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3. La “General Theory of Verbal Humor” di Salvatore Attardo

3.5. Dalle barzellette ai testi di ampie dimension

3.5.2. Barzellette, para-barzellette e meta-barzellette

La ricerca linguistica sul comico ha a lungo preferito occuparsi delle barzellette, perché più “maneggevoli”; Attardo cerca di allargare il campo a testi più ampi, e lo fa gradualmente: partendo dalle “canned jokes”, “the prototypical type of humor analyzed in humor theory” (2001:62) ci inoltreremo verso forme narrative più complesse.

Intanto è bene distinguere tra “canned” e “conversational jokes” (cfr. anche Attardo 1994). Le “canned jokes”, “barzellette in scatola” sono le barzellette più classiche, solitamente preannunciate da indicatori lessicali; sono anche “pre-ascoltate”, cioè provate, prima di essere raccontate (o perché già ascoltate o perché create in precedenza: non sono mai improvvisate); infine sono isolate dal contesto in cui vengono narrate. Le “conversational jokes”, invece, vengono create sul momento e raccontate durante i normali turni della conversazione, senza alcuna forma introduttiva. Sono fortemente dipendenti dal contesto, da cui prendono forma.

In realtà la distinzione è più sfumata di quel che si possa pensare: è possibile adattare una “canned joke” al contesto e farla quindi diventare “conversational”, o viceversa, decontestualizzare una “conversational joke” e farla diventare “canned”, attuando vere e proprie forme di forme di riciclaggio. Le barzellette raramente occorrono da sole, ma spesso fanno parte di sequenze, come per esempio nelle stand-up routines. Il grado zero di uno stand-up act sarebbe in effetti una serie di barzellette giustapposte senza altri legami (barzellette canned, provate in precedenza); solitamente comunque vengono stabilite connessioni tra i vari elementi: ne consegue che la stand-up routine, anche la più basilare, non è solo una serie di barzellette, ma risulta più complessa: viene elaborata una struttura, con correlazioni tra i vari microtesti e un inizio (solitamente non comico: consiste di materiale “serio” funzionale a instaurare una comunicazione con il pubblico) e un finale.

Le “canned jokes” inoltre vengono spesso raccontate in serie in quelle che sono vere e proprie gare di barzellette (“joke telling contests”, o “joke capping sequences”, Attardo 2001:65-66), in cui i partecipanti si sfidano informalmente su qualità o numero di barzellette conosciute. Spesso queste sequenze si strutturano secondo un tema o un genere che si stabilisce all’inizio – semplicemente proponendolo con la prima barzelletta – o sono legate formalmente.

Anche durante un normale conversazione, quando compare una barzelletta frutto di qualche associazione tematica, spesso la tendenza è di continuare sullo stesso piano di comunicazione, per inoltrarsi in una sorta di “tenzone comica”; esistono delle vere e proprie strategie di humor support perché

si proceda in tale direzione: i partecipanti alla conversazione attraverso vari segnali più o meno linguistici invitano a mantenere il tono intrapreso.

Una caratteristica utile in questo senso sviluppata dalla GTVH rispetto alle teorie precedenti è la possibilità, attraverso i valori delle sei knowledge resources, di stabilire la maggiore o minore similarità tra le varie barzellette di una serie. Molte delle tassonomie di barzellette elaborate dagli studiosi del comico si basano su una somiglianza della stessa KR: il bersaglio, per esempio, o la situazione, o la strategia narrativa.

A un livello di complessità superiore troviamo i cicli di barzellette, “joke cycles”: florilegi di barzellette correlate per qualche tratto comune (prevalentemente tematico, ma possono esserci altre forme di connessione); a questi cicli possono appartenere solo le “canned jokes”. I cicli di barzellette hanno solitamente grande successo: sono destinati a larghe audience, veri e propri prodotti di consumo di massa, e per certi tratti comuni (quali ad esempio l’anonimità autoriale o la fortuna) sono assimilabili a leggende, favole, folk songs.

Un esempio di questo genere di “macrotesti” è il ciclo della lampadina, conosciuto in tutto il mondo; si basa sulla formula “quanti x ci vogliono per avvitare una lampadina”, su cui vengono costruite innumerevoli varianti. Il ciclo nasce come strumento di derisione di gruppi etnici e della loro presunta stupidità, ma cambia lentamente stilemi, finendo per specializzarsi nell’indicare le peculiarità delle varie comunità prese come bersaglio (che comunque bersaglio restano! Attardo pare sorvolare su questo particolare, e contro questo buonismo ipocrita si scaglia Billig, come vedremo nel capitolo successivo).

La produzione però non si ferma qui: successivamente può nascere una seconda generazione di barzellette, dette “para-jokes” (70), che si basa su impliciti riferimenti intertestuali alla barzelletta originale, senza cui non riusciremmo a dare un senso al testo. Ed infine è possibile il passaggio a una terza generazione di “meta-jokes” (ibidem), in cui tratto fondante è il fallimento del racconto della barzelletta-tipo: la produzione del riso si sposta dal contenuto all’atto della narrazione, all’attesa – frustrata – della storiella.

Attardo offre una propria definizione (volutamente molto aperta) di intertestualità: “a text (Ti) will

be said to have an intertextual relation to another text (Tj) when the processing of Ti would be

incomplete without a reference to (Tj)” (p. 71). Il “riferimento” può essere a ciascuno degli elementi

che costituiscono quel testo: significato, organizzazione formale, circostanze della sua produzione… Esempi di intertestualità possono essere la citazione, la parafrasi, la parodia. Una barzelletta di seconda generazione funziona quando attiva lo script intertestuale specifico di quel genere di barzelletta; ciò offre un surplus di comicità, soprattutto nel caso in cui una barzelletta potrebbe essere comunque apprezzata senza capire il riferimento intertestuale.

Appare chiaro quanto il concetto di script sia funzionale proprio perché garantisce anche la trattazione di questo tipo di comicità, accogliendo e in qualche modo formalizzando elementi connotativi di genere. Già abbiamo preannunciato che anche in questo campo Rushdie più volte utilizzerà forme umoristiche – spesso lavorando anche a livello “meta” e relegando il lettore al ruolo di bersaglio (cap. 9).

Applicare la GTVH a un macrotesto come il ciclo della barzelletta della lampadina consente di comprenderne meglio il funzionamento. Dall’analisi risulta che la barzelletta-tipo è definita principalmente da due Knowledge Resources: Situazione (SI: avvitare una lampadina) e Strategia Narrativa (NS: domanda e risposta); le altre KRs possono variare (l’opposizione è tra intelligente/stupido, a livello più astratto tra – ça va sans dire – normale/anormale; Attardo non nota che ciò che deve rimanere stabile è anche l’intento di denigrazione, perché si dia il senso comico); è attraverso questi punti fermi che sarà possibile produrre o riconoscere varianti.

Per elaborare delle para-barzellette, parodie della barzelletta-tipo in cui viene chiamata in causa l’intertestualità, saranno invece necessarie delle inferenze sul bersaglio (TA) che mostra un comportamento stereotipato nell’affrontare una situazione standard in maniera anormale. È quindi possibile variare il materiale mantenendo fisse SI e NS e modificando i parametri di TA e Meccanismo Logico (LM), che dovrà rimanere connesso al tratto stereotipo del bersaglio deriso.

Nel caso delle meta-barzellette, anche l’ascoltatore deve essere a conoscenza dell’esistenza del format (nelle barzellette di seconda generazione è sufficiente che lo sia il mittente). Il processo inferenziale in questo caso procederà attraverso l’identificazione del genere della storiella sulla base di SI, NS e LA; poi, al momento della seconda parte della barzelletta, si registrerà il fallimento delle aspettative che la cornice aveva promesso: la situazione andrà quindi reinterpretata come una deliberata violazione del genere – violazione che deve rispecchiare, nei modi, il tratto stereotipo deriso nel TA; solo così la barzelletta avrà successo.

Se prima la SO era tra normale/anormale in relazione al modo di affrontare la situazione del gruppo-bersaglio, qui la SO è tra barzelletta del genere x/non barzelletta del genere x (ma Attardo non nota che anche in questo caso la SO è sussumibile sotto la categoria normale/anormale: cambia solo lo script particolare di referenza).

Vedremo l’utilità di tale specificazione quando ci occuperemo del comico di certe figure retoriche o del comico metanarrativo. Il meccanismo opposizione/violazione permane; è diverso invece il sistema di norme che vanno trasgredite (cfr. in particolare cap. 10).

È già stata sottolineata l’importanza dell’organizzazione gerarchica delle risorse di conoscenza; qui se ne ha un riscontro sul campo dell’analisi: “jokes differing by higher level KRs, are perceived as more different than jokes differing in lower level KRs in the hierarchical organization of the GTVH” (Attardo 2001:73).

Ricapitolando, è possibile definire un ciclo di barzellette come un macro testo che consiste di una serie di barzellette connesse da legami di intertestualità. Questa forma, insieme alle altre analizzate in precedenza, sono strutture intermedie tra barzellette e testi più lunghi, verso cui ci stiamo spostando.