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7. I bersagli diretti: il riso contro l’individuo, contro le istituzioni, contro i govern

7.1. Non-più comico?

Possiamo addirittura partire prendendo in esame un comico che forse non è più comico, o perlomeno fa meno ridere di quanto facesse un tempo (in senso individuale, in riferimento all’età infantile, e in senso antropologico e sociale, sulla base di un progresso evolutivo culturale dell’uomo che ha modificato da un lato le nostre soglie inibitorie, dall’altro i nostri processi cognitivi in relazione a certi tipi di diversità percepite).

Potremmo parlare di pre-comico, o di comico superato, nell’ontogenesi e nella filogenesi del fenomeno. Ben avvertibile tale situazione è quando il riso semiotizzato nel testo non ha un riscontro nella reazione del lettore, come quando i bambini si prendono in giro per determinate caratteristiche fisiche o ridono dopo aver pronunciato una parolaccia.

Qui l’opposizione degli script è quasi banale, riguarda concetti di normalità e di paura del diverso immediati (i ragazzini ridono del contrasto tra ciò che reputano il corpo “normale” e i tratti abnormi che invece riscontrano nei compagni) e opera contro la repressione di un’autorità genitoriale beneducata che per una persona matura e sofisticata dovrebbero aver perso ogni valore.

Il senso di tale riso però può essere recuperato grazie alla categoria del grottesco, che sposta i parametri di opposizione e trasgressione su altri assi (il nostro ridere di Saleem, vedremo, è diverso da quello dei sui amici). Prima è il caso di dedicarsi brevemente al fenomeno del turpiloquio, che occupa lo stesso territorio di confine, tra risate ormai inammissibili e una rivitalizzazione all’interno di un diverso sistema di valori.

7.1.1. Il turpiloquio

Molti personaggi di Midnight’s Children e Shame fanno ridere perché sono sfacciati, sboccati, privi di freni inibitori. Attraverso la loro sguaiatezza proviamo il piacere vicario della violazione delle norme sociali e morali di buona creanza: il loro linguaggio ci scandalizza ma è anche liberatorio.

Certo, non si tratta di forme di comico fini, l’opposizione degli script è immediata e riguarda necessità di appropriatezza di linguaggio e uso di un eloquio turpe, ingiurioso, sfacciato. A volte l’effetto che si produce sul lettore è addirittura opposto, la trasgressione viene percepita come

inammissibile, la reazione è di indignazione, e in questi casi la volgarità serve a stigmatizzare certi personaggi negativi, seppur mantenendo sottotraccia una lieve forza liberante (la natura di formazione di compromesso è sempre in agguato).

A complicare il discorso interviene il situarsi delle storie narrate in una cultura lontana dalla nostra, in cui il rapporto con il turpiloquio è diverso. Nei romanzi stessi si mostra come certi usi dell’ingiuria e dell’improperio siano istituzionalizzati, più che nel caso del nostro carnevale (cfr. comunque Siegel 1987, secondo cui a un’analisi abbastanza profonda risulta che le differenze nei valori associati a oscenità e volgarità non differiscono molto tra contesto indiano e occidentale). Forse la differenza è percepibile più sul piano della quantità che della qualità: perché il pubblico indiano possa intendere un fenomeno come grottesco, questo deve essere veramente grottesco, in un modo quasi insostenibile per il pubblico occidentale.

Ma questo permette la rivitalizzazione a cui si accennava sopra: quando certe violazioni sono consentite è l’elaboratezza di esse che determina il riso, l’esagerazione; il sistema di valori da prendere in considerazioni non sarà più l’acconciatezza lessicale quanto i canoni che il contesto impone: in una gara di parolacce non valgono le stesse regole di una conversazione formale; il tipo di repressione e l’altezza a cui si situa l’asticella che segna il confine tra questa e represso vanno riconsiderate.

Quando ad esempio si parla di eventi in cui quella dell’insulto è una consuetudine, diventa esilarante la capacità estrema di ingiuria. Come vedremo in altri campi nei prossimi capitoli, ogni violazione di una norma impone per forza di cose un sistema normativo secondario a sua volta con regole da rispettare – così è per il linguaggio poetico, ad esempio (cfr. sez. 5.5 e cap. 10). Violare queste norme di secondo grado dà di nuovo adito al comico.

Si prenda per esempio la tradizione degli insulti durante le celebrazioni dei matrimoni, in Midnight’s Children, di cui la vecchia Resham Bibi è vera maestra. In quei casi l’improperio non solo è accettato, ma propugnato. Quel che fa ridere, però, è la maestria della donna, che tocca toni parossistici tali da arrivare a violare le norme imposte nel/dal turpiloquio. Quando questa muore ci si lamenterà che il suo talento manchi al matrimonio:

and she missed my wedding as a result, which was sad, because like all old women she loved weddings, and had in the past joined in the preliminary henna-ceremonies with energetic glee, leading the formal singing in which the bride’s friends insulted the groom and his family. On one occasion her insults had been so brilliant and finely calculated that the groom took umbrage and cancelled the wedding; but Resham had been undaunted, saying that it wasn’t her fault if young men nowadays were as faint-hearted and inconstant as chickens. (414)

Ma i rischi che tale ingegnosità può comportare suscitano in Saleem un senso di sollievo, più di rammarico per la sua assenza:

At the henna ceremony, half the magicians adopted me, performing the functions of my ‘family’; the other half took Parvati’s side, and happy insults were sung late into the night while intricate traceries of henna dried into the palms of her hands and the soles of her feet; and if the absence of Resham Bibi deprived the insults of a certain cutting edge, we were not overly sorry about the fact. (415)

Episodi simili si riscontrano anche in Shame, come quando ad esempio si stanno per sposare Good News e Haroun Harappa. Come da tradizione – questo è importante – le donne cantano canzoni che insultano il promesso sposo; è chiaro che gli improperi rimandino a un vero e proprio formulario fisso:

The women sang songs insulting Good News’s fiancé, young Haroun, the eldest son of Little Mir Harappa: ‘Face like a potato! Skin like a tomato! Walks like an elephant! Tiny plantain in his pant. (146)

A quel punto solo una trasgressione della canonicità imposta potrà ridare vera carica comica alla parola. In Shame, che si apre proprio con le oscenità pronunciate in punto di morte dal nonno di Omar, seppur stavolta non troppo esplicitate, l’uso del linguaggio osceno è però solitamente collegato a personaggi negativi, e serve a connotarli ulteriormente come tali. L’abuso linguistico in questo caso è più disturbante, perché è una forma di comico adottata però da sprezzanti e prepotenti, a discapito dell’utopia rivoluzionaria della risata.

La situazione compromissoria è instaurata attraverso le scelte del narratore, che non si limita a dichiarare che il dato personaggio parla male, ma si dilunga nel riportare il suo sproloquio. In questo caso il piacere della violazione trasgressiva che viene suscitato nel lettore si scontra con la difficile identificazione con l’oratore. Inoltre solitamente le tirate triviali sono davvero interminabili e il piacere non può durare così a lungo: il troppo stroppia anche perché, attraverso il permanere ininterrotto nella “modalità ingiuriosa”, il sistema normativo la cui infrazione provoca il comico viene completamente rimosso. Il carnevalesco in questo caso perde il proprio valore: si capisce che può non essere così rivoluzionario come si vorrebbe, e come nota Fletcher (1994b:102) finisce per scadere nella banalità.

Spunti di riso sono allora possibili soltanto quando le offese sono abbastanza esagerate ed elaborate da risultare iperboliche o argute. Gli improperi si caricano di potenziale comico solo quando denotano chiaramente estrema elaboratezza e ferocia.

Si veda qualche esempio. Nelle invettive di Hashmat Bibi che è vecchia e conosce bene le tradizioni, si concentrano il ricorso a un formulario fisso, anche extra-linguistico, con una maestria tecnica notevole per capacità di condensazione ed esagerazione: ecco la risposta all’impertinente ficcanasare di un mercante: “Hashmat replied, crossing her eyes for emphasis: ‘May your grandsons urinate upon your pauper’s grave.’” (17), da cui è chiara anche la codificazione come segnali ingiuriosi di certe forme, come l’incrocio degli occhi.

O si veda lo sproloquio lungo quasi una pagina (a proposito di insostenibilità) di Little Mir Harappa, con creazioni estreme che tirano in ballo elementi zoologici:

‘What do you know about that bullock’s arsehole, madam? Fuck me in the mouth, but I know. That pizzle of a homosexual pig. Ask the villagers how his great father locked up his wife and spent every night in the brothel, how a whore disappeared when her fat stomach couldn’t be explained by what she ate, and then the next thing Lady Harappa was holding the baby even though everyone knew she hadn’t been screwed in a decade. Like rather, like son, my honest opinion, sorry if you don’t like it. Sisterfucking bastard spawn of corpse-eating vultures. Does he think he can insult me in public and get away with it? Who is the elder, me or that sucker of shit from the rectums of diseased donkeys? Who is the bigger landowner, me or him with his six inches of land on which even the lice cannot grow fat? You tell him who is king in these parts. Tell him who can do what he likes round here, and that he should come crawling to kiss my feet like a murdering rapist of his own grandmother and beg for pardon. That nibbler of a crow’s left nipple. This day shows him who’s the boss.’ (96)

Come già affermato, in questo caso tale trivialità serve più che altro a denigrare chi la adopera, e infatti poco più avanti nel testo, attraverso un altro stratagemma che poi esamineremo (sez. 7.6.1), sarà esplicitato quanto risulti idiota Little Mir.

Gli fa da controcanto il cugino, Iskander Harappa, figura centrale del romanzo che dissemina del suo preferito intercalare di alta classe, “Fuck me in the mouth” (106, 119, 152…). Anche Isky si diletta con espressioni come “shit on my mother’s grave” (123) che, se possono suscitare un certo piacere per la loro carica trasgressiva, finiscono più spesso per assommarsi agli altri tratti negativamente connotativi che sanzionano il personaggio e lo rendono degno di tutto lo sprezzo del lettore. Proprio a proposito di Harappa Suleri (1992) parla di “discourse of insult” e sostiene che “Rushdie seems precariously concerned with examining how long that language can sustain itself without accruing retaliation” (184- 5).

Il politico pakistano denota una certa “ability to bully its audience into comedy, even though the audience – familiar with the structure of cautionary tales – is forced into waiting for the moment when the bully will get in, in the end.” (185). Ed è importante ricordare, a conferma che il comico non è appannaggio esclusivo dei benintenzionati, le angherie a cui Harappa sottopone i vari ambasciatori esteri, costretti a frettolose dimissioni proprio grazie a scherzi, cinici e di cattivo gusto, ma indiscutibilmente comici, perlomeno dal punto di vista di chi li architetta e dei suoi sodali.

7.1.2. Il comico caricaturale

Discorso simile può essere fatto per il grottesco e l’uso della caricatura. Partiamo ad esempio dalla figura centrale di Midnight’s Children, Saleem Sinai.

Saleem, come la quasi totalità dei personaggi di questi due romanzi, è “larger than life”, una caricatura vivente, un collage di tratti sproporzionati. Fin da quando è bambino i compagni di scuola lo

deridono impietosamente. Ma il lettore ride di questo stesso riso? No (o meglio, non solo – meglio non incorrere negli errori del positivismo ideologico che critica Billig): c’è discrepanza tra il riso nel testo e quello sul testo.

Ciò che differenzia il lettore del romanzo dai bambini nel romanzo è una maggior maturità e sofisticatezza: li divide il percorso, visibile sia nell’ontogenesi che nella filogenesi del riso, che porta a una crescita in cui tale tipo di risata viene superato, perché la corrispondente evoluzione cognitivo- concettuale non permette più che l’anormalità fisica risulti una minaccia, quindi fonte di un’incongruità spaventevole affrontabile attraverso il riso. Come sostenuto in precedenza, ciò non esclude che ci siano persone che, non avendo compiuto questo processo, possano provare piacere nel fare ricorso a battute di stampo razzista, ad esempio.

I lettori, quindi, non ridono dello stesso riso dei bambini, ma non si può negare che nel testo si insista sulle “particolarità” di Saleem, spesso affrontate con vere e proprie catene caricaturali. Quando si arriva a estremi veramente esagerati, che soprattutto illustrano la maestria di chi li produce, allora può nascere il comico. Con questo non si vuole negare che sullo sfondo possono conservarsi residui di riso sadico infantile, facilitato e giustificato dal fatto che è lo stesso Saleem a proporcelo: se lui può ridere del sé bambino, allora probabilmente ciò è più consentito anche per il lettore.

Quando si dispiega questo tipo di comicità basata sul ridicolo nei confronti di Saleem manca l’accanimento che si riscontra quando altri personaggi ne sono vittima, e che deriva dall’imposizione del ruolo di bersaglio ideologico diretto (che quindi merita tale trattamento ridicolizzante). Il lettore ideale di Midnight’s Children non riderà per la visione di un difetto fisico, a meno che il difetto non sia stato opportunamente congegnato dall’autore per rispecchiare manchevolezze morali o ideologiche (cfr. sotto): solo in quel caso l’accanimento “visuale” potrà essere giustificato e le soglie inibitorie scavalcate.

Nel caso di Saleem in particolare, da un lato il patetismo inibisce tale riso (ci identifichiamo in parte con il protagonista), dall’altro egli non è il bersaglio diretto che si vuol colpire (come invece fanno i compagni di scuola con i loro sfottò): non si ride tanto del Saleem personaggio quanto invece con il Saleem narratore che dispega la propria maestria nel descrivere i propri difetti. In questo senso si può parlare di rivitalizzazione dell’uso del grottesco, per cui è necessario rifarsi alle tesi bachtininane. È il caso di aprire una parentesi sull’argomento, per poi tornare invece al comico caricaturale usato come strumento aggressivo contro i personaggi.