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2.4. La teoria comica degli script

2.4.2. L’opposizione degli script

L’ipotesi però parla anche di una “Script Oppositeness”: quel che rende comico il testo non è la sola sovrapposizione degli script (“dottore” e “amante”) e delle conseguenti situazioni che si creano; in questo caso il testo potrebbe risultare semplicemente ambiguo, senza dover essere necessariamente divertente. È necessario invece che sia rispettata anche la condizione b, cioè sia presente un’opposizione tra i due script, in questo caso basata sulla presenza o assenza di un connotato sessuale. Sorprendentemente quest’ultimo aspetto non verrà preso in particolare considerazione al momento dell’elaborazione del modello.

Questa formulazione viene ripresa anche da Attardo, ma fin da qui è percepibile come insorga un problema di fondo: all’insufficienza esplicativa della sovrapposizione degli script si cerca di supplire con un concetto, quello di opposizione, che però non viene chiarito molto bene, rimane ad uno stadio di elaborazione impressionistico, forse proprio perché affrontandolo seriamente verrebbero chiamati in causa elementi “contenutistici” capaci di destabilizzare le pretese formalistiche della teoria.

Quel che cercherò di sostenere è che la struttura teorica di Raskin (e poi di Attardo) ha i suoi pro, e può essere utilizzata produttivamente, ma è necessario un aggiustamento di questo elemento, anche a

discapito di scientificità o precisione formale. Il comico non ha a che fare solo con le forme, ma anche con i contenuti, e tentare di censurarli non può che portare a storture concettuali.

Storture concettuali che appaiono evidenti quando Raskin (1985a) afferma che i due script devono essere opposti “in a special sense” (99) oppure “in a specially defined sense” (107), senza che una vera spiegazioni chiarisca il senso.

Un maldestro tentativo di delucidazione è offerto, in effetti: si dice che a volte gli script sono opposti nel senso usuale del termine: uno è la negazione o l’antonimo dell’altro (spesso la natura di antonimo può rivelarsi attraverso una semplice parafrasi). Più spesso, però, si tratta di antonimi locali (“local antonyms”), cioè “two linguistics entities whose meanings are opposite only within a particular discourse and solely for the purposes of this discourse” (108). Questa definizione rasenta la tautologia, come poi affermerà anche Attardo, e lascia nascere molte perplessità sulla presunta oggettività scientifica della teoria.

Analizzando una serie di esempi proposti, Raskin nota che ogni barzelletta descrive una situazione reale e ne evoca un’altra irreale, incompatibile con la prima. Risultano tre basilari tipi di opposizione tra le situazioni reali e irreali (categorie che comunque non vanno intese come compartimenti stagni):

1) opposizione tra la situazione reale, effettiva, attuale e una non attuale, non esistente, non compatibile con quella della barzelletta (“actual/non actual”, 111);

2) opposizione tra il normale stato delle cose e uno stato anormale, inatteso;

3) opposizione tra una situazione possibile, plausibile e una impossibile o molto meno plausibile. Tale distinzione appare molto peregrina, in quanto ogni barzelletta sembra bene o male coinvolgere tutte e tre le opposizioni, che sono d’altronde molto meno distinguibili di quel che Raskin vorrebbe. Quel che invece sfugge (volontariamente o meno) all’autore è come questo tipo di classificazione possa suggerire che alla base del comico possa stare una violazione di qualche norma accettata dai partecipanti al discorso: in questo senso possono essere lette le opposizioni: abbiamo violazioni della realtà, delle regole della normalità, della plausibilità. Torneremo su questo argomento nei capitolo successivi.

In un certo senso però Raskin si avvicina a questo tema quando afferma che spesso l’opposizione degli script evoca alcune delle categorie binarie fondamentali per l’essere umano:

another, and significantly more important dimension of script opposition is that many jokes evoke one of the relatively few binary categories which are essential to human life. (1985a:113).

Quasi tutti gli esempi – se non tutti – chiamano in causa la categoria del reale/irreale, parafrasabile in esistente/inesistente e vero/falso: e senza che Raskin faccia notare la cosa, ci troviamo immersi non solo nel mondo dei contenuti, ma anche in quello dell’assiologia.

A questo proposito, si vedano le altre dicotomie spesso evocate: bene/male, morte/vita, osceno/non osceno, ricchezza/povertà, vere e proprie “standard script oppositions” (114). Ma è

chiaro a questo punto che non possiamo parlare di un modello esclusivamente linguistico e formale, a meno di non voler rimuovere tali contenuti che sono stati appena definiti come basilari.

Raskin non si pone questo problema ma passa a un argomento più tecnico, la localizzazione del punto di svolta nell’opposizione degli script: in molte barzellette c’è un elemento che fa scattare il passaggio da uno script all’altro, il “semantic script-switch trigger”. Questo “grilletto” è la parola che introduce il secondo script e impone una reinterpretazione del primo e di quella parte del testo che lo aveva introdotto, rendendo, con la sola propria presenza, la nuova lettura più plausibile della vecchia.

Casi di ambiguità si incontrano anche nella comunicazione normale (bona fide), ma nel caso della modalità di comunicazione non-bona-fide, quella delle barzellette, l’ambiguità è deliberata: il mittente vuole che il destinatario formuli prima un’interpretazione e poi un’altra. Il destinatario, da parte sua, se consapevole di questa modalità comunicativa, avrà minor difficoltà a cercare ed accettare la seconda lettura – un nuovo principio di cooperazione, come visto sopra, viene attivato.

Le successive distinzioni tra tipi di “semantic script-switch triggers” sembrano non troppo chiare né particolarmente produttive. Raskin distingue tra “trigger” dell’ambiguità o della contraddizione (114): il “grilletto ambiguo” dipende dal significato potenzialmente polisemico di una parola. L’ambiguità può essere regolare o figurata, cioè legata al significato figurato della parola-grilletto, sintattica e situazionale. Il “contradiction trigger” (116) spesso è composto da più di una semplice parola, può essere formato da intere frasi. È il senso di questa/e frase/i a contraddire totalmente quello del primo script. Infine si accenna al concetto di “dissipated trigger”, che verrà elaborato solo successivamente da Attardo e servirà a spiegare il comico di registro (cfr. sez. 3.7.2).