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4. Alternative teoriche: il ritorno del rimosso comico

4.4. D’Angeli e Paduano: i paradossi del bersaglio comico

4.4.4. Il riso (ir)ragionevole

Dalla morale si passa al riso sanzionatore della devianza mentale. Due condizioni trasgrediscono la ragione: stupidità e follia. Il folle mantiene l’impalcatura formale del pensiero ma la usa in altro modo o con altri fini, conservando però lo stesso rigore. Lo stupido, lo sciocco, è vittima di un problema quantitativo: usa la ragione in modo incompleto, frammentario.

Da questa classificazione (e poi verrà affermato più avanti) appare chiaro che secondo D’Angeli e Paduano non c’è via d’uscita dalla ragione: comunque ci si ponga, si è costretti ad agirvi all’interno. Chi ride di queste devianze riafferma il potere della ragione. Ma se quando il riso si scaglia contro la

stupidità a sostenerlo vi è un senso di sufficienza sprezzante e tranquilla, quando si rivolge contro la follia viene turbato da un senso di disagio e diffidenza: la logica del folle fa paura, perché è ben strutturata, insinua il dubbio nell’intero sistema logico. Addirittura questo atto insensato ma coraggioso di rifiuto della ragione, che non può coprire tutto il reale, può suscitare un moto di solidarietà.

A ben vedere, però, neppure il riso contro lo sciocco può dirsi immune da rischi di complicità: contravvenire al sistema restrittivo della ragione dà piacere perché permette di recuperare “l’arbitrio senza condizioni e senza confini che caratterizza la dimensione infantile” (17). Il tema dell’ingannatore ingannato rappresenta il culmine della diffidenza nei confronti del potere razionale: si sanziona chi vorrebbe fare un uso scaltro della ragione. Come la morale, insomma, anche la razione può subire dal comico un’aggressione diretta; il circolo si chiude di nuovo e si dimostra che non vi sono esclusioni di favore nel mondo dei bersagli del riso.

Spesso questo tipo di comico viene ridimensionato attraverso un trattamento di sufficienza, una svalutazione più interessata di quel che parrebbe: viene definito come ozioso, un gioco, una vaghezza, contraddistinto da quel che sembrerebbe disimpegno e recluso a generi ben recintati come il motto o il pun. Dietro, in realtà, c’è ben altro: “una delle forme più rappresentative del riso contestatore della ragione è l’uso estremo dello strumento linguistico contro la funzione sociale e pragmatica che gli è attribuita dalla sua trasparenza” (18).

Viene sottolineato l’aggettivo “estremo”, perché questo uso opacizzante della comunicazione – il trattare le parole come fossero cose – è in realtà tipico di tutta la letteratura. Il rapporto tra le due classi, linguaggio poetico e linguaggio comico, non è così discreto come molti teorici (tra cui Attardo) vorrebbero. I meccanismi di base sono gli stessi: è la variazione di alcuni fattori che provoca il riso e non il solo piacere estetico. Sono molti, comunque, i casi in cui queste due reazioni sono compresenti, quando non connesse e interdipendenti (si vedano i casi delle metafore comiche, cfr. cap. 10).

L’impressione di gratuità che il piacere dell’assurdo pare offrire dipende forse dal fatto che “è in atto un conflitto troppo vasto per essere percepito nella peculiarità delle situazioni discorsive” (18-19). La ragione prende in giro, aggira se stessa, si fa carico di istanze che le sono estranee e opposte. Secondo D’Angeli e Paduano è il caso di allargare a tutto questo tipo di humour il senso che Freud attribuisce ai motti scettici, che “non assalgono una persona o una istituzione, ma la sicurezza della nostra conoscenza stessa, uno dei nostri beni speculativi” (Freud 1972:103).

Sarebbe necessaria una rivalutazione di questo genere di riso, e delle forme letterarie che lo privilegiano, “trasformando in impegno tanto più accentuato il disimpegno tanto più sfacciatamente esibito” (D’Angeli – Paduano 1999:19). Le sue conseguenze sono tanto estreme da arrivare a mettere in crisi il principio di identità stesso; ciò può avvenire in svariati modi: il qui pro quo, il sosia, la ripetizione…

Nel parallelismo tra devianza morale e devianza mentale si nota l’assenza di un passaggio intermedio nel secondo campo: il vizio può farsi norma, tanto è comune in una società, ma ciò, secondo D’Angeli e Paduano, non può darsi per la follia: non esiste una ragione relativa e storica. A questo proposito però si potrebbe suggerire l’ipotesi di un’intera comunità che “pensi” male – ad esempio perché non ancora in grado di accettare un rivolgimento scientifico.

Un altro strumento del comico che presenta contraddittorietà è l’inganno, che media tra i due piani: è negatività morale con positività intellettuale. Ma anche in questo caso è presente un “fattore di difesa dell’ordine sociale” (21): non è la moralità ad essere sconfitta, ma una sua degradazione.

Il comico trasgressivo che si scaglia contro la repressione, logica o morale, incorre sempre in paradossi del genere. Proprio il suo apparire in un contesto solo relativamente referenziale come è ogni opera letteraria, ne riduce la portata: il ruolo rivoluzionario si modifica attraverso la limitazione temporale, se ne mette in luce il carattere transitorio limitato alla fruizione dell’opera; si può ridere solo perché non è realtà. La sovversione è vanificata dal fatto che è circoscritta e concessa momentaneamente dalle vere potenze dominatrici.

Oppure la trasgressione si modifica andando a coincidere con un beneficio al sistema repressivo, così è possibile farla accettare: “La trasgressione più clamorosa, che rinuncia ad ogni attenuante e si presenta come insubordinazione autonoma, vissuta con pienezza libidica e ludica, si dà solo a patto di non essere altro che una facciata di cattive intenzioni giustapposta ad azioni oggettivamente buone” (142).

L’approvazione della trasgressione passa spesso attraverso le armi della complicità intellettuale: viene costantemente affermata l’importanza della complicità, dell’approvazione ideologica che è necessaria al riso. Raramente questo serve a far cambiare idea: piuttosto aiuta a confermare il proprio punto di vista.