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4. Alternative teoriche: il ritorno del rimosso comico

4.2. Orlando: comico, repressione e trasgressione

4.2.3. Della non esistenza di motti innocent

Orlando nota poi che dietro le tre possibili fonti di ritorno del represso, in riferimento alla forma, ai contenuti sessuali o ai contenuti ideologico-politici, vengono a riflettersi “le tre istanze più importanti di tutto il pensiero di Freud” (1987:50): la conoscibilità dell’inconscio attraverso le sue manifestazioni come linguaggio; la primarietà latente, nella psiche, del sesso o meglio del principio del piacere rispetto al principio della realtà; la concezione della civiltà come dialettica costante tra repressione e represso.

Ma in queste due ultime istanze possiamo trovare qualcosa da generalizzare, “qualcosa di cui non potremo più ammettere che un linguaggio comunicante ma tributario dell’inconscio possa fare a meno” (ibidem):

la necessità che un simile linguaggio debba formare, nel suo destinatario se non nel suo destinatore, piacere: che scopo avrebbe altrimenti? […] la necessità che un simile linguaggio debba passare attraverso formazioni di compromesso: come potrebbe altrimenti trovar posto in una istituzione sociale? (ibidem)

Di queste necessità non può fare a meno nessun motto di spirito: esse sono coestensive alle sue caratteristiche tecnico-formali. Ma ciò fa sì che la distinzione tra motti innocui e tendenziosi sia non più proponibile: come lo stesso Freud arriva a riconoscere, “il motto di spirito non è propriamente mai privo di tendenza” (51).

Spiega Orlando: “il ritorno del represso che ha luogo nella «forma del contenuto» implica comunque un qualche soddisfacimento di entrambe le istanze che possono farsi valere separatamente anche come «materie del contenuto» (ibidem), quelle che finora sono state definite “tendenze”. L’accezione di ritorno del represso relativa alla forma del contenuto può quindi sia includere che fare a meno delle accezioni relative alla materia del contenuto: “Un linguaggio comunicante ma tributario dell’inconscio – il motto di spirito o tutto la letteratura – può essere tendenzioso o no nella sua materia, non può non essere tendenzioso nella sua forma” (ibidem).

Spiegare quale tipo di piacere offre e quale tipo di compromesso realizza tale forma significa chiarire che cosa assimila il linguaggio della letteratura a quello dell’inconscio. Le tecniche del motto di spirito provocano un risparmio di energia psichica “introducendo, in un linguaggio comunicante fra adulti, modi di trattare le parole e i pensieri familiari alla prima infanzia e mantenuti nell’inconscio, ma ripudiati dall’uso adulto e conscio della parola e del pensiero” (52).

Più che la psicogenesi del comico che fa risalire il piacere del motto a quello originario del bambino che gioca con le parole, è importante sottolineare la funzione del “compromesso in virtù del quale questo piacere ritorna in forma di represso che non potrebbe altrimenti ritornare” (54). Il bambino si diverte perché questi giochi sono proibiti dalla ragione critica che viene a sviluppare: essi rappresentano una ribellione contro la costrizione del pensiero logico e della realtà.

Ma la repressione razionale e il suo represso passano attraverso il linguaggio, “in entrambe le facce indissolubili della forma che lo costituisce: sia nella «forma del contenuto» che nella «forma dell’espressione»” (55); è nell’uso di esso che si impongono e si devono rispettare, così come si possono violare, la logica e la realtà. Possiamo parlare quindi di un “ritorno del represso formale”, in cui si riscontra proprio quella costante comune ai linguaggi della letteratura e dell’inconscio.

La manipolazione di tipo inconscio-infantile delle parole e dei pensieri altera la trasparenza del rapporto tra significante e significato che dovrebbe essere normale o almeno prevalente nell’uso conscio-adulto del linguaggio. Ma queste alterazioni del rapporto di trasparenza tra significante e significato altro non sono altro che figure, tropi, l’oggetto di studio della retorica.

La differenza tra la retorica dei linguaggi comunicanti come letteratura e motto e quella dei linguaggi non comunicanti come sogno e lapsus sta proprio nella condizione di comprensibilità delle loro figure: quelle dei primi sono passibili di riduzione, e quindi comprensibili, al contrario delle altre. Orlando parla di “tasso di figuralità” (60), che nella letteratura è alto ma non può salire al di sopra di un certo massimo, pena l’incomprensibilità. La funzione della figuralità letteraria, d’altronde è quella di esprimere, seppur nascondendo; il motto deve essere comprensibile per funzionare, non può andare troppo oltre.

Certo, la nostra concezione di figura non deve essere quella della retorica antica, ma deve prendere in considerazione figure di tutte le dimensioni e di tutte le specie: del significante, del significato, della rima, di grammatica, sintassi, logica… D’altronde questa è proprio la tendenza della neoretorica.

La figura quindi “prende il valore di un «ritorno del represso formale»” (64) contro la trasparenza assoluta nell’uso della parola e la logica rigorosa nell’uso del pensiero, conquiste e costrizioni tutte umane; “la figura assume come nuova funzione, socialmente istituzionale, un compromesso orientato all’inverso e un piacere trasmissibile ad altri” (ibidem).

Il tasso di figuralità, come può essere usato “in alto” per distinguere tra linguaggio comunicante e linguaggio non comunicante, può assumere il valore di marcatore di discrimine anche verso il basso, ovverosia tra letteratura e linguaggi comunicanti non letterari. Va fatto presente però che tali confini non sono discreti e precisamente definiti: “non c’è […] soluzione di continuità in letteratura fra linguaggio dell’inconscio e linguaggio dell’io cosciente” (65), e lo stesso dicasi per la precarietà del confine tra letteratura e linguaggio comunicante non letterario (cfr. anche p. 72). Tale indefinitezza territoriale va postulata anche per il comico: ci muoviamo su un continuum e non in un sistema di compartimenti stagni, e ciò rende più complessa e meno oggettivabile anche l’analisi, a dispetto di quanto sostengono Raskin e Attardo.

La figura […] è il perpetuo tributo reso all’inconscio – ma quanto volentieri reso – dal linguaggio dell’io cosciente. E letteratura è, secondo una definizione per così dire aperta, qualunque linguaggio verbale dell’io cosciente (scritto od orale) che renda in misura elevata o elevatissima all’inconscio il tributo rappresentato dalla figura. (66)

È palese quanto tutto questo possa essere utile nella elaborazione di una teoria sul comico, soprattutto ricordando che il discorso prende le mosse proprio dall’analisi dei motti di spirito, che sono di fatto parte della letteratura. L’umorismo verbale quindi potrà essere esaminato sempre in funzione di una violazione dei confini di qualche repressione: la sua forma, in quanto figura, opererà sempre come ritorno del represso formale contro la repressione razionale; i suoi contenuti potranno inoltre caricarsi di un ulteriore ritorno del represso contro repressioni sessual-ideologico-politiche.

È proprio l’importanza e l’intensità di questo ritorno del represso formale, presente in ogni motto, che fa sì che la distinzione tra motti privi e dotati di contenuto valido venga neutralizzata dallo stesso Freud: chi ride non sa distinguere quale parte della soddisfazione derivi dall’espressione spiritosa e quanta dal pensiero sotteso.

Per tornare alla letteratura in toto: secondo Orlando nell’analisi dei rapporti tra ritorno del represso formale e ritorno del represso a livello di materia del contenuto può addirittura fondarsi il giudizio di valore estetico oggettivo (di cui però solo una ideale analisi totale potrebbe render conto). Il che rende chiaro come anche la scelta della materia del contenuto detenga la propria importanza.

Ma è bene anche sottolineare che un giudizio su una materia del contenuto concettuale senza alcun rapporto con il modo in cui questa si sostanzia attraverso una forma non è un giudizio estetico quanto ideologico (extraletterario, dell’io cosciente); i due giudizi possono anche essere in contrasto in riferimento a un singolo testo.

A proposito di questo contrasto tra valori ideologici e valori formali, Orlando specifica che “L’io cosciente non rinuncerà mai alle sue legittime pretese, non si convertirà mai per virtù dell’espressione figurale a valori ideologici che non siano i suoi” (70). Vedremo come tale affermazione è totalmente valida per il comico, che non serve a convincere ma solo a confermare un sistema di valori già condiviso.

Un’altra ipotesi che propone Orlando, e che vedremo avvalorata al momento dell’analisi dei testi di Rushdie, riguarda sempre il rapporto tra ritorno del represso ideologico e ritorno del represso formale: quando il primo entra in un’opera senza accompagnarsi al secondo, la validità estetica viene meno. Si pensi ai criticatissimi attacchi diretti da parte di Saleem Sinai contro la Vedova in Midnight’s Children (cfr. sez. 6.1.1 e 7.5.2).

La grande letteratura (così come i motti di spirito più potenti), di contro è spesso due volte tendenziosa (si tratta dello stesso principio, a cui ho già accennato, secondo cui il comico migliore è quello iperdeterminato); nei capolavori si stringe un “nodo di complicità […] fra le due cose tendenziose: una materia che per ipotesi non manca di costituire un ritorno del represso, e il ritorno del

represso figurale su tutte le facce della forma.” (Orlando 1987:73). La potenza che se ne sprigiona però “non coincide di solito con un potere di modificare praticamente il mondo” (ibidem).