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5. Integrazioni teoriche e nuovi modelli di opposizione

5.3. La script opposition e il ritorno del represso

Nei tentativi di specificare il concetto di opposizione esaminati subentra spesso l’elemento della violazione: il secondo script a cui si fa ricorso viola leggi probabilistiche, di accessibilità, di prototipicità. Se poi facciamo un passo più indietro e torniamo alla serie di esempi proposti per la prova empirica della SSTH da parte di Raskin (cfr. 2.4) non possiamo fare a meno di notare che anche il piano dei contenuti che si voleva escludere ha qualcosa a che fare con la trasgressione: le barzellette analizzate sono a sfondo sessuale, etnico e politico, e come abbiamo già accennato le “tendenze” di certi motti vertono proprio su tali aspetti.

Come non pensare quindi alle riflessioni di Orlando sulle istanze repressive in azione nella produzione dei Witze esaminati da Freud? Là si parlava di un ritorno del represso che ha luogo nella forma del contenuto e di due che si applicano alla materia del contenuto, attraverso le tendenze aggressive e sessuali.

A mio parere è possibile, facile e soprattutto utile integrare il modello dell’opposizione di Attardo a quello della formazione di compromesso che Orlando elabora per la letteratura e quindi anche per il motto di spirito (cfr. 4.2), in cui elementi formali tipici dell’inconscio vengono adottati in un contesto altrimenti “razionale” (e vedremo una tale applicazione in atto nella seconda parte, nei romanzi di Rushdie).

La sovrapposizione di script in questo senso può essere letta come una formazione di compromesso tra processi logici leciti e illeciti, tra contenuti ammessi e non ammessi, e l’opposizione è proprio di questo tipo, come le ultime elaborazioni cominciavano a suggerire: il secondo script consente di violare una o più forme di repressione, logico, formale o anche contenutistica.

L’esempio fornito da Raskin e poi ripreso da Attardo, quello della barzelletta della moglie del dottore, è fin troppo rivelatorio, e gli stessi autori hanno accennato (senza mai porvi l’accento in maniera adeguata) al valore, per l’effetto comico, dell’introduzione di un contenuto sessuale. Non ridiamo semplicemente perché il paziente che bussa alla porta non si dimostra tale in generale, ridiamo soprattutto perché si configura come amante. La battuta consente di accedere a una materia erotica non lecita.

Come nel caso dei motti tendenziosi in cui non si riesce a distinguere con precisione da dove derivi il piacere, se dal ritorno del represso formale o da quello contenutistico, allo stesso modo qui collaborano la frustrazione delle aspettative e il ricorso a procedimenti logici inconsueti (direi illogici, visto che per un momento la sovrapposizione degli script viola il principio di non contraddizione) e l’immissione attraverso l’allusione a un elemento proibito (una sorta di soddisfacimento sessuale per interposta persona).

La forma stessa dello humour verbale, il suo meccanismo di sovrapposizione e opposizione di script, ricalca quello analizzato da Orlando ad esempio a proposito della negazione freudiana, modello tipico di formazione di compromesso; anche dal punto di vista formale si trasgredisce il normale modo di ragionare e usare il linguaggio, attraverso la presenza contemporanea (seppur momentanea) di diversi significati contrapposti (nel dato contesto, per riprendere il “localmente” di Raskin). Riprendendo un’osservazione di Oring (2003) “To perceive humor is to perceive an oxymoron” (14). In più (e molto spesso accade) può venirsi a sommare una (o più) violazione al livello della materia del contenuto.

D’altronde, per tornare all’affermazione freudiano-orlandiana, nessun motto di spirito è privo di tendenza: “Un linguaggio comunicante ma tributario dell’inconscio – il motto di spirito o tutta la letteratura – può essere tendenzioso o no nella sua materia, non può non essere tendenzioso nella sua forma” (Orlando 1987:50). In questo senso vanno letti i riferimenti costanti di Raskin e Attardo a una “logica altra” (cfr. anche Ziv 1984 e Palmer 1994, che parla di “logic of absurd”) e l’istituzione di una speciale “knowledge resource” dedicata alla classificazione dei “logical mechanisms” applicati nelle occorrenze comiche: perché si dia opposizione è necessario un qualche “errore” a livello dei meccanismi logico-formali (cfr. anche sez. 3.4.2).

Di contro, va detto che è possibile una lettura attraverso il modello degli script degli esempi proposti da Orlando, sia per quanto riguarda il comico che per il Witz, nella scansione che questi mantiene valida dalla sistematizzazione di Freud.

Si prenda il caso estremo dell’Avaro di Moliére di cui e (a volte) con cui ridiamo (cfr. Orlando 1979). È facile tradurre i vari episodi comici in termini di script: in situazioni in cui ci attenderemmo un comportamento congruo e opportuno, il personaggio reagisce invece con gesti e parole totalmente irragionevoli, dando sfogo alla propria mania e rivelando dispendi energetici eccessivi per difetto o per eccesso rispetto a quelli degli spettatori/lettori.

Orlando cita la scena in cui come rimedio allo svenimento del figlio Arpagone propone la somministrazione di un bicchiere d’acqua: la situazione attiva determinati script e conseguenti connessioni (nell’enciclopedia comune lo script lessicale “svenimento” contiene rimandi ad altri script adeguati come “cura”, “medicina”); si crea un sistema di aspettative che però viene destabilizzato: le reazioni preventivate e quelle invece attuate non collimano (nella gerarchia dei tratti dello script “bicchiere d’acqua”, quelli legati a proprietà curative si situano ben sotto rispetto alle connotazioni legate a “gratuità” e “poca spesa”) e danno vita a una opposizione riconducibile a quelle astratte di Raskin (probabile/improbabile o razionale/irrazionale).

Una simile lettura è possibile anche se interpretiamo l’episodio dal punto di vista del Witz, dell’identificazione invece che della distanziazione comica. In questo caso il piacere nasce dalle scelte linguistiche aggettivali di Arpagone che sfruttano la tecnica freudiana dello spostamento. Il consiglio “Allez vite boire […] un grand verre d’eau claire” (cit. in Orlando 1979:59) adopera termini che di

nuovo, analizzati dal punto di vista degli script, determinano una opposizione (contraria a quella esaminata in precedenza): “vite”, “grand” e “claire” attivano una dimensione di sollecitudine che cozza con l’evocazione di connotazioni egoistiche innescata dal carattere di economicità del bicchier d’acqua.

Una parentesi sulla differenza dei due esempi, uno appartenente al comico, l’altro al campo dell’arguzia. Quel che va ben rimarcato è che ciò che li distingue fondamentalmente è la disposizione dei partecipanti dell’atto comico, che come abbiamo visto si dispiega nel contesto di una relazione triadica (cfr. sez. 4.3.1). Freud riconduce al comico quella che Ceccarelli definisce la configurazione più semplice del sistema di relazioni che si instaura al momento dell’occorrenza del riso: il personaggio (qui Arpagone) è il bersaglio di cui si ride; i co-ridenti sono l’autore e il destinatario.

Nell’arguzia, invece, il personaggio passa a ricoprire il ruolo di mittente, di autore del motto, mentre il bersaglio diventa una funzione del testo e può assumere le forme più disparate: come sottolinea Orlando (1979:49) nel motto, testo destinato alla comunicazione e volto alla provocazione volontaria del riso, l’identificazione non riguarda necessariamente i protagonisti della storia raccontata ma i valori, i giudizi, le ideologie presentate.

In entrambi i casi il piacere che lo spettatore prova deriva da un ritorno del represso: c’è il godimento per interposta persona della trasgressione di certe regole morali o sociali ma anche la liberazione da quella costrizione sempre pressante che è il patto di non aggressività che la costruzione letteraria permette di violare (con le conseguenze compromissorie di cui parlano D’Angeli e Paduano, sez. 4.4.1). Torneremo più avanti su questo argomento.

Se l’applicazione del modello di Attardo è in un certo senso comoda, dal momento che, come abbiamo già avuto modo di criticare, la carenza di specificità lo rende fin troppo elastico (come nelle teorie dell’incongruo, a cui molto si avvicina, suggerisce la presenza di una bisociazione senza però darne conto del carattere), quel che mi pare più interessante è esplorare invece le difficoltà e le conseguenze che l’integrazione del modello “trasgressivo” comporta.

Si è detto che la frazione schematizzante proposta da Orlando per cui nel motto la repressione preme su un represso che riesce a tornare in superficie può andare a combaciare con quella dell’opposizione proposta nella GTVH: il secondo script del modello di Attardo altro non è che un contenuto (o una forma) proibito che però viene a galla attraverso la copertura che la situazione non- bona-fide permette.

Il concetto di accessibilità può essere specificato in senso “repressivo”: il secondo script è difficilmente accessibile perché su di esso grava una proibizione, una censura, un tabù; è confinato il quelle zone del pensiero e del linguaggio in qualche modo rese inaccessibili, ostracizzate da sistemi coercitivi logici, morali e sociali.

È fondamentale in questo senso l’allargamento del concetto di repressione che Orlando opera, perché questa possa accogliere sia processi logico-formali quanto contenuti proibiti sessuali o socio-

ideologici. E forse è necessario spingersi oltre, come fa Ferroni (1974) che dubita della necessità del tuffo nell’inconscio che Freud reputa distintiva del motto di spirito: le censure sono più spesso di derivazione sociale.

Si pensi anche a tutto quel comico che gioca sulle convenzioni letterarie (cfr. cap 9 e 10) o sulle figure retoriche (si è parlato poco sopra, sez. 5.2, della doppia violazione che permette a una metafora di diventare comica): in quei casi vanno assimilate a una struttura repressiva le norme stilistiche, romanzesche, di genere. Il mondo della letteratura è un sistema a sé, in cui valgono certe regole che vanno rispettate se se ne vuol far parte. Vero è che queste regole sono in un certo senso autoimposte, ma ciò non toglie che una volta accettate assumono un carattere costrittorio-oppressivo come qualsiasi altra legge.

Se l’opposizione è sempre nei confronti di un sistema coercitivo, è bene sottolineare che, abbracciando il principio della relatività dello humour, l’ente che reprime le pulsioni può non avere valore e riconoscimento universale e oggettivo: perché si produca opposizione comica è necessario e sufficiente che sia il mittente (e il destinatario, se la comunicazione umoristica deve riuscire: va ribadita la necessità di accordo ideologico) a concepire una forma di repressione come tale. È possibile non condividere tale designazione, e in tal caso non si riconoscerà l’effetto comico (addirittura si potranno avere reazioni di sdegno). Si pensi all’uso del turpiloquio gratuito, che susciterà reazioni diverse in base alle varie concezioni di appropriatezza e creanza, ma anche a certe battute non condivisibili come quelle di stampo razzista, il cui produttore evidentemente sente come istanza repressiva quello che noi percepiamo come principio di uguaglianza.

Una tale relativizzazione della repressione serve anche a render conto delle variazioni diacroniche e diatopiche del comico: tempo e cultura modificano i motivi e i modi della trasgressione; ne consegue che epoche diverse e paesi diversi possiederanno diversi tipi di comicità. Si vedano a questo proposito le considerazioni di Orlando (1979) sulla ricezione del Misantropo e sulla necessità di “restaurazioni comico-semantiche”: i codici sociali declinano e si perde il senso delle occorrenze comiche.

Come abbiamo accennato, va ricordato che l’uditorio deve essere d’accordo con il valore di questo ritorno del represso, deve solidarizzare con la volontà del mittente di permetterlo, altrimenti la reazione sarà non il riso ma il rifiuto, lo sdegno. È necessario un accordo ideologico precedente, poiché “L’io cosciente non rinuncerà mai alle sue legittime pretese, non si convertirà mai per virtù dell’espressione figurale a valori ideologici che non siano i suoi” (Orlando 1987:70).

Anche Eco (1983) insiste sul carattere di dipendenza culturale del comico rispetto al tragico e al drammatico, che hanno valore più universale: “il comico sembra legato al tempo, alla società, all’antropologia culturale” (1983:253). E tale carattere va proprio ricollegato al concetto di trasgressione e repressione, che varia nelle epoche e nello spazio: “Il punto non sta dunque (non soltanto) nella

trasgressione della regola e nel carattere inferiore del personaggio comico. Il punto che mi interessa è invece questo: qual è la nostra consapevolezza della regola violata?” (254).

Mentre nel tragico ci si intrattiene molto sulla natura delle regole che vengono trasgredite, esplicitandole, le opere comiche invece le danno solitamente per scontate e non si preoccupano di ribadirle (255-56). Ad essere violate solitamente sono sceneggiature comuni, regole pragmatiche sentite come naturali, normali (tanto che a volte neppure sono considerate come regole, e quindi perdono il loro carattere di artificialità; vedremo come Rushdie sarà caustico con tali dimenticanze). È necessario pertanto conoscere bene il contesto in cui il comico è messo in scena (approfondiremo più avanti il carattere di “secondo grado” del comico) perché non ci sfugga e venga interpretato come tale.