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5. Integrazioni teoriche e nuovi modelli di opposizione

5.4. Necessità e relatività del bersaglio comico

Ma tornando alla rielaborazione del concetto di script opposition proposta da Attardo ci si accorge che è possibile sviluppare anche un altro parallelo. Come abbiamo visto, viene introdotto l’elemento della polarità: ogni antonimia si fonda sulla negazione su di un asse. In un altro articolo (Attardo et al. 2002) Attardo rimarca che per capire bene l’opposizione è necessario prendere in considerazione l’organizzazione gerarchica degli script, per cui alcuni elementi di uno script detengono un grado di centralità spiegabile attraverso i parametri di salienza, enfasi e peso.

Il materiale di ogni script è organizzato gerarchicamente sulla base della salienza: “Scripts come with a default, unmarked foregrounded subset of elements” (23). Ma quel che succede è che “contextual pressure may alter this default foregrounding” (24). La script opposition viene ridefinita in questo modo:

two overlapping scripts (A and B) are opposed when within the complementary sets of the intersection we can locate two subsets (C and D) such that the member(s) of the subset C are the (local) antonyms (i.e., the negation) of the member(s) of the subset D. (24-25)

Ci si muove ancora verso la relatività del comico: si specifica che è il contesto, ma soprattutto i partecipanti all’atto comico, con le loro ideologie, a stabilire che cosa possa venire trattato con il riso assegnando i valori gerarchici ai diversi tratti degli script.

Ma questo ci riporta alla teoria elaborata da Ceccarelli (1988), che nota proprio a proposito della onnicomprensività del fenomeno comico come qualsiasi concetto possa entrare in una relazione asimmetrica di tipo gerarchico, essere oggetto di un giudizio di valore: “Senza dubbio alcuno la nostra vita di esseri umani è tutta intessuta di giudizi di valore, ed essi sono gerarchicamente ordinati.” (139). L’essere umano possiede una netta tendenza a strutturare gerarchicamente il proprio universo e usa il riso proprio come una forma di giudizio di valore su basi asisologiche contestuali.

Come già con Orlando, possiamo provare ad accostare anche la formula elaborata da Ceccarelli al meccanismo di sovrapposizione/opposizione degli script, che viene così letto come un viraggio verso il basso che rivela come inadeguate certe pretese di alto rango.

D’altronde abbiamo visto come nella polarità che viene a crearsi nell’opposizione, il secondo script, quello che causa la rilettura, ha sempre un valore subalterno (che abbiamo legato al campo del represso): è solitamente meno accessibile, meno prototipico, più marcato, spesso direttamente in senso “proibito”, con rimandi a contenuti scatologici o sessuali.

Concettualizzando spazialmente i modelli possiamo sostenere che se da un lato con il prodursi dell’atto comico una parte rimossa e schiacciata dalla repressione sale verso l’alto, di contro ciò che veniva posto come repressione viene trascinato verso il basso, perde momentaneamente il valore di prestigio e potere.

La forza repressiva, che sia il linguaggio acconcio o la pruderie sessuale o addirittura la logica razionale, sono comunque delle imposizioni di potere, dei mezzi per imporre delle costrizioni che trasmettono incessantemente messaggi di dominanza (cfr. 4.3.1). Ma perché si dia il comico è necessario che chi lo produce voglia liberarsi momentaneamente da queste catene, che sente come oppressive.

L’autore di un motto di spirito e più in generale di un costrutto umoristico, avverte nel suo bersaglio delle pretese di alto rango che reputa inadeguate. Svelarle tali produce il riso nei partecipanti all’atto comico (che devono condividere tale intenzionalità derisoria – come già ripetuto il riso non convince, conferma).

Possiamo rielaborare il ritorno del represso come una violazione di un sistema normativo che si pone come superiore ma che tale non è riconosciuto dalla parte (più o meno) inconscia che vi si ribella. La risata a spese del prepotente che cerca di imporre il proprio volere (cfr. l’esempio della ghirlanda di scarpe in Shame, sez. 8.1.1) o la ribellione contro il linguaggio della letteralizzazione delle metafore (cap. 10) partono dallo stesso presupposto: le norme che in quel momento regolano il sistema sono percepite come repressive e ingiuste, hanno pretese di alto rango che sono inadeguate e da smascherare (la validità di un tale modello sarà testata ripetutamente sui testi di Rushdie nella seconda parte).

Ciò porta a un paio di considerazioni importanti. La prima: consegue da questa formulazione che il comico è sempre rivoluzionario? Certamente no. Proprio la relativizzazione della repressione, il confinare nel produttore del comico la assiologia e la gerarchia, permette di non dover escludere dalla categoria del comico quelle espressioni che non sentiamo come tali solo perché ideologicamente aberranti dal nostro punto di vista.

Per intenderci: se la ghirlanda di scarpe (di cui ci occuperemo meglio più avanti) fosse davvero finita al collo di Omar, il riso, seppure dalla parte ideologicamente “sbagliata”, si sarebbe scatenato. Questo perché nell’ottica del produttore del gesto derisorio il bambino rappresenta una forza pretenziosa, si

pone con delle pretese di superiorità che vanno castigate. Non importa che oggettivamente il bambino sia più piccolo e più debole e non abbia coscienza alcuna di religione o senso della vergogna: in quel momento e per quelle persone (il gruppo degli eventuali co-ridenti) Omar rappresenta un potenziale potere opprimente, ci piaccia o no (certo, non condividendo una tale visione noi lettori ci asterremmo dal ridere).

Come nota Ferroni (1974) non esiste oggetto comico puro, dato in natura ed estrinsecamente definibile: “il carattere comico di qualsivoglia oggetto è sempre determinato dall’intenzionalità dei soggetti che di esso vogliono far ridere e ridono” (15); e poco oltre: “Non esistono degli oggetti di per sé comici, ma che lo status comico deriva sempre da un fascio di intenzioni (spesso anche inconsce), non situate semplicemente in singoli soggetti, ma risalenti a stratificazioni ideologiche e sociali” (16).

Il contesto quindi diventa fondamentale, come già accennato sopra. Solo conoscendo le ideologie e le visioni del mondo, o meglio solo condividendole, sarà possibile ridere con o ridere contro. Di nuovo, si pensi all’esempio della rana nel pozzo (cfr. sez. 7.6.1) per cui è necessario offrire tutte le coordinate perché poi si possa comprendere la ridicolizzazione dei personaggi che non capiscono il senso dell’aneddoto.

Non inganni l’apparente eccezione del comico involontario: se esso si sprigiona sarà perché chi o cosa lo suscita è investito di un’aura di prestigio percepito come immeritato, a cui è necessario ribellarsi. Il damerino che cade nel fango, sfruttato come esempio da molti autori, si pone con il suo contegno al di sopra dello spettatore che ne ride. Ma se a cadere fosse una vecchietta e si producesse nell’astante comunque una risata? È evidentemente che lo status dell’anziano comporta un certo grado di dignità che può essere sentito come abusivo. Stesso dicasi per i casi di derisione razzista: il bersaglio è investito (dalla parte ideologica opposta al ridente) di un valore (il principio di e il diritto all’eguaglianza) non avvertito come tale: quello non è uguale a me come vorreste sostenere, e pertanto lo punisco.

Con ciò non intendo giustificare questo tipo di riso o sostenere che sia giusto; voglio evitare però che venga trascurato, che si possa far finta che non esista soltanto perché altrimenti la nostra concezione dello humour ne verrebbe macchiata. Che lo vogliamo o no, esso è presente (cfr. anche sez. 4.1.6; Billig si oppone a una millantata “utopia della risata”).

Queste considerazioni comportano un altro corollario: si ride sempre di qualcosa, deve sempre essere presente un bersaglio contro cui ci si scaglia. E gli esempi che spesso vengono addotti a controprova, come il comico dell’assurdo sono facilmente risolubili: in quei casi, come sostengono D’Angeli e Paduano, è l’intero sistema logico razionale che viene percepito come pretenzioso e viene colpito: l’autore di un pun sente come repressive le regole linguistiche che non permettono di trattare le parole come cose e vi si ribella svelandone la inadeguatezza: si può fare!

Non è accettabile la posizione di Attardo (cfr. sez. 3.4.2) secondo cui tra le sei “Knowledge Resources” proposte il “Target” sia opzionale: come già osservato da Freud e Orlando, non esistono

motti innocenti, vi è sempre qualcuno o qualcosa che viene preso di mira, anche se non è necessario che il “butt of the joke” sia individuabile in una persona o in gruppo sociale determinato: si possono dare anche obiettivi astratti e ideologici. E abbiamo già analizzato come la relazione entro cui si sviluppa il riso sia triadica, con un (s)oggetto che subisce il viraggio verso il basso di pretese di alto rango (cfr. 4.3.3).

Deve esserci inoltre accordo precedente totale sulla valutazione della vittima tra chi propone il comico, il mittente, e chi dovrebbe riceverlo e diventare co-ridente, altrimenti non si darà riso (tale principio appare tematizzato, in Midnight’s Children, nell’episodio di Zagallo, cfr. sez. 7.4): lo humour raramente convince o converte, solitamente conferma le proprie ideologie.

Il bersaglio, ripetiamo, per diventare tale deve essere percepito come investito di una certa carica di potere, oppressivo e pretenzioso, che non appare legittimato. È evidente come vada accettato a questo punto il concetto di relatività dell’opposizione, che d’altronde può essere giustificato anche dal punto di vista della teoria degli script: se riportiamo la pretesa di alto rango al principio di incongruità (che chiaramente però non è sufficiente a spiegare da solo il comico: va integrato l’aspetto trasgressivo- aggressivo) dobbiamo convenire con Forabosco (1992) che è il singolo soggetto a regolare le proprie reazioni sulla base di propri personali modelli cognitivi:

A stimulus is incongruous when it differs from the cognitive model of reference. […] the use of the term model highlights the comparative and interpretative aspect: a model is a sort of preliminary representation and minitheory which the subject uses in his relationship with reality. (54)

Ma se ciascuno ha una propria “storia cognitiva”, una personale organizzazione di sapere ed esperienza, saranno possibili organizzazioni gerarchiche, generalizzazioni e categorizzazioni (anche condivise) aberranti come quelle che consentono il riso “cattivo” di cui sopra.

Quel che va rimarcato è che non si può prescindere dal presupposto di un’intenzione insita nel progetto comunicativo dell’emittente o del ricevente (come detto sopra uno dei partecipanti deve sempre dare conferma dell’intenzionalità, cfr. 5.1.1). Nei casi di comico “artificiale” il mittente vorrà far ridere; nel comico di situazione o involontario dipenderà invece dal destinatario l’interpretazione del messaggio come comico.

Il riso quindi dipende dai contenuti e dalle intenzioni e può servire ad ogni partito: è disciplinante e rivoluzionario a seconda del sistema di valori che con esso si vuole sostenere e di quello che con esso si vuole ridicolizzare. È il mittente che impone il proprio bagaglio ideologico, che non obbligatoriamente deve coincidere con le norme della società vigente, su quello (di colui) che subisce il viraggio.