni cfr. infra, cap. I.7.

331 Fabriczy 1904 (1903), p. 205.

332 Habich 1924, p. 134. In direzione di un rapporto di dipendenza, e non di discepolato, si pronunciò anche

Per ridefinire il corpus del Nizolla e difenderlo da sottrazioni indiscriminate è utile partire dalle sue prime opere ‘firmate’, le medaglie di Ippolita Gonzaga (1551-52), Isabella Capua (ante 1554), Filippo II (1555) e Maria Tudor (1554). Innanzitutto, i dettagli morelliani dei tre ritratti muliebri mantengono nel catalogo di Iacopo una precedente medaglia di Ippolita (1549-50) il cui busto ha un taglio inequivocabilmente lombardo333. Già nel 1892 Prospero Rizzini aveva proposto di ricondurre il pezzo a Iacopo da Trezzo, e nel 1922 Jean Babelon ne sostenne l’accostamento alle opere certe con argomenti stilistici cui si è rinunciato forse con troppa leggerezza, in linea con una tendenza che ascrive al capofila dei medaglisti milanesi, Leone Leoni, tutte i microritratti anonimi di più alta qualità formale. Persino la data del ritratto, che prepara o commemora il matrimonio tra la Principessa e Ascanio Colonna (1549)334, offre all’attribuzione un solido argomento esterno: durante il 1548-49 Leoni fu impegnato fuori Milano a Piacenza e a Bruxelles, mentre Iacopo rimase in Lombardia fino al 1554.

All’attività giovanile del Nizolla proponiamo poi di ascrivere anche la medaglia del capitano milanese Pietro Piantanida (1513-57), realizzata tra il 1548 e il 1550335. Nel capitolo dedicato ad Antonio Abbondio diversi dati anagrafici e stilistici ci consentiranno di escludere che il trentino sia l’autore di questo ritratto, come spesso è stato affermato: qui ci interessa piuttosto porne in rilievo l’affinità con la medaglia di Giannello Torriani nell’impaginazione del busto, nel drappeggio del manto (graffito fino a disegnare pieghe strette e profonde) e nell’incorniciatura del tondello (caratterizzato dal bordo liscio del

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Armand 1883-87, II, p. 213, n. 3 (anonimo), e III, p. 257, n. a (CMP, AV n. 1123: Leone Leoni, ma confonde questa medaglia con un altro tipo); Forrer 1902-30, VIII, Supplement, p. 242 (accetta l’associazione di Babelon con la medaglia di Maria d’Asburgo, ma esprime riserve sull’attribuzione a Iacopo da Trezzo); Magnaguti 1965, p. 123, n. 136 (senza attribuzione); Cano Cuesta 1994, p. 183, n. 37 (esprime riserve sull’attribuzione a Leoni); Rossi 1995, p. 423, n. V.40 (anonimo); Toderi e Vannel 2000, I, p. 52, n. 66 (Leone Leoni). Esemplari principali: Keary 1883 (1881), p. 70, n. 257 (Leone Leoni); Rizzini 1892, p. 51, n. 337 (Iacopo da Trezzo); Babelon 1922, pp. 193-195 (Iacopo da Trezzo); Hill 1931, p. 199, n. 433 (attribuisce a Leoni con riserve su qualità formale); Álvarez-Ossorio 1950, p. 169, n. 174 (Leone Leoni); Laurenzi 1960, p. 97, n. 176 (Leone Leoni); Hill e Pollard 1967, p. 132, n. 433 (attribuiscono a Leoni, ma giudicano l’opera di qualità inferiore a quella delle medaglie firmate); Pollard 1984-85, III, p. 1215, n. 710 (attribuisce a Leoni, ma mantiene le riserve espresse nel 1967); Börner 1997, p. 173, n. 748 (Leone Leoni); Attwood 2003, I, p. 116, n. 70 (Iacopo da Trezzo); Toderi e Vannel 2003, I, p. 51, nn. 441-442 (Leone Leoni); CRNM, cassetto 105, inv. nn. 1043-1044. Non è il caso di insistere qui sui legami epigrafici tra la prima medaglia d’Ippolita e quella autografa della madre Isabella de Capua: basti confrontare con la medaglia firmata di Ippolita l’attaccatura dei capelli, il profilo appiattito del volto, il mento sfuggente, il panneggio del drappo che passa dietro il collo; le labbra scarne, le nari tondeggianti e la forma delle palpebre sono confrontabili con quelle di Maria Tudor.

334 Sulla datazione del matrimonio cfr. Affò 1787, pp. 100-105 e Salza 1903, p. 62 (la data 1548 riportata da

Valerio 1977, p. 140, n. 101, e da Pollard 1984-85, III, p. 1215, n. 710, si riferisce invece alla conclusione delle trattative). Anche la numerazione della leggenda, “AET . AN . XV”, colloca la medaglia nel 1549 (“aetatis anno decimo quinto”) o nel 1550 (“aetatis annorum quindecim”).

335 Armand 1883-87, II, p. 179, n. 9, e III, p. 223, n. D (anonimo); Simonis 1904, tav. XXIII, fig. 5 (Étienne

de Hollande); Hill 1910-11 (1), p. 19 (scuola di Cellini; associa il pezzo alla medaglia di Scaramuzza Trivulzio, per la quale cfr. qui il cap. I.4); Hill 1913-14, p. 217 (riferisce una attribuzione ad Antonio Abbondio di Kurt Regling, ma riconduce il pezzo alla scuola di Cellini); Regling 1919-20, col. 93 (Antonio Abbondio); Hill 1920 (2), p. 134 (“perhaps by a Milanese master of the school of Cellini”); Habich 1924, p. 121 e tav. LXXXIII, fig. 4 (“Maestro del Cardinal Bembo”, milanese o veneto); Dworschak in Habich 1924- 35, II, 2, p. 486, n. 4 (Antonio Abbondio); Dworschak 1958, p. 50 (Antonio Abbondio); Schulz 1988, p. 19, n. 3.2 (Antonio Abbondio); Toderi e Vannel 2000, I, pp. 158-159, n. 411 (Antonio Abbondio). Esemplari principali: Rizzini 1892, p. 86, n. 595 (anonimo); Hill 1910-11, p. 19 (BML); Hill 1931, p. 196, n. 423 (scuola milanese); Hill e Pollard 1967, p. 80, n. 423 (scuola milanese); Pollard 1984-85, III, p. 1464, n. 864 (anonimo); Johnson e Martini 1995, p. 129, n. 2281 (erroneamente descritta come coniata ed attribuita a Leone Leoni); Börner 1997, p. 182, n. 790 (maniera di Antonio Abbondio); Attwood 2003, I, p. 126, n. 98 (“unidentified Milanese medallist, I”); Toderi e Vannel 2003, I, p. 60, nn. 524-525 (Antonio Abbondio). Sulla particolare vicenda critica di questa medaglia cfr. anche infra, cap. I.5.

recto, da quello a doppio solco del rovescio e dalle caratteristiche della legenda, tangente il capo e racchiusa tra due righe)336.

Strettamente legato per stile alla medaglia del Piantanida (con la quale condivide anche l’impaginazione della legenda tra due righe incise, la forma delle lettere ed una controversa attribuzione ad Antonio Abbondio) è il microritratto del misterioso Alessandro Cacurio, sulla cui biografia poco sappiamo337. Il tratteggio dei capelli, il taglio del busto e il panneggio del robone lo avvicinano anche al ritratto di Giannello Torriani (che è assai più tardo), mentre il taglio degli occhi e il profilo del volto trovano confronto soprattutto nella medaglia firmata di Isabella Capua.

Per chiudere il cerchio nell’attribuzione delle medaglie di Cacurio e Piantanida, opere giovanili del Nizolla, possiamo però aggiungere un dato inedito insperato: l’esemplare bresciano della medaglia di Cacurio, mai riprodotto, presenta infatti sul taglio della spalla un’iscrizione incisa: “IAC · TR · F”. Il testo della ‘firma’, sfuggita al catalogatore Rizzini e a tutta la bibliografia successiva, è peraltro molto simile a quello apposto nella stessa posizione sulle medaglie di Maria Tudor e Johann Khevenhüller (“IAC . TR”), mentre il “F(ecit)” è attestato nella medaglia coniata di Filippo II del 1588 (“IAC TRICI(us) F”). Quello bresciano è un esemplare tardo, anche se di qualità ottima, ma la qualità del ritratto e i caratteri del suo rilievo e dell’impaginazione offrono conferme ineludibili sul fatto che questa medaglia e le altre ad essa collegate siano opera di Iacopo da Trezzo.

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