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5. Integrazioni teoriche e nuovi modelli di opposizione

5.2. Verso il concetto di violazione

Prima di spostarci alle trattazioni del fenomeno comico provenienti da altri campi d’indagine più distanti, come nelle teorie esaminate nel capitolo precedente, è il caso di soffermarsi su qualche altra considerazione a livello linguistico e semantico che comincia ad aprire spiragli nella direzione che intendiamo seguire: ci si avvicina all’introduzione del concetto di violazione. Qui si parla soprattutto di rapporti tra linguaggio figurato e linguaggio comico, ma abbiamo già visto con Orlando che, dal momento che i meccanismi di base sono gli stessi, tale relazione è ineludibile (e anche fruttifera: vedremo quanto possa aiutare nell’analisi di un certo tipo di humour che si situa proprio al confine con le figure della retorica).

Weiner (1996), per esempio, suggerisce che l’incongruità (e la sua risoluzione) è centrale sia nello humour che nelle metafore, ma nelle seconde il risultato che si ottiene è divertente solo a volte: anche se è possibile trovarne di comiche, di solito non lo sono. Quale è il discrimine?

In entrambi i casi i due termini, tenore e veicolo, vengono presi da campi semantici diversi e incongrui. Ci deve essere distanza tra i due elementi, e pertanto si parla di “domain distance incongruity”. La distanza è difficile da calcolare ma deve esserci: se i due termini appartengono in qualche modo alla stessa classe non può darsi incongruità.

Ma la sola distanza non basta a spiegare il fenomeno, e Weiner chiama in causa il concetto di salienza, “the prominence of a particular attribute with respect to a concept to which it does or could apply” (113). Nelle metafore come nel comico vengono predicati a qualcosa attributi di alta salienza nel campo del veicolo ma che invece sono di bassa salienza nel tenore. Come visto in Attardo un discorso simile è possibile in riferimento alla prototipicità.

Il riscontro qualitativo e quantitativo tra i due predicati è solitamente inesatto; a volte i tratti predicati possono combaciare alla perfezione, ma è proprio l’inesattezza che incrementa l’effetto metaforico. In questo senso si può parlare di un continuum di metaforicità: una frase può essere più o meno metaforica (115). Ma la nozione di struttura graduata è applicabile anche alla categoria del comico. Pare anzi che proprio su questo continuum sia possibile lo scarto tra comico e semplice linguaggio figurato.

Si registra un legame tra il grado di distanza semantica e il comico, anche se non viene ben definito. Quando la distanza è talmente ampia da svelare inevitabilmente vere e proprie violazioni della salienza, allora può innescarsi il comico. Sullo stesso principio funzionano altri tipi di incongruità comiche che dipendono da “accessibility violations” e “parallelism violations”: in certi casi di ambiguità lessicale il significato più accessibile viene ignorato in favore di uno meno accessibile; per quel che riguarda il parallelismo, forza che opera nel linguaggio per cui si ha la tendenza a rimanere sullo stesso binario, tracciato sintattico, semantico, pragmatico o cognitivo, a meno che non ci sia pressione che spinga

verso un cambio, l’opposizione a questa forza può essere usata come meccanismo per la produzione del comico (116).

Il concetto fondamentale è quello di violazione, per cui si trasgrediscono delle convenzioni, delle norme, superando un limite imposto. Come vedremo nei romanzi di Rushdie, anche il linguaggio figurato impone delle proprie regole, aggirandone altre: una metafora può sì pescare da campi semantici molto distanti, ma è possibile stabilire anche un punto oltre cui non ci si può spingere, perché si mette a rischio la validità della figura. Il comico gioca proprio su questo limite.

La metafora (la figura retorica in generale) opera un primo atto di violazione sul linguaggio al grado zero (cfr. Orlando, sez. 4.2.1), non rispettando il principio di cooperazione di Grice. Il comico della metafora opera una seconda trasgressione, destabilizzando le basi stesse del rapporto metaforico. Si vedano a questo proposito gli esempi nell’incipit di Midnight’s Children (cfr.10.5.1).

Giora (1991) parla dell’importanza dell’elemento sorpresa nelle barzellette, lette dal punto di vista della teoria dell’incongruo. La sorpresa dipende dall’informatività (cfr. sopra, sez. 3.2.1); una frase è più informativa quando elimina più alternative ermeneutiche (“Una persona ha comprato il biglietto vincente della lotteria” è meno informativa di “James ha comprato il biglietto”); il messaggio più informativo di una serie è sempre il meno probabile.

Per quel che riguarda l’elaborazione dell’esperienza, in una categoria (insieme di due o più entità simili in uno o più aspetti – caratteri comuni e distintivi che danno appartenenza e distinguono da altre categorie) un membro è informativo quando ha più tratti del necessario per procedere all’inclusione. Le informazioni che i vari membri hanno in comune sono ridondanti; quelle che non tutti condividono e che sono addizionali al set di tratti simili, sono informative. Si tratta di quei tratti che determinano la “distinctiveness” all’interno di una data categoria. Il membro più informativo è quello meno simile alla struttura di ridondanza di una classe, quindi il meno accessibile in termini di numero di tratti esaminati per deciderne l’inclusione. C’è distanza cognitiva tra esso e il membro prototipico della struttura di ridondanza della categoria.

L’“informativeness” ha spesso valore di sorpresa, perché appartiene al membro meno probabile di una categoria. Nelle barzellette è necessaria però una “marked informativeness” (469): in una serie di significati il membro prototipico (e quindi meno informativo) è “unmarked”, mentre il più informativo, meno accessibile, meno tipico, più marginale e più sorprendente è considerato “marked”. Un testo normale è informativo, ogni passaggio offre qualche informazione in più; una barzelletta è “markedly informative”: il messaggio informativo finale è “marked”, in quanto troppo distante dai messaggi che lo precedono. Il senso non è fornito incrementalmente ma all’improvviso attraverso un elemento singolo.

a) comincia con il messaggio meno informativo (il “Discourse Topic”, membro prototipico della categoria; risponde quindi al “Relevance Requirement”); e

b) procede gradualmente sull’asse informativa (“Graded Informativeness Requirement”). Una barzelletta invece è ben formata quando:

a) obbedisce al “Relevance Requirement”;

b) viola il “Graded Informativeness Requirement” (finisce con un “markedly informative message”); e

c) causa nel lettore un “linear shift”: il lettore deve cancellare la prima “unmarked interpretation” per poter processare la seconda “marked interpretation” (470).

Giora conclude però riconoscendo l’insufficienza della proposta:

In sum, a surprise ending is a necessary element in jokes. It is the result of the unmarked-marked linear ordering of the text (and processing) of the joke. Yet the breach of the requirement for informativeness and the reduction of alternative hypotheses by a markedly informative message will not suffice to account for the funniness of the joke. Further research on ease of processing can help decipher the mystery of the mechanism of humor. (483)

Cosa manca? È il concetto di marcatezza che va specificato, e a mio parere l’elemento discriminante può essere quello della violazione, della trasgressione. Le specificazioni pragmatico-semantiche addotte da Attardo e le considerazioni di Weiner citate sopra vanno proprio in questa direzione.

Ma si vedano anche le considerazioni di Mizzau (1984) sull’ironia, che spesso si va a collocare tra le altre forme di comunicazione atte a suscitare il riso o il sorriso (40): il meccanismo che vi sta alla base (come anche alla base del comico in generale) rimanda al modello della bisociazione di Koestler (1964), ma la semplice inversione non è sufficiente per rendere conto dell’effetto comico: è necessario integrare una componente critico-allusiva nei confronti di un sistema di valori generalizzato.

Il secondo script che viene a imporsi in un’occorrenza comica porta insomma con sé una violazione di norme altrimenti valide, che possono essere di salienza, prototipicità, accessibilità ma vanno a coinvolgere anche psicologia e ideologia dei partecipanti al discorso. In un dato contesto la tale accezione non può essere accettata, e lo humour invece la sceglie appositamente (e si dà proprio in conseguenza di questa scelta).

Attraverso l’opposizione degli script si opera una trasgressione, si insinua il non lecito. È necessario allora che il piano dei contenuti torni a prendere il giusto valore, e in questo senso è il caso di far rientrare in gioco le altre teorie prese in esame nel capitolo precedente, soprattutto quelle di Orlando e Ceccarelli, i cui modelli in fin dei conti rispecchiano quello dell’opposizione di script ma che coinvolgono anche il piano contenutistico e il rapporto con le ideologie e le visioni del mondo dei partecipanti all’atto comico.