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4. Alternative teoriche: il ritorno del rimosso comico

4.2. Orlando: comico, repressione e trasgressione

4.2.2. Oltre la forma, oltre il contenuto

È nel rapporto tra piano formale e piano contenutistico che Orlando trova “un punto di contatto capitale fra i linguaggi rispettivi di poesia e dell’inconscio” (30): si tratta del predominio della lettera, della preponderanza del significante verbale sul significato. L’inconscio, dice esplicitamente Freud,

suole trattare le parole come cose (cfr. anche Attardo 1994:150 e sgg. che parla di tendenza al “cratilismo”). Per tornare al già citato Jakobson, la funzione poetica del linguaggio è proprio quella che mette l’accento sul segno in quanto tale.

Ciò è quel che spesso accade anche nel comico, soprattutto nella sua modalità “liminale” (cfr. cap. 10). Si prendano gli esempi che Orlando trae dalla Fedra, in cui, come vedremo succedere ripetutamente in Rushdie, si verificano degli slittamenti tra il senso letterale e quello metaforico di una parola: “Un solo significante comanda due significati oggettivamente diversi” (Orlando 1987:32). Un arbitrio verbale del genere sarebbe inammissibile in discorsi altri da quello poetico, può aver luogo solo in una zona franca quale è la letteratura.

Orlando poi distingue tra due aspetti diversi che la preponderanza del significante può assumere: può esserci prevaricazione sui significati (slittamento dall’uno all’altro o mescolanza di più d’uno), e si tratta di un procedimento essenzialmente semantico (di nuovo, pare di rifarsi ai capitoli precedenti); e prevaricazione fonica (viene valorizzato il corpo, la consistenza sonora del significante, anche in questo caso in stretto rapporto con il piano dei significati).

Una tale interrelazione di forma e contenuto rende poco funzionale l’uso generico dei due termini. È necessario quindi abbandonare la bipartizione saussuriana del segno in significante e significato per adottare l’esapartizione di Hjemslev in cui si distingue tra materia, forma e sostanza di espressione e contenuto. Tale ristrutturazione, emendata a sua volta da Orlando, risulta molto utile per lo studioso di letteratura, perché dà conto del fatto che una stessa materia del contenuto può essere trattata (sostanziata) da diversi discorsi (in varie forme), letterari o meno.

Orlando mette quindi in allerta per quel che riguarda il possibile rischio di tentazioni formalistiche, e sembra quasi parlare ai teorici affrontati nei capitoli precedenti: come nel campo della letteratura si potrebbe idealisticamente pensare che la materia del contenuto di un’opera sia interessante esclusivamente in quanto divenuta sostanza di una forma, o addirittura ci si possa dedicare soltanto a questa forma, così sul piano dell’analisi del comico le teorie esaminate in precedenza rischiano di trascurare la materia del contenuto che invece ha il suo peso.

Soprattutto nell’ambito di una teoria freudiana, è proprio il piano della materia del contenuto a rivestire un ruolo fondamentale, visto che il ritorno del represso sessuale e/o ideologico si situa proprio a tale livello: lì si annidano cose che non possono essere dette, ed è da quel serbatoio che attingono solitamente le battute comiche.

La rielaborazione dell’esapartizione hjemsleviana è tanto più importante se torniamo al testo di Freud e alla sua indagine su cosa renda un motto di spirito tale. Freud, per cercare di risolvere questo mistero applica a vari Witze il procedimento della riduzione, che serve a portare alla luce la loro materia del contenuto concettuale, che poi attraverso le tecniche (le indissolubili forma del contenuto e forma

dell’espressione, con diversi gradi di dipendenza se il motto è formale o legato più al pensiero) ottiene il rivestimento arguto.

Il valore del pensiero racchiuso nel motto e cioè della materia del contenuto (che, sia chiaro, è formulabile solo attraverso una nuova forma) permette a Freud di distinguere tra motti privi e motti dotati di contenuto valido: “La distinzione è fra un caso di autosufficienza della forma, e un caso di compresenza del valore di essa con un valore anteriore ed esterno, attribuito alla «materia del contenuto» concettuale” (Orlando 1987:44).

Un’ulteriore distinzione proposta da Freud, che “ugualmente è fra un caso in cui la forma appare autosufficiente e un caso in cui le sue risorse si mettono al servizio di qualcos’altro venendone a loro volta potenziate oltre misura” (ibidem) è quella tra motti innocui e tendenziosi.

La “tendenza” di cui si parla non è altro che una particolare materia del contenuto, coincidente con un ritorno del represso considerato a questo livello. Le tendenze possibili sono di due tipi: oscene e ostili, a seconda che la repressione sociale gravi sulla sessualità o sull’aggressività. Ma, chiosa Orlando,

Riconoscere [nella tendenza] il ritorno del represso considerato come «materia del contenuto» vuol dire postulare insieme qualcosa di particolare nella «forma del contenuto» corrispondente, se per definizione il ritorno del represso è, dell’inconscio, manifestazione linguistica. (46-47)

Ciò riconduce all’importanza della tecnica nella creazione dello “spirito” nel motto, su cui si tornerà tra breve. È importante però sottolineare alcune considerazioni riguardanti le tendenze intese come materia del contenuto e la portata del concetto di ritorno del represso.

Orlando estende questo concetto ai contenuti censurati dalla repressione sociale che grava sul sesso e ai contenuti censurati da una repressione ideologico-politica; come altre forme di repressione contro cui confrontarsi sono poi considerati il patto sociale di non-aggressione e i fondamenti di un ordine costituito, o di determinate credenze vigenti. Questi sistemi opprimenti operano attraverso “l’interiorizzazione nell’individuo (censura, super-io) di una repressione che lo trascende, sia in quanto anteriore sia in quanto collettiva” (49). E conclude Orlando sostenendo che la repressione è sempre un fatto sociale.

Questa esplicitazione delle forme della repressione è utile in vista della mia proposta di integrazione teorica che ipotizza che l’opposizione sia sempre nei confronti di un sistema coercitivo. Ma è bene sottolineare fin da adesso che, abbracciando il principio della relatività dello humour, l’ente che reprime le pulsioni non può avere valore e riconoscimento universale e oggettivo: perché si produca dello humour è necessario e sufficiente che sia il mittente (e il destinatario, se la comunicazione umoristica deve riuscire) a concepire una forma di repressione come tale. Torneremo sull’argomento nel capitolo successivo.