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7. I bersagli diretti: il riso contro l’individuo, contro le istituzioni, contro i govern

7.2. Saleem e il corpo grottesco

La categoria del riso bachtiniano, prodotto dal piacere della trasgressione delle costrizioni monologiche attraverso l’esagerazione, è adatta per trattare questa forma di comico. In questo senso però Bachtin

diventa solo una categoria sotto cui catalogare una delle varie modalità in cui il riso si rivela, senza per questo assumere valore esclusivamente positivo. Questa comicità non ha più valore rispetto ad altre tipologie, non è più salvifica, semplicemente rispecchia un’ideologia che può essere più o meno condivisa.

Il piacere della caricatura, dell’esagerazione, dello strabordare, riscontrabile in Rushdie, è indiscutibilmente definibile in senso bachtiniano, anche se con le complicazioni derivanti dalla diversa altezza a cui viene posta l’asticella della violazione dei canoni naturalistici in India o in Europa.

L’universale pullulare di organi abnormi, in Saleem (e in molti altri personaggi) rimanda direttamente, infatti, a quello che Bachtin (1979b) definisce realismo grottesco (24 e sgg.), in cui l’esagerazione è universale e generale, tutti ne sono succubi, ed è vista positivamente, come simbolo produttivo di fertilità. D’altronde il romanzo è un peana alla differenza e all’ibridismo, che consentono il superamento delle costrizioni e l’evoluzione (cfr. sez. 6.2).

Quello di Saleem può ben dirsi un “corpo grottesco”, che

non è separato dal resto del mondo, non è chiuso, né determinato, né dato, ma supera sé stesso, esce dai proprio limiti. L’accento è messo su quelle parti del corpo in cui esso è aperto al mondo esterno, in cui cioè il mondo penetra nel corpo o ne sporge, oppure in cui il corpo sporge sul mondo, quindi sugli orifizi, sulle protuberanze, su tutte le ramificazioni ed escrescenze: bocca spalancata, organi genitali, seno, fallo, grosso ventre, naso. (Bachtin 1979b:32)

D’altronde fin dal momento della nascita questi appare come “a child with a gargantuan nose” (122), con rimando intertestuale all’ispiratore del concetto di carnevalesco bachtiniano (sull’importanza delle descrizioni dei nasi – quello del nonno, nello specifico – si dirà anche più avanti, sez. 10.5.1: anche in quel caso troveremo interessanti rimandi intertestuali e interculturali).

Il piccolo Saleem è indiscutibilmente brutto:

I was not a beautiful baby. […] my large moon-face was too large; too perfectly round. Something lacking in the region of the chin. Fair skin curved across my features – but birthmarks disfigured it; dark stains spread down my western hairline, a dark patch coloured my eastern ear. And my temples: too prominent: bulbous Byzantine domes. […] Amina Sinai, immeasurably relieved by my single head, gazed upon it with redoubled maternal fondness, seeing it through a beautifying mist, ignoring the ice-like eccentricity of my sky-blue eyes, the temples like stunted horns, even the rampant cucumber of the nose.

Baby Saleem’s nose: it was monstrous; and it ran. (124)

Ma noi non ridiamo di lui perché ci viene offerto come bersaglio comico: piuttosto proviamo piacere per come la lingua indugia ed elabora su tali particolarità. Si prenda, nel passo appena citato, l’uso dell’allitterazione, e in generale il tipo di descrizione ricca, barocca, con ampio ricorso a metafore e similitudini molto elaborate.

Per i compagni di gioco la sproporzione del bambino diventa fonte di ridicolo: essi ridono per violazioni visive di tipo molto immediato, che non reputano consentite. Ma il lettore, più maturo e consapevole che la diversità esiste e non è obbligatoriamente collegabile a difetti, ride per altro, per come Saleem stesso – narratore – dà libero sfogo alla propria immaginazione descrivendosi.

Ecco un esempio di come viene presentato il naso di Saleem:

But one piece of Baby Saleem seemed immune to disease and extract-of-snakes. Between my eyes, it mushroomed outwards and downwards, as if all my expansionist forces, driven out of the rest of my body, had decided to concentrate on this single incomparable thrust . . . between my eyes and above my lips, my nose bloomed like a prize marrow. (154)

È il ricorso a figurazioni alte o comunque lontane dall’organo in questione, e l’avvicinamento di campi semantici tanto in disaccordo che provoca il riso (cfr. cap. 10): si prenda il rimando agli sforzi espansionistici declinato però nel contesto dello sviluppo infantile; o quello alla zucca, che dà il là all’abbassamento triviale con il richiamo a un altro membro, già spesso comparato a zucchine e cetrioli nel corso del romanzo.

Come visto per le invettive, quel che fa nascere il comico è l’esagerazione, l’infrazione di regole della misura. L’accumulo esuberante fa ridere, accumulo che si verifica in diversi modi, che si dispiega su diversi piani. Il bersaglio non per questo va ritenuto assente: va identificato però non nel personaggio ma nelle costrizioni logico-formali che non ne consentirebbero l’esistenza. Sono le violazioni linguistiche, figurative, che operano in favore del riso.

Per rimanere sempre a livello dei tratti somatici, il sovraccarico/caricatura non si limita, in Saleem, al solo naso: in lui gli elementi non armoniosi sono praticamente tutti, e si moltiplicano con il passare del tempo. I difetti si andranno accrescendo con l’età: il tentativo di issarsi in piedi gli renderà le gambe arcuate, il maestro gli strapperà un ciuffo… l’accumulo diventa caricaturale, e le elencazioni esagerate offrono più valore alla potenzialità comica.

È fondamentale quindi l’uso del linguaggio: l’elenco delle deformazioni si fa sempre più lungo e nella necessità di nominarle tutti nel più breve tempo possibile vengono condensate con effetti ancora più esilaranti: “despite cucumber-nose stainface chinlessness horn-temples bandy-legs finger-loss monk’s tonsure and my (admittedly unknown to them) bad left ear […] my parents loved me.” (301). La continua ripresa a distanza di questi elementi può essere analizzata attraverso i concetti di strand e di bridge proposti da Attardo (cfr. sez. 3.4.3).

Si tratta in effetti dei nomignoli che gli amici d’infanzia gli affibbiano (comico infantile) che però vengono ammassati e usati come veri e propri denotatori; si crea inoltre una opposizione tra il loro carattere estremo e la possibilità di vederli disposti in una lista il più possibile asettica e distaccata. Come se non bastassero poi il comico infantile dei soprannomi e quello della condensazione, quando il

romanzo si avvicina alla fine e il tempo stringe, la stessa elencazione viene tagliata, aggiungendo anche un tocco di comicità metanarrativa: “I, snot-nosed, stain-faced etcetera” (385).

Per tornare a Bachtin, con questa accumulazione di tratti abnormi Saleem viene a esemplificare l’organismo in espansione, il corpo grottesco non chiuso e definito o slegato dal mondo ma rappresentazione in scala del mondo stesso, celebrato negli scritti del critico russo. Bachtin parla inoltre di un corpo popolare, collettivo, generico, e Saleem non rappresenta forse tutta l’India con i suoi seicento milioni di abitanti?

Il procedimento di ammassamento di difetti che insieme è un disfacimento per accumulazione (il corpo del protagonista pian piano si smembra, in certi momenti con esiti comici, in altri con sfumature più tragiche) ha risvolti positivi. Quello di Saleem è un corpo “eternamente non «dato»” (Bachtin 1979b, 32), che “rivela la propria sostanza, come principio di crescita e di superamento dei propri limiti” (ibidem); volente o nolente è assoggettato a trasformazioni, muta e concentra in sé sempre più tratti grotteschi. In questo il protagonista non è solo: molti altri personaggi abitano corpi in continuo mutamento, in opposizione a canoni letterari e figurativi classici che vogliono la persona e il suo involucro fisico come “innanzi tutto rigidamente determinato e compiuto” (35).

Nota Bhattacharya (2004) che in Midnight’s Children le identità sono mutevoli, mai aproblematiche: la definizione in bianco e nero viene abbandonata in favore di più complessi costrutti cangianti e anche ossimorici, che rivelano una visione del mondo come non statico, contro ogni fissità manicheista.

Questa dinamicità, la continua metamorfosi grottesca, è riflettuta nella capacità linguistica di tramutare, attraverso metafore e comparazioni, gli esseri umani e le loro parti in forme vegetali, animali o inanimate, a sottolineare quella che Bachtin definisce l’“eterna incompiutezza dell’esistenza” e molto spesso dando sfogo a una “libertà gioiosa, quasi ridente” (39).

In alcuni casi tale trattamento però avrà funzioni (comiche) diverse, sarà usato non per celebrare ma per sanzionare certi personaggi. Bachtin è fin troppo entusiasta di questa forma:

la forma grottesco-carnevalesca […] illumina la libertà di invenzione, permette di unificare elementi eterogenei e d’avvicinare ciò che è lontano, aiuta a liberarsi dal punto di vista dominante sul mondo, da tutte le convenzioni, da tutto ciò che è banale, abituale, comunemente ammesso; e permette di guardare il mondo in modo nuovo, di sentire la relatività di tutta l’esistenza e la possibilità di un ordine del mondo che sia completamente diverso. (41)

Per quel che concerne il testo di Rushdie è bene sottolineare che se spesso inizialmente il tono è giocoso/gioioso e liberante, con il procedere della narrazione la componente esclusivamente positiva del fenomeno tende a scemare sempre di più, di pari passo con il carattere delle metamorfosi che si fanno sempre più definitive e mortali. Le mutazioni possono divenire veri e propri incancrenimenti che imprigionano i loro portatori – quando questi si lasciano imprigionare, come nel caso di Tai o della

nonna, Reverend Mother (cfr. sez. 7.3.1 e 10.8.3). Più che a celebrare l’esplosione fertile e produttrice servono in questi casi a stigmatizzare l’implosione sterile e immobilista.

Tiene fede all’ideale bachtiniano, però, il corpo del protagonista. Saleem in effetti non si lascia imprigionare in qualche forma definita, continua a mutare fino alla fine, quando si esplica davvero quel senso panico del corpo che muore e contemporaneamente rigenera, dà la vita; sembra che Bachtin vi stia facendo diretto riferimento quando sostiene che “questo corpo aperto e incompleto (che muore, che genera, che è generato) non è separato dal mondo da confini precisi: è mescolato al mondo, agli animali, alle cose. È cosmico” (33).

La disgregazione finale del protagonista in una vera e propria disseminazione di sé (di seme) consente di parlare di un ritorno a quell’iperbolicità positiva che Bachtin (53) vede negata nell’800 al fenomeno del grottesco. Esplodendo Saleem dà nuova vita e permette al figlio – e alla nuova generazione di figli della mezzanotte – di avere una nuova opportunità per salvare l’India.

Ma il tratto della fertilità è spesso sfruttato anche per ottenere effetti immediatamente umoristici, attraverso l’intromissione di elementi scatologici che vanno a sommarsi alle deformità fisiche. Il corpo di Saleem e soprattutto il suo naso, è a lungo produttore abnorme (di) comico, nel senso che fa ridere per il suo aspetto ma anche per gli eccessi di produzione organica di cui è capace.

L’organo olfattivo di Saleem, oltre che enorme è anche costantemente congestionato: “nasal congestion obliged me to breathe through my mouth, giving me the air of a gasping goldfish” (155); ciò permette il ricorso a comparazioni irridenti, come in questo autoritratto metaforico: “a pocket-sized sleuth with the nose of a bloodhound and a loud drum pounding in the place where my heart should have been…” (215). Il coinvolgimento dell’elemento scatologico accresce la componente trasgressiva e dà adito a un comico (commisto al disgustoso) che rimanda a quello del turpiloquio trattato sopra e su cui Rushdie non manca mai di insistere, come ogni volta che, nel tentativo di sfuggire agli imbarazzanti abbracci paterni, Saleem lascia tracce organiche sugli abiti di Ahmed, “wetting his shirt with my eternally leaking nose-goo” (152 e 301). O più in generale:

I had a healthy metabolism. Waste matter was evacuated copiously from the appropriate orifices; from my nose there flowed a shining cascade of goo. Armies of handkerchiefs, regiments of nappies found their way into the large washing-chest in my mother’s bathroom. (124)

Permane comunque il connotato positivo bachtiniano: lo sgocciolio è segno di vitalità e fertilità, ciò che ci rende umani e ci integra con i nostri simili (cfr. sez. 9.6.1). Le mutilazioni più funeste che condurranno alla fine di Saleem riguardano non a caso gli organi – continuamente messi in parallelo – più preposti a forme di sgocciolio: quelli olfattivo e sessuale.

Diverso il discorso quando interviene una pretesa di alto rango da parte del personaggio: a quel punto infatti la bruttezza può essere derisa con cognizione di causa, e torniamo più propriamente al comico caricaturale con funzione ridicolizzante.

Ridiamo con più convinzione (ci sentiamo maggiormente legittimati), infatti, quando Saleem si mostra per la prima volta agli altri figli della mezzanotte convinto di poter far sfoggio di un’immagine affascinante di sé: “my standard first transmission was an image of my face, smiling in what I trusted was a soothing, friendly, confident and leader-like fashion” (219).

Non si rende conto, invece, che ciò che appare ai compagni è ben diverso:

the portrait I sent across the thought-waves of the nation, grinning like a Cheshire cat, was about as hideous as a portrait could be, featuring a wondrously enlarged nose, a completely non-existent chin and giant stains on each temple. It’s no wonder that I was often greeted by yelps of mental alarm. (ibidem)

Non meraviglia che i compagni si spaventino, ed è qui che nasce il comico. È quando si presenta una motivazione ideologica che rende il portatore di tratti buffi meritorio di una punizione (una pretesa illegittima di posizione di alto rango), che il comico con la sua tendenza aggressiva può dispiegarsi più pienamente. Si parlerà allora di grottesco con funzione sanzionatoria.