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7. I bersagli diretti: il riso contro l’individuo, contro le istituzioni, contro i govern

7.3. Il grottesco come sanzione

7.3.2. La bambina monociglia ed Evie Burns: un ridicolo fisico motivato

È totalmente consentito l’accanimento sul ridicolo fisico quando non abbiamo dubbi che il bersaglio si meriti tale trattamento: spesso, di fronte a un personaggio davvero negativo che si propone in una qualche posizione di dominanza, qualsiasi forma di risposta viene ammessa. Infierire su tratti somatici abnormi diventa così un mezzo di vendetta come un altro, a volte l’unico che si ha a disposizione per replicare al fuoco nemico.

Si prenda il trattamento riservato alla bambina monociglia che si distingue tra gli spettatori dello spettacolo di Lifafa Das. Il narratore la connota in maniera tale che fin da subito risulta un ideale bersaglio: è talmente malvagia (tanto da scatenare il tentato linciaggio del buon Lifafa Das) da meritare di diventare oggetto del nostro riso sanzionatore. D’altronde, visto che (apparentemente) narratore e lettore non hanno altro modo di intervenire sulla materia del romanzo, questo tipo di riso diventa l’unico modo per vendicarsi degli atti imperdonabili del piccolo mostro.

Il tratto fisico che può dar adito alla derisione, che viola la norma estetica (e permette il “non sono io” del confronto) è il monociglio; ma perché si operi la transizione verso il comico è necessaria la connotazione della bambina come personaggio di cui ridere. Il che avviene già attraverso la specificazione patronimica: figlia di un personaggio già ampiamente indicato come ripugnante, pare

replicarne il carattere, e si carica dei tratti negativi del padre. Fin dalle espressioni del suo volto, tra l’altro, sembra possibile riscontrare pretese di alto rango, presunzioni di grandezza; e l’onniscienza del narratore ci annuncia che dietro le sue labbra si celano terribili progetti:

this one particular girl, a girl with one long hairy continuous eyebrow shading both eyes, the eight-year-old daughter of that same discourteous Sindhi who is even now raising the flag of the still-fictional country, of Pakistan on his roof, who is even now hurling abuse at his neighbour, while his daughter rushes into the street with her chavanni in her hand, her expression of a midget queen, and murder lurking just behind her lips. What’s her name? I don’t know; but I know those eyebrows. (75)

L’atto di vendetta principia con alcune pennellate lessicali, come la specificazione antitetica “midget” associata a “queen”, e con il focus maliziosamente incentrato sulle ciglia, così importanti e macroscopiche nella loro bruttezza da contare, nell’individuazione del personaggio, più del nome, che non viene mai esplicitato: è una vera e propria perfida damnatio memoriae!

L’accanimento del narratore è percepibile nella sua insistenza: la ripetizione della specificazione del monociglio è totalmente gratuita. Lo svelamento della malvagità va di pari passo con l’introduzione di altri tratti passibili di sanzione ridicola: la lisca nella pronuncia è la risposta alla pretesa di un’innocenza totalmente assente. Si infierisce, inoltre, con la traslitterazione mimetica del difetto fonetico, per replicare alla prepotenza dei di lei strepiti:

But today there is something hysterical in the air; something brittle and menacing has settled on the muhalla as the cloud of cremated Indiabikes hangs overhead ... and now it slips its leash, as this girl with her one continuous eyebrow squeals, her voice lisping with an innocence it does not possess, ‘Me firtht! Out of my way... let me thee! I can’t thee!’ (76)

A caricare antiteticamente la connotazione negativa viene enfatizzata anche la gentilezza di Lifafa Das; il contrasto mette ancor più in cattiva luce la bambina:

Because there are already eyes at the holes in the box, there are already children absorbed in the progression of postcards, and Lifafa Das says (without pausing in his work – he goes right on turning the knob which keeps the postcards moving inside the box), ‘A few minutes, bibi; everyone will have his turn; wait only.’ (ibidem)

La ragazzina si fa totalmente odiosa, la sua cattiveria si spinge talmente oltre, che Lifafa Das, sopraffatto, preferirebbe scomparire. Reazione inversa da parte del narratore, che interviene ancor più pesantemente nella replica, inasprendo il tono in una sorta di climax parallelo all’intensificazione di prepotenza e violenza della piccola valchiria, a base di condensazioni (elemento fondamentale per il comico linguistico, come già più volte osservato) di più difetti (si aggiungono anche le dita cicciotelle…) in espressioni canzonatorie sempre più efficaci:

To which the one-eyebrowed midget queen replies, ‘No! No! I want to be firtht!’ Lifafa stops smiling – becomes invisible – shrugs. Unbridled fury appears on the face of the midget queen. And now an insult rises; a deadly barb trembles on her lips. ‘You’ve got a nerve, coming into thith muhalla! I know you: my father knows you: everyone knows you’re a Hindu!!’

Lifafa Das stands silently, turning the handles of his box; but now the ponytailed one-eyebrowed valkyrie is chanting, pointing with pudgy fingers (ibidem)

La situazione poi sfugge di mano, interviene anche il padre della bambina ad aizzare la folla, e si rischia il linciaggio di Lifafa. Non c’è più possibilità di riso, la gravità della situazione lo inibisce, a riprova del fatto che il contesto è fondamentale. Le invettive e il linguaggio scurrile (“from his window the girl’s father leans out and joins in, hurling abuse at a new target, and the Bengali joins in in Bengali... ‘Mother raper! Violator of our daughters!’…”, ibidem), che in altre situazioni avrebbero potuto far ridere, qui non riescono a suscitare reazioni di ilarità.

Addirittura fa orrore quello che altrove potrebbe essere un esempio efficace di comico infantile, basato sull’ingenuità dei bambini che usano il linguaggio adulto senza capirne il significato: i monelli di strada, infatti, riprendono storpiandolo il coro contro il violentatore: “and the schoolboys have begun to chant, ‘Ra-pist! Ra-pist! Ray-ray-ray-pist!’ without really knowing what they’re saying” (ibidem). Ma a questo punto il lettore è troppo coinvolto emotivamente per potersi distanziare dalla situazione e l’effetto umoristico viene opportunamente trascurato.

Trattamento simile riceve la piccola Evie Burns, altra figura esilarante. Fin dall’inizio è al lavoro, nella sua descrizione, il comico del linguaggio, che integra tratti già caricaturali:

her hair was made of scarecrow straw, her skin was peppered with freckles and her teeth lived in a metal cage. These teeth were, it seemed, the only things on earth over which she was powerless – they grew wild, in malicious crazy-paving overlaps, and stung her dreadfully when she ate ice-cream. (181)

È interessante l’accenno di animismo (cfr. sez. 10.3) a cui sono sottoposti i denti della bambina. Proprio questi sono la chiave del comico, in quanto si configurano immediatamente come le uniche entità che paiono sfuggire alla prepotenza di Evie, che quindi viene connotata negativamente (e vedremo quanto a ragione…; e d’altronde con una prolessi si è già accennato al fatto che a breve diventerà addirittura un’assassina). Non solo: proprio attraverso una battuta su di essi si instaura un legame sineddochico con l’America tutta, che per la proprietà transitiva dell’analogia andrà a coinvolgere satiricamente anche il piano del potere e dell’arroganza nell’imporlo che contraddistingue sia la ragazzina che gli Stati Uniti:

(I permit myself this one generalization: Americans have mastered the universe, but have no dominion over their mouths; whereas India is impotent, but her children tend to have excellent teeth.) (ibidem)

Di Evie vengono stigmatizzate le pretese di alto rango, il suo porsi come superiore di fronte agli altri bambini. Il suo tentativo di raggiungere un’epicità adulta deflagra nella sproporzione tra materiali e ambizioni. Lo stoicismo estremo contro il mal di denti che culmina con l’esagerazione del richiamo allo spirito della frontiera (del dolore), ad esempio, si esplicita nella tenacia nel continuare a consumare dolci e bibite:

Racked by toothaches, my Evie rose magnificently above the pain. Refusing to be ruled by bone and gums, she ate cake and drank Coke whenever they were going; and never complained. A tough kid, Evie Burns: her conquest of suffering confirmed her sovereignty over us all. It has been observed that all Americans need a frontier: pain was hers, and she was determined to push it out. (ibidem)

Il tono di questi episodi è molto più lieve e disteso di quelli con la bambina monociglia come protagonista, e tale rilassatezza è percepibile anche per quel che riguarda l’uso delle tecniche comiche: si veda la serie di giochi di parole floreal-onomastici (Evie è abbreviazione per Evelyn Lilith) abbastanza innocui (e di dubbio valore):

Once, I shyly gave her a necklace of flowers (queen-of-the-night for my lily-of-the-eve), bought with my own pocket-money from a hawker-woman at Scandal Point. ‘I don’t wear flowers,’ Evelyn Lilith said, and tossed the unwanted chain into the air, spearing it before it fell with a pellet from her unerring Daisy air-pistol. Destroying flowers with a Daisy, she served notice that she was not to be manacled, not even by a necklace: she was our capricious, whirligig Lill-of-the-Hill. And also Eve. The Adam’s-apple of my eye. (ibidem)

La punizione per la sua prepotenza è, come nel caso precedente, l’esposizione attraverso il ridicolo della descrizione, per mezzo della trascrizione del suo difetto di pronuncia misto a un terribile accento yankee (“‘Hey, you widda leaky nose! Stop watching the schoopid ball, ya crumb! I’ll showya something worth watching!’, p. 182) e della condensazione definitoria derisoria: la cowgirl in erba (e apparecchio dentale), è definita una “Annie Oakley in tooth-braces” (ibidem).

Abbastanza immediato anche il gioco sulla polisemia del termine “Indians”, che vale sia per la nazionalità dei bambini angariati che per il ruolo che questi vengono ad assumere nella visione colonialista da americano della frontiera di Evie: “‘From now on, there’s a new big chief around here. Okay, Indians? Any arguments?’” (183).

Come in ogni (parodia) western che si rispetti, l’episodio si concluderà con una sfida all’ultimo sangue, per garantire a uno dei due contendenti la permanenza in una città troppo piccola per entrambi. A opporsi ad Evie sarà Brass Monkey, la sorella di Saleem. In questo caso il comico gioca sulle convenzioni di genere e sull’inadeguatezza del materiale. La preparazione del duello, infatti, ha un tono epico che va a sgonfiarsi quando viene descritta la vera e propria tenzone, una prosaica rissa tra due bambine.

È il caso di spendere due parole anche per la vincitrice della contesa, Brass Monkey, uno dei pochi personaggi a difettare di tratti caricaturali fisici (a meno che non si voglia considerare tale – e probabilmente per la complessione indiana lo è – la folta criniera rosso tiziano che le è valsa il soprannome), che compensa questa carenza con un’abitudine sviluppata fin dalla più tenera età al fine di conquistare l’attenzione degli adulti: dar fuoco alle loro calzature:

my sister the Brass Monkey developed the curious habit of setting fire to shoes. […] Obliged to fight for attention, possessed by her need to place herself at the centre of events, even of unpleasant ones (she was my sister, after all; but no prime minister wrote letters to her, no sadhus watched her from their places under garden taps; unprophesied, un-photographed, her life was a struggle from the start), she carried her war into the world of footwear, hoping, perhaps, that by burning our shoes she would make us stand still long enough to notice that she was there ... she made no attempt at concealing her crimes. When my father entered his room to find a pair of black Oxfords on fire, the Brass Monkey was standing over them, match in hand. His nostrils were assailed by the unprecedented odour of ignited boot-leather, mingled with Cherry Blossom boot-polish and a little Three-In-One oil ... ‘Look, Abba!’ the Monkey said charmingly, ‘Look how pretty – just the exact colour of my hair!’

Despite all precautions, the merry red flowers of my sister’s obsession blossomed all over the Estate that summer, blooming in the sandals of Nussie-the-duck and the film-magnate footwear of Homi Catrack; hair- coloured flames licked at Mr Dubash’s down-at-heel suedes and at Lila Sabarmati’s stiletto heels. Despite the concealment of matches and the vigilance of servants, the Brass Monkey found her ways, undeterred by punishment and threats. For one year, on and off, Methwold’s Estate was assailed by the fumes of incendiarized shoes; until her hair darkened into anonymous brown, and she seemed to lose interest in matches. (150)

Con questo tipo di comico ritorniamo al piacere bachtiniano della rimozione dalle costrizioni: qua non ridiamo di Brass Monkey ma con lei. Il suo gesto anarchico di rivolta liberatrice contro il potere adulto ci permette di godere, anche se solo per un momento e per interposta persona, del piacere dell’abbandono ai più piacevoli istinti antisociali.