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5. Integrazioni teoriche e nuovi modelli di opposizione

5.1. Raskin, Attardo e i rischi formalistic

Il mio punto di partenza, come detto, è la teoria sviluppata da Raskin e poi rielaborata da Attardo, che fornisce strumenti utili come l’impiego del concetto di script o delle modalità comunicative bona fide/ non-bona-fide e propone un modello funzionale per l’analisi, nonostante alcuni evidenti difetti.

Le due teorie si concentrano principalmente sull’elemento del risibile, e per rispondere a delle pretese formalistiche finiscono per trascurare i partecipanti all’atto comico e l’elemento contenutistico che invece rivestono ruoli fondamentali. Le giustificazioni addotte per tali dimenticanze (di cui spesso c’è consapevolezza) e i tentativi di aggirare i problemi che queste creano non convincono.

5.1.1. La rimozione dei partecipanti all’atto comico

Sia Raskin che Attardo parlando delle proprie teorie le definiscono formali e intese a individuare e spiegare le condizioni necessarie e sufficienti perché un testo risulti comico. Poi però sottolineano l’importanza del destinatario, in una sorta di approccio “reader-oriented” allo humour: Raskin afferma che “It is the perceiver’s presence, of course, which makes a humor act a humor act, simply because is the perceiver who laughs.” (1985a:3). Ma entrambi dichiarano anche inevitabile postulare una comunità ideale di ridenti per potersi liberare di tutta una serie di variabili altrimenti ingestibili, come la psicologia e l’ideologia dei partecipanti.

Una strategia del genere è in effetti necessaria per procedere a delle astrazioni valide, ma non si deve dimenticare che è proprio all’interno di una dialettica tra comunità non ideali ma reali di ridenti e non ridenti che è possibile che si dia il riso: come vedremo, l’opposizione che i due riscontrano alla base dello humour dipende dal contesto e dalle visioni del mondo di chi il comico lo crea e di chi lo percepisce come tale. Da ciò dipendono anche i fraintendimenti, la relatività e la difficoltà di interpretare una battuta come tale che spesso ne sono corollario.

È possibile elaborare un modello formale, ma questo modello va sempre riempito da dei contenuti che fondano la possibilità di una polarità su cui l’opposizione è basata. Per riprendere i concetti di Hjemslev fatti propri anche da Orlando (cfr. sez. 4.2.2), la distinzione tra forme e contenuti è troppo semplicistica, si dovrà parlare di forma del contenuto. I contenuti, d’altronde, sono costantemente forniti di (e gestiti attraverso) valori assiologici assegnati proprio dai partecipanti all’atto comico.

Con questo non si vuol sostenere che sia impossibile determinare cosa sia comico, ma che ciò non sia indipendente da chi ride e dalle intenzioni e ideologie che questi sostiene. In definitiva, come suggerito in D’Angeli e Paduano, Billig e Ceccarelli, tutto può essere comico, a seconda di chi tratta il soggetto.

Certo, può darsi comico senza che uno dei partecipanti voglia: chi lo produce può farlo non intenzionalmente, come nel caso del comico involontario; oppure chi dovrebbe riceverlo non lo capisce e allora c’è fallimento del messaggio. Ma il comico ha bisogno di almeno una di queste due parti che dia conferma, che imponga la propria intenzionalità, da cui dipende lo humour: in entrambi i casi non possiamo totalmente negare che esso sia presente, dal momento che la seconda persona lo scopre o la prima lo aveva inteso come tale (cfr. Billig su Berlusconi, sez. 4.1.6).

È proprio l’instaurarsi di “comunità di ridenti” che permette il riso (che poi aiuta a confermare tale comunità). Si ride sempre di qualcuno con qualcun altro, e si ride per una dialettica tra le ideologie condivise e opposte dai gruppi di appartenenza. Sostenere che i partecipanti siano fondamentali e poi escluderli è un difetto che va evidentemente emendato.

Il concetto di script introdotto da Raskin e poi ripreso da Attardo in realtà va proprio in questa direzione: è molto utile perché se da un lato permette di formalizzare e di rendere controllabili una serie di variabili altrimenti non gestibili, dall’altro ammette anche un ampio grado di relativizzazione e apre alla soggettività.

Attraverso la nozione di script è possibile trascendere la limitante concezione “dizionaristica” dell’organizzazione semantica dell’esperienza: ogni parola può essere gestita non solo per i suoi significati immediati ma per tutta una serie di parametri (che sono quelli che permettono l’utilizzo comico). Proprio la possibilità che uno script contenga elementi personali, o dipendenti dall’appartenenza a gruppi culturali diversi fa sì che il comico possa crearsi ovunque, sia universale senza però dover dipendere da caratteristiche comuni.

Molti script sono condivisi dalla maggior parte delle persone, ma ogni parlante può avere, accanto a questi, degli script individuali, determinati dal proprio vissuto personale, o ristretti (condivisi con un piccolo gruppo). Poter considerare oltre alla denotazione anche la connotazione, la salienza, i rapporti con il contesto, è fondamentale, perché le opposizioni si creano proprio dal/nel contesto e solo comprendendo questi piani è possibile capire e produrre il comico. Ciò porta per forza di cose a una personalizzazione e relativizzazione, ma è così che funziona lo humour, nell’inclusione ed esclusione, nella condivisione di connotazioni. Il lavoro di ampliamento del concetto di script che va a contenere tratti di salienza e accessibilità è importante soprattutto in questo senso.

5.1.2. L’opposizione degli

script

: un modello da riempire

Ma veniamo all’ipotesi fondamentale delle teorie di Raksin e Attardo dove si trova il punto di forza ma anche la falla di tutto il sistema. Come visto, l’ipotesi alla base delle due teorie è che un testo è comico quando è compatibile, totalmente o in parte, con due script differenti che vanno a sovrapporsi (“script

overlap”); i due script però devono essere in opposizione tra loro. Queste sono le condizioni necessarie e sufficienti perché un testo faccia ridere.

Se il concetto di sovrapposizione è chiaro, sia Raskin che Attardo non sono altrettanto limpidi sul quello di opposizione e si abbandonano a fumose perifrasi o a tautologie. Si capisce che questa opposizione debba avere qualcosa di particolare, ma non viene spiegato quale sia questa particolarità.

Raskin (1985a) specifica che gli script devono essere opposti “in a special sense” (99). Attardo (2001) critica questa vaghezza, ma in un primo momento non fa che sostituirvi un altrettanto fumoso “in a technical sense” (18). Specificazioni che non chiarificano molto di più il concetto, che rimane il punto più opinabile della teoria. Altrove Attardo parla di “opposizione comica”, e pare intendere che quindi sia un caso speciale di opposizione, senza però poi chiarire quali caratteristiche siano necessarie perché a occorrere sia un dato tipo piuttosto che un altro.

Si rivela un carattere fortemente relativo, che se da un lato cozza con la pretesa di scientificità e oggettività, dall’altro consente di reintrodurre elementi basilari ma espunti per necessità formale quali l’importanza della cultura e della visione del mondo dei parlanti per l’insorgere del comico.

Un maldestro tentativo di chiarimento è offerto da Raskin (1985a) quando afferma che a volte gli script sono opposti nel senso usuale del termine (uno è la negazione o l’antonimo dell’altro) mentre più spesso si ha a che fare con una antonimia locale, con “local antonyms”, e cioè “two linguistics entities whose meanings are opposite only within a particular discourse and solely for the purposes of this discourse” (108). Di nuovo si rasenta la tautologia (come nota anche Attardo) e le perplessità sulla presunta oggettività scientifica della teoria aumentano.

Un’indicazione verso l’importanza del contenuto, anche se non affatto consapevole e rivendicata, la offre Raskin quando, sperimentando empiricamente la teoria, analizza i tipi di opposizione in una serie di barzellette. Riscontra così come si possa elaborare una tassonomia di casi basati fondamentalmente sulla polarità reale/non reale, che poi si diversifica in dicotomie come bene/male, morte/vita, osceno/non osceno, ricchezza/povertà, vere e proprie “standard script oppositions” (1985a:114). È chiaro il rimando al piano dei contenuti e anche alla responsabilità di chi crea il comico, visto che si tratta di polarità altamente dipendenti da dimensioni culturali, sociali e anche personali.

Inoltre la serie di esempi proposti riguarda barzellette a sfondo sessuale, etnico e politico. Anche qui è riscontrabile un chiaro suggerimento che però Raskin non coglie: cosa accomuna tali generi comici? Non viene notato che tali argomenti spesso sono collegati a tabù e repressioni: si pensi alla classificazione freudiana dei motti tendenziosi, che pare essere qui esemplificata.

Attardo invece cerca di delucidare meglio il concetto di opposizione, e lo fa riprendendo e ampliando quello di antonimia locale (“local antonymy”) definita da Raskin e giudicata palesemente tautologica: dalla definizione citata sopra si crea infatti un circolo vizioso: si basa l’antonimia locale sullo scopo del discorso – far ridere – e si definisce il comico come fondato sull’antonimia.

Attardo rielabora la nozione muovendosi in due direzioni, pragmatica e semantica (cfr. sez. 3.2); suggerisce che alla base dell’antonimia ci siano concetti quali quelli di “accessibilità” di uno script, basato su parametri di prototipicità, salienza e parallelismo e quello di informatività.

Nella “Script Opposition” il primo script attivato sarà altamente accessibile e basato su un contesto neutrale, mentre il secondo sarà meno accessibile e fortemente dipendente dal contesto specifico (il termine, di nuovo, rimane totalmente astratto, non si indaga sul carattere di questa “specificità”). Una volta che il primo script viene attivato, la tendenza al parallelismo fa sì che il lettore o destinatario di una barzelletta continui a far riferimento ad esso, finché ciò non diverrà impossibile con l’occorrenza della punch line. A quel punto andrà attivato il secondo script, per dare senso al testo.

È proprio questo valore di accessibilità, se lo ricolleghiamo anche alle tipologie di opposizione suggeriti da Raskin di cui sopra, che può instradarci verso una possibile integrazione con ambiti apparentemente lontani quale quello di cui si occupa Orlando: possono esserci rapporti tra opposizione, accessibilità e violazione di tabù e norme sociali? Vedremo quanto sia produttivo (e anche intuitivo) collegare la difficoltà di accesso con quelle zone del pensiero e del linguaggio in qualche modo rese inaccessibili, ostracizzate da sistemi coercitivi logici, morali e sociali.

È utile poi la precisazione di Attardo (2001), che rielabora il concetto di opposizione dal punto di vista della semantica, a partire dalla distinzione di Mettinger (1994) tra antonimie sistemiche (o lessicali), che si basano su un asse del linguaggio, e non sistemiche, per cui è necessario postulare la presenza di un “integratore concettuale”, base della comparazione tra i due antonimi, qualcosa di comune tra le differenze dei due elementi in relazione (cfr. 3.2.2).

A questo punto si sottolinea che le informazioni che compongono uno script sono sempre organizzate gerarchicamente, in base alla salienza; quando dobbiamo attivare uno script, le informazioni che ci verranno in mente per prime sono le più accessibili, salienti – quelle che sentiamo “naturali”. Ogni antonimia si fonda sulla negazione su di un asse: nel caso della antonimia lessicale questo asse è quello di default del linguaggio; nel caso dell’antonimia locale è prodotta dal contesto. Ad esempio, nella barzelletta analizzata da Raskin, gli script in opposizione sono “paziente” e “amante”; quel che li lega, quel che produce l’opposizione, è l’integratore concettuale “± sesso” (Attardo 2001:22).

Di nuovo, nonostante il tutto non venga esplicitato chiaramente, c’è un’apertura alla relatività del concetto di opposizione, che va correlata sempre al contesto, parametro ineludibile per l’individuazione del comico; inoltre si introduce il concetto di negazione su di un’asse, e quindi si suggerisce la necessità di una polarità tra positivo e negativo, perché si dia il comico.

Vedremo come l’integratore concettuale possa essere rielaborato in funzione del concetto di trasgressione (sez. 5.3) e il passaggio tra le due polarità connesso con l’accesso ad aree “proibite”, la cui violazione si rivela causa del riso; lo spostamento sull’asse positivo/negativo poi sarà sfruttato per giustificare un viraggio verso il basso di pretese di alto rango da parte del bersaglio del comico (sez. 5.4).