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Gli esordi dell’iconografia all’antica (1530-36): pluralità di paradigmi e differenziazione tipologica

Cap II.1 “Legittimamente, e non tirannicamente ad honore del Principe fatte”: le medaglie d’apparato per l’Imperatore

IV. Gli esordi dell’iconografia all’antica (1530-36): pluralità di paradigmi e differenziazione tipologica

Le medaglie d’apparato coniate ebbero fortuna soprattutto per la loro replicabilità su larga scala. Il loro nesso coi cerimoniali e la loro circolazione più vasta incoraggiarono, più che nella medaglia fusa, l’adozione di un linguaggio ampiamente condiviso e controllabile nel significato: monete antiche e stampe di riproduzione favorirono così l’assorbimento di tipi, tagli, legende e stilemi all’antica. Il recupero della presunta funzione d’apparato della “medaglia antica” (teorizzata da scrittori come Sebastiano Erizzo) non fu però immediato: in una prima fase è possibile riscontrare diverse alternative al modello anticheggiante sia sul piano iconografico, sia su quello tipologico.

Durante le celebrazioni dell’incoronazione imperiale di Bologna (1530), ad esempio, i microritratti metallici circolarono in almeno quattro forme diverse. Innanzitutto, la visita di Carlo fu preceduta da un’emissione speciale di monete, che furono distribuite a suo nome durante la processione:

E cavalcando uno d’i suoi araldi buttò per la strada dinanti denari di oro e argento fatti a posta, nelli quali da una banda ero lo ritratto di sua Maestà incoronata, e scritto in mezzo: “1530”. Le monete d’oro erano parte da uno ducato, parte da dui e parte da quattro; quelle d’argento erano da due giulii e da tre778.

Dei nominali descritti sono conservati quelli da due imperiali d’oro, da un imperiale e da mezzo imperiale d’argento: tutti raffiguravano al recto l’Imperatore diademato, mentre per il rovescio fu prescelta una soluzione sperimentata, rassicurante e facilmente riconoscibile, l’impresa con le Colonne d’Ercole e il motto “PLVS VLTRA”, che riassumeva esattamente il carattere non territoriale dell’autorità ricevuta da Carlo779. L’incisore dei coni è

775 Per un esempio di medaglie papali cinquecentesche interrate in fondazioni cfr. Martinori 1917-30, IX, pp.

12-13.

776 Bartolotti 1973, pp. 76-85, mette in relazione la genesi della medaglia pontificia annuale proprio con la

riorganizzazione culturale di Roma dopo la pace di Barcellona (1529).

777

Cupperi 2002 (2), in part. pp. 31-32, 39-47.

778

Anonimo, Prima e seconda coronatione di Carlo V sacratissimo imperatore…, in Righi 2000, p. 37; cfr. anche le pp. 16, 90, 114. Tutte le fonti convergono nell’indicare almeno due nominali aurei e tre argentei, varietà che, forse per il pregio della loro lega, non sembrano essere tutte sopravvissute.

779

La delibera del Senato di Bologna che autorizzava la Zecca all’emissione (11 febbraio 1530) è pubblicata da Chimienti 1985, p. 8. Van Mieris 1732-35, II, pp. 318-320, identificò per primo tre dei tipi di monete distribuite durante la processione. Cfr. inoltre CNI, 10, p. 84, nn. 1-4, tav. V, n. 12, e Bernhart 1919, p. 84, n. 199, dove la moneta (un imperiale in argento del diametro di 27-29mm) è erroneamente considerata una

facilmente identificabile in Giovanni Bernardi da Castelbolognese (1496-1553), protetto di Paolo Giovio780: è probabile che a guidare la scelta sull’intagliatore emiliano fossero stati figure di fede imperiale come il vescovo di Bologna Lorenzo Campeggi o Alfonso d’Avalos (per la cui famiglia Bernardi realizzò medaglie di Vittoria Colonna e di Ferdinando d’Avalos in questi stessi anni)781.

Una diversa serie di medaglie in oro, del valore di cinquemila scudi, fu offerta in dono al solo Pontefice da Carlo V in persona, ma nessun esemplare è stato finora identificato. Sappiamo che i diversi tipi raffiguravano l’Imperatore, il fratello Ferdinando e i loro antenati, legittimando in forma genealogica la dignità augustea appena confermata per Carlo (ma già rivestita dal nonno Massimiliano I)782.

Anche il nuovo Cesare fu però oggetto di donazioni microritrattistiche. Giovanni Bernardi, come abbiamo ricordato nell’Introduzione, gli consegnò infatti un conio per medagliette a titolo di omaggio personale e di autopromozione, ottenendo in cambio cento doble e l’invito, subito declinato, a recarsi alla corte di Bruxelles783.

Il rovescio di questa medaglietta bolognese presenta un’iconografia monetale assai diffusa, la Vittoria che porge una corona d’alloro e reca nel braccio sinistro un ramo di palma. Anche il ritratto rivela una concezione antiquaria: Carlo V, presentato da titoli e formule epigrafiche attinte alla tradizione classica e legittimate dall’incoronazione, vi compare laureato, loricato ‘all’antica’ e con i capelli tagliati a mezzo orecchio, cioè “a uso degli imperadori romani”784. Le circostanze in cui la medaglia vide la luce, riferite da Vasari, ci aiutano a comprendere la scelta di questo motivo scopertamente encomiastico, che plaudeva al successo dell’Imperatore contro la Lega di Cognac e contro lo stesso Stato pontificio in nome della pacificazione che ne conseguiva per la Penisola785: il conio con la Vittoria, non commissionato, era stato realizzato dall’intagliatore di propria iniziativa. Esso fu stampato in pochissimi esemplari aurei per mostrarlo al sovrano, ma essi non circolarono tra gli astanti. Carlo se ne servì invece come modello per stampare i gettoni della Camera delle Finanze di Bruxelles (1542), il gabinetto che teneva le redini finanziarie del Brabante e riuniva i suoi massimi fiduciari (per lo più personalità di cultura fortemente italianizzata, come Antoine Perrenot de Granvelle): si tratta della stessa serie di gettoni i cui tipi sarebbero stati realizzati da Iacopo Nizolla a partire dal 1554. I punzoni che compongono il ritratto del gettone brabantino non sono però identici a quelli di Bernardi, e vanno ascritti ad un imitatore cui l’Imperatore dovette mostrare i coni da medaglia bolognesi786.

medaglia. Sulla storia dell’impresa cesarea con le Colonne d’Ercole cfr. i classici studi di Bataillon (1950 (2), pp. 13-27) e Rosenthal (1973, pp. 198-230).

780 Per la biografia e il catalogo di Giovanni Bernardi, attivo alla Zecca di Roma tra il 1534 e il 1538 e tra il

1541 ed il 1545, si vedano Ronchini 1868, pp. 1-28; Valgimigli 1869, pp. 83-92; Liverani 1870; Bertolotti 1881, p. 252; Martinori 1917-30, VIII, pp. 168 e 175-177; IX, pp. 56-66; Kris 1929, pp. 62-71; Eisler 1981, pp. 140-146; Donati 1989; Attwood 2000, pp. 161-176; Cupperi 2002 (2), pp. 39-45.

781 Cfr. in proposito Cupperi 2007 (1), pp. 250-251. 782 Cfr. Terlinden 1960, p. 36.

783 Vasari 1966-87 (1568), IV, p. 410.

784 Ulloa 1563, c. 327v: “Hebbe un poco il naso aquilino, il qual segno di grandezza di animo, fu osservato

ancora dagli antichi re de’ Persi. Portava poca barba, et si faceva tagliar i capelli a uso degli imperadori romani a mezzo orecchio”; il passo è ripreso in Sansovino 1567, cc. 21v-22r. Il taglio corto con i riccioli, accompagnato da una corona d’alloro, ricomparve nel 1533, quando il milanese Francesco Negroli lo rappresentò sulla calotta e sulla visiera di un casco destinato a coprire l’acconciatura di Carlo V (Madrid, Real Armeria): cfr. Pyhrr e Godoy 1998, pp. 125-131, n. 20.

785 Sul tema della pacificazione nelle committenze figurative di Clemente VII e Paolo III si veda ora

Kliemann 2001 (2), pp. 288-295.

786

Dugniolle 1876-80, II, p. 103, n. 1497 (BRAB, tiroir 62, nn. 3637), r/: “ + QVIA · TV · ES · DEVS · FORTITVDO · MEA · P · S · 42 ·”; v/: “GECTOIRS · DE · MESS · DE · FINA(N)SE ·DE LEMP”; in campo su banderuola “PLVS OVLTRE”. A proposito del conio donato a Carlo V vale la pena di ricordare che l’inventario dei beni che Carlo V lasciò a Bruxelles nel 1556, pubblicato da Pinchart 1856, pp. 227-228,

Al viaggio del 1530 risale infine una medaglia onorifica di modulo medio-grande fusa in pochissimi esemplari, i migliori dei quali sono in argento (uno di questi, oggi custodito a Vienna, potrebbe essere appartenuto a Carlo stesso ed essere pervenuto al medagliere austriaco assieme ai beni sottratti da Maurizio di Sassonia nel 1552 e poi restituiti a Ferdinando I)787. Si tratta probabilmente di un dono delle autorità locali all’Imperatore, e a nostro avviso la sua modellazione va ascritta ad Alfonso Lombardi, un protetto emiliano del cardinal Campeggi. Già a Bologna le strade della medaglia d’apparato e di quella da tesaurizzazione, l’una coniata, l’altra fusa, presero dunque a divergere.

Ai trionfi romani del 1536 (che celebrarono la presa di Tunisi dell’anno prima) si lascia invece ricondurre con sicurezza una sola medaglia: le sue caratteristiche rivelano che a sei anni di distanza dall’incoronazione bolognese la microritrattistica cesarea d’apparato aveva già assunto una direzione precisa. Il supporto dell’effigie celebrativa non era più una serie di monete speciali in metallo pregiato, destinate a scomparire in un arco assai breve di anni, ma una medaglia bronzea coniata, della quale sopravvivono numerosissimi esemplari d’epoca788. Pile e torselli furono forniti ancora da Giovanni Bernardi, che lavorò contemporaneamente ad alcune architetture effimere: la continuità di linguaggio tra monumenti celebrativi e microritratti metallici non fu mai così programmatica.

In questa medaglia l’iconografia laureata e l’acconciatura di moda adrianea (cioè a ciocche voluminose e lisce, pettinate verso l’orecchio e la fronte)789 si associano sul verso ad un’assimilazione a Scipione l’Africano che attinge ad un cartone pittorico di Giulio Romano, quello per La Clemenza di Scipione Africano di Palazzo Te (Sala dei Venti, 1527- 28) già riprodotto a stampa da Battista Franco790. Dopo la presa di Cartagena (209 a.C.), il generale romano aveva riportato un sontuoso bottino e restituito la libertà e i beni immobili agli abitanti della regione791; all’indomani della conquista di Tunisi, altra città africana, Carlo V (la cui formazione cavalleresca aveva previsto sin dall’infanzia delle letture di storia romana) conferì nuovamente al vassallo Muley Hassen i domini dai quali il pirata Barbarossa lo aveva spodestato792. Da allora gli apparati dell’itinerario italiano di Carlo evidenziarono a più riprese la relazione tra i due modelli eroici, ed anche sul recto della nostra medaglia il titolo di Augusto fu fatto seguire dall’appellativo “AFRICANVS” 793. La scelta di quest’episodio di riconciliazione assunse un significato preciso nel quadro delle coeve manifestazioni romane, pensate soprattutto per chiarire e preparare i termini del confronto dell’Imperatore con i poteri locali. Già nella narrazione liviana la clemenza di

registra ben “quatre coings d’achier pour estamper la resemblance de l’Empereur, dont l’une est cassée”, senza precisare però se essi servissero per fabbricare medaglie, gettoni o monete.

787 Un indizio in tale direzione è dato dalla provenienza viennese e madrilena degli esemplari a due facce.

Sulle vicende della collezione di Carlo V cfr. infra, cap. II.2.

788

Bibliografia: Luckius 1620, p. 87; Armand 1883, I, p. 139, n. 8; Bernhart 1919, p. 73, n. 158; Kris 1929, p. 62; Donati 1989, p. 104; Toderi e Vannel 2000, II, p. 655, n. 2045. Esemplari principali: Regling 1911, p. 49, n. 596; Bernhart 1919, p. 73, n. 158; Börner 1997, p. 114, n. 454.

789 Cfr. per esempio RIC, II, p. 408, n. 547, tav. XV, fig. 307, e p. 416, n. 594a, tav. XV, fig. 306, che

presentano la medesima mezza barba a taglio arrotondato e baffi spioventi e le stesse ciocche fitte, raccolte dalla corona d’alloro. Attwood 2000, I, p. 167, nota 29, segnala che anche l’iconografia del rovescio deriva da un sesterzio adrianeo.

790 Per l’affresco cfr. Hartt 1958, I, pp. 115 ss. (tav. II, fig. 209). Per la stampa cfr. Massari 1993, p. 194, n.

181: la scena è rappresentata in controparte, così come fu incisa nel conio della medaglia in questione. Debbo la segnalazione del modello giuliesco a Jean Guillemain.

791 Liv., 26, 47; Plb., Hist., 10, 17, 6-16.

792 Sulle letture di storia che formarono la fanciullezza di Carlo cfr. Gonzalo Sánchez-Molero 2005, I, pp.

237-249. Armand 1883-87, I, p. 139, n. 8, pensò invece a una scena di storia antica in cui un capo rilascia dei prigionieri, e ritenne che la raffigurazione alludesse agli ostaggi cristiani liberati nella stessa occasione.

793 Il soggetto di Scipione si diffuse a partire dal 1536 nelle celebrazioni effimere di Carlo e fu costante in

Scipione illustra principi programmatici: il riconoscimento della potestas populi Romani è proposto come garanzia d’ordine e prosperità, e l’imperator repubblicano deve essere acclamato non come sovrano, ma come difensore794. L’iconografia scipionica, interpretata alla luce della sua fonte letteraria, rivela così una ricerca di corrispondenze tra l’occasione moderna e il significato antico dell’immagine.

I procedimenti encomiastici della medaglia d’apparato erano ormai messi a punto, ma a partire dal 1541 sarebbero state le iconografie di ispirazione numismatica, e non quelle della pittura di storia o dell’impresistica, a interpretare al meglio questa forma di comunicazione: la disponibilità di modelli diffusi e prestigiosi come le monete imperiali romane e l’esistenza di una disciplina dedita alla loro decifrazione avrebbe garantito alle medaglie d’apparato maggiore perspicuità e univocità esegetica.

Se non tutte le soluzioni di microritratto celebrativo emerse tra il 1530 e il 1536 ebbero corso nei decenni successivi, durante gli anni trenta neppure il paradigma della medaglia coniata more antiquo si impose in maniera esclusiva nella prassi cerimoniale: tra le medaglie di modulo piccolo è infatti possibile trovare anche tipi cesarei fusi, alquanto più rari e di funzione più oscura, forse autopromozionale, risalenti a questa fase. Una medaglia siglata da “TP”, ad esempio, presenta l’Imperatore in associazione con una veduta allegorica di Milano che rappresenta i Francesi estromessi nei panni di caduti all’antica e la vittoria degli Spagnoli come effetto dell’intervento di San Michele. La medaglia, il cui stile è databile intorno al quinto decennio del XVI secolo, potrebbe alludere alle vittorie del 1525 o essere addirittura successiva all’occupazione di Milano del 1535: in ogni caso, difficilmente essa vide la luce al di fuori dei quattro italiani viaggi di Carlo.

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