Cap I.6 Presunti lombardi: la questione della ‘scuola milanese’ in area veneta ed emiliana
I. Antonio Abbondio
4. Per una nuova interpretazione, geografica, dei rapporti tra Abbondio e la ‘scuola’ milanese
Così isolato dai ‘corpi vaganti’ che ha trascinato con sé nella sua fortunosa vicenda critica, il percorso di Antonio Abbondio si presta ora maggiormente ad essere interpretato nelle sue componenti e nella sua evoluzione, gettando di riflesso una luce nuova anche sulle fortune delle opere milanesi oltre i confini del Ducato.
Gli esordi della produzione che conosciamo sono rappresentati probabilmente dalle medaglie di Pierpaolo Maffei e Niccolò Vicentino (fine degli anni cinquanta o inizio degli anni sessanta), e sicuramente da quelle di Iacopo Antonio Sorra Boncompagni (1561) e di Alonso Pimentel (1562, unico personaggio connesso forse con Milano). Alla stessa fase o ad un momento poco precedente risalgono le prime cere di Abbondio, i ritratti di Massimiliano II e sua moglie Maria d’Asburgo della Pinacoteca Ambrosiana, che sono datate da Ernst Kris intorno al 1565 sulla base del taglio e dell’effetto plastico, meno “rigido e duro” rispetto alle cere del medesimo autore custodite a Monaco di Baviera e a Vienna688.
Ora, tra le cere ascritte ad Antonio risultano anche due ritratti di Alfonso II d’Este e della sua consorte689, e la medaglia di Nicola Vicentino presenta convergenze con le ultime opere ferraresi di Pastorino, pur senza condividerne l’aspetto impiombato e l’ingessatura espressiva690. Il musicista vicentino fu per l’appunto attivo nella capitale estense fino alla fine degli anni cinquanta o poco oltre691− ed è probabile che Antonio ne abbia modellato la medaglia nel medesimo periodo, durante il quale − spostandosi tra il Veneto (Pierpaolo Maffei), l’Emilia (dove viveva il Sorra) e forse Bozzolo − l’artista si confrontò con le grandi personalità che la microplastica cispadana era andata riunendo in quegli anni692. È in
687 Alla luce della biografia fornita a suo tempo da Joseph Bergmann, la leggenda del recto (“[…?] . IO .
LODOVICVS . BAR . MADRV . [testa, fregio] ELECTVS TRIDENTINVS [fregio]”, scilicet EPISCOPVS PRINCEPS) fornisce elementi essenziali alla datazione: raffigurato con mozzetta e berretta, Ludovico risulta vescovo designato di Trento, ma non ha ancora ricevuto il pastorale ed il titolo di principe, che è infatti assente nella didascalia; considerato l’aspetto giovanile e imberbe, dal momento che il giovane barone divenne coadiutore dello zio Cristoforo Madruzzo nel vescovado di Trento e suo amministratore dal 1549, la data del ritratto dovrebbe essere compresa tra il 1561, quando Giovanni Ludovico ventinovenne fu ordinato sacerdote e ottenne il cappello cardinalizio, ed il 1567, quando egli successe allo zio. Toderi e Vannel 2000, I, p. 161, n. 422, collocano invece la medaglia nel 1567, interpretando lo stemma dei principi vescovi sul rovescio (che era familiare) come un segnale dell’avvenuta successione allo zio Cristoforo.
688 Per queste ultime cere cfr. Kris 1928 (1), pp. 391-393. 689
Gerola 1932, p. 101; Dworschak 1958, p. 15. Attwood 2003, I, p. 447, ipotizza che fossero state le referenze estensi a consentire ad Antonio di ritrarre in cera Barbara d’Austria nel 1565, quando la Principessa sposò il Duca di Ferrara ad Innsbruck.
690
Cfr. per esempio i ritratti del giureconsulto Giovanni Ronchegalli (†1567), del patrizio Girolamo Canani (1556) o di Pompeo Pendalia (1560), in Toderi e Vannel 2000, II, risp. p. 608, n. 1866; p. 614, n. 1901, e p. 624, n. 1951.
691 Sulla biografia di Niccolò Vicentino cfr. Kaufmann 1961, p. 50.
692
Una medaglietta fusa di Giulio Cesare Gonzaga di Bozzolo presenta interessanti affinità con i talleri di Rodolfo II del 1599, basati su un modello abbondiesco (cfr. Attwood 2003, I, p. 448, fig. 117), ed una seconda effigie metallica del conte lombardo è da tempo attribuita ad Antonio (cfr. supra). Un possibile transito di Abbondio nell’area mantovana è ipotizzato già da Magnaguti 1965, p. 45.
Emilia, del resto, che la produzione abbondiesca di ‘medaglie’ unilaterali in cera policromata trovò riscontro in una tradizione, ed è qui che si colloca, tra gli anni cinquanta ed il decennio successivo, l’attività di un artista che sembra essere stato decisivo per la formazione del nostro, il cremonese Andrea Cambi. A quest’ultimo (considerato con attenzione anche da Pompeo Leoni) riconducono infatti le capigliature pastose e movimentate, il forte scavo delle orbite, la complessità dei panneggi muliebri di Abbondio e la sua preferenza per lettere rade e sottili, prive di bordo perlinato693.
L’area d’attività privilegiata dal nostro medaglista ai suoi esordi è compresa tra la Valpadana meridionale ed orientale, il Trentino e l’entroterra veneto: qui la sua opera trova analogie iconografiche e tipologiche con i corpora oggi attribuiti a Danese Cattaneo e ad Alessandro Vittoria, artisti con cui condivise anche il piacere per un modellato sciolto e arruffato nei capelli e l’attenzione, per lui tardiva, per i drappeggi del Tintoretto694. Dalla stessa regione provengono anche opere per cui il trentino sembra essere stato un punto di riferimento, come i ritratti anonimi di Antonio da Feltre e di un Girolamo “MORCAT…” giureconsulto695.
La cultura figurativa entro cui Abbondio esordì fu dunque molto più distante da Milano di quanto finora creduto, e se è vero che la sua produzione giovanile si rapportò all’opera del Nizolla degli anni cinquanta, bisogna anche precisare che essa lo fece traducendo le invenzioni iconografiche del bergamasco in uno stile emiliano-veneto, ignorando le convenzioni adottate da Iacopo nell’impaginazione del rilievo ed applicando finiture più disinvolte nella figurazione, nelle iscrizioni e nei bordi lisci. Nelle medaglie di Antonio è tangibile lo sforzo di tradurre la finitura cesellata e le iconografie delle migliori medaglie di Iacopo da Trezzo in un modellato altrettanto ricco, ma più nervoso.
Un esempio particolarmente felice di quest’imitazione estemporanea di modelli prestigiosi milanesi è costituito dalla medaglia firmata di Niccolò Madruzzo (†1570), i cui rapporti con quella leoniana di Ferrante Gonzaga (1556) sono stati precocemente evidenziati696. Lo sguardo sbarrato del ritratto, i suoi capelli voluminosi e schematici e soprattutto i nudi poco articolati del rovescio ne collocano la modellazione intorno al 1570697, come già proposto dallo Hill su basi biografiche (l’allusione ai rovesci che Niccolò affrontò della parte terminale della sua vita)698; la stessa ‘firma’ è del tipo usato da Abbondio durante la maturità e nella medaglia di Caterina Riva, probabilmente coeva a quella di Niccolò (come
693 Per una visione d’insieme sui rapporti tra Andrea Cambi e la medaglistica di Milano rinviamo al cap. I.7. 694 Quella per il Tintoretto è una predilezione che assume massima evidenza nelle placchette con Toeletta di
Venere, Madonna col Bambino e il Ciclo dei pianeti, considerate da Fries anteriori al 1572 (Fries 1925-26, pp. 126-128). È a questa terza fase di stile, che si inseriscono la barba filamentosa di Caspar Lindegg (1575), il ritratto di Caterina Riva da sempre accostato al cremonese Bombarda, e quello dell’anonima pudica “L . CH . T . M .”. L’attenzione di Abbondio per la pittura veneziana, lungi dall’essere in sé periodizzante – l’assenza di Antonio dall’Italia fu pur sempre interrotta da viaggi – perdura ancora negli anni settanta, quando Abbondio assume gli stessi panneggi a onde larghe e inverosimilmente regolari che ritroviamo nel ritratto-omaggio a Iacopo da Trezzo (1572), realizzato in Spagna dopo un verosimile transito per la nostra penisola.
695 Per la medaglia del giureconsulto cfr. Armand 1883-87, III, p. 234, n. D (KMW), e Regling 1919-20, coll.
90-96 (SMB); per quella di Antonio da Feltre cfr. Toderi e Vannel 2000, I, p. 104, n. 245 (anon. milanese).
696
Sulla medaglia di Niccolò cfr. Luckius 1620, p. 124; Herrgott 1752, tav. XXIII, fig. 48; Bergmann 1845, p. 4; Dworschak, in Habich 1929-35, II, 2, p. 489, n. 3341; Dworschak 1958, pp. 50 e 60-61 (foto); Toderi e Vannel 2000, I, n. 416.
Il riconoscimento della dipendenza del recto da modelli leoniani è dovuto a Rosenheim e Hill 1907, pp. 141- 150; solo recentemente però Federico Cessi (in AKL, I, pp. 151-153); ha identificato puntualmente il modello iconografico del busto nella medaglia di Ferrante Gonzaga (Toderi e Vannel 2000, I, p. 57, n. 85).
697 I capelli sono accostabili al mocroritratto abbondiesco di Sebastian Zäh, che è del 1572 (Toderi e Vannel
2000, I, p. 165, n. 443); i nudi sono simillimi a quelli della Victoria Dacica, realizzata nel 1575 come rovescio per un’effigie di Massimiliano II in cera e per una sua versione ridotta in metallo (entrambe sono schedate da Karl Schulz, in Scher 1994, p. 172, n. 62).
sostenne il Dworschak). Il rapporto con il prototipo leoniano non è dunque indizio della datazione precoce della medaglia (Vannel e Toderi), così come la stranezza iconografica sottolineata da Rosenheim (Niccolò porta il collare del Toson d’oro, che non ottenne mai) non è una spia dell’inesperienza dell’artista, bensì la conseguenza di un surmoulage mal ritoccato, perché il collare è quello del ritratto di Ferrante Gonzaga che funse da modello699. La copiatura dell’illustre precedente, un ritratto di generale che avrà ampia fortuna, fu probabilmente richiesta dal committente, che aveva avuto frequenti contatti con Ferrante Gonzaga (da ultimo nel 1564, quando Niccolò giunse come commissario a Casale Monferrato).
Il mancato riconoscimento dei binari tipologici che accreditarono oltre ogni frontiera le soluzioni di Leoni e dei suoi successori ha finito invece per mascherare dietro corpora stilisticamente compositi (il “Maestro del cardinal Bembo”, il “Maestro del Cardano”, Abbondio giovane) la distinzione tra le tradizioni figurative diverse che si incontrarono a Milano, le semplici assonanze formali derivate da antenati comuni (per Antonio Abbondio e Leone Leoni soprattutto da Iacopo Sansovino), e altri fenomeni di più prona imitazione (come quelli che caratterizzarono il seguito lombardo di Iacopo da Trezzo o quello emiliano di Pompeo e Bombarda).
Il rapporto di Antonio con la medaglistica di Milano sembra essere stato alimentato più dallo studio a distanza di esemplari seriali, che non da una condivisione di ambienti e di esperienze visive700. Il referente costituito dalla cultura milanese, attivo senz’altro a livello formale, non appare imprescindibile neppure sul piano della biografia dell’artista, perché i ritratti dello spagnolo Pimentel e di Niccolò Vicentino potrebbero essere stati modellati lontano dal capoluogo lombardo.
Figura itinerante e di frontiera, Abbondio guardò a Milano come a un repertorio di modelli aulici da considerare quando il soggetto (soprattutto i militari di gravitazione asburgica come Pimentel e Madruzzo) o i desideri della committenza li rendessero opportuni, ma da variare con soluzioni più arditamente parossistiche nel caso di figure femminili e con i tipi della tradizione veneta nelle altre evenienze. Anche per questo, mentre dopo il 1571 la plastica lombarda, accantonata quasi del tutto la koiné leoniana, dovette evolvere sul binario della sintesi tosco-lombarda messa a disposizione dalle opere scultoree, medaglistiche e glittiche di Annibale Fontana, l’opera di Abbondio si sviluppò invece nella direzione astraente suggerita da Danese Cattaneo, approdando alle forme levigate e anodine (ma ancora felicemente espressive) che caratterizzarono la sua fase oltralpina.