• Non ci sono risultati.

Raskin poi di dedica a mostrare come le varie teorie precedenti più canoniche siano riconducibili e sussumibili dalla SSTH e come vadano trattati i fattori che entrano in gioco nella nascita del comico (le funzioni viste al principio della trattazione nell’equazione della barzelletta riuscita) alla luce della teoria semantica degli script.

Per quel che riguarda i corollari sociologici e psicologici associati allo humour, attraverso l’introduzione del concetto di modalità comunicativa è facile capire che chi è portato a passare più prontamente alla modalità non-bona-fide e ha più disponibilità di script e capacità di metterli in opposizione risulterà più dotato di quello che comunicamente è definito sense of humor (sono quelli che Huizinga (1973) definisce come “gradi di giocosità”). Le persone più rigide o quelle che mettono troppo carico emotivo sugli script (per riprendere uno dei comandamenti bergsoniani e freudiani sul riso), raramente sono invece in grado di cogliere il comico: un argomento tabù non verrà accettato come oggetto di riso da chi vi crede, “Religious, ethical, and other norms can preclude the availability of the necessary second interpretation for the humorous text” (Raskin 1985a:129; non si nota però che, come vedremo, forse il tabù ha valore anche nella direzione opposta, per la nascita del comico).

Una certa conoscenza della lingua consente di usufruire di un lessico interiorizzato (“internalized lexicon”) che permette l’istaurarsi di un certo numero di script per ogni parola della frase; il ricorso all’esperienza, poi, singola o condivisa, permette la restrizione degli script applicabili. Contesto e cotesto sono essenziali per restringere il campo, e società e psicologia contribuiscono al processo di selezione degli script rendendone alcuni più pronti, disponibili, automatici di altri.

Società e psicologia contribuiscono anche ai meccanismi di “mode-switching” dei partecipanti; come visto, il mutamento di modalità comunicativa conduce all’adozione di un differente principio di cooperazione e influenza (indirettamente ma in modo importante) il processo della nuova selezione degli script: come dire che quando si capisce che si deve passare alla modalità non-bona-fide, si sarà portati a cercare poi tendenzialmente uno script comico, che risponda ai tratti di sovrapposizione e opposizione. E possiamo rileggere da questa angolazione anche la natura impersonale del comico e la necessità di assenza di emozioni forti perché esso prenda vita predicate da Bergson e Freud, tra gli altri:

l’individualizzazione, il riportare il testo al vissuto personale, necessariamente porta a evocare più materiale, più script, di quelli necessari per la barzelletta, e a rendere così difficoltosa l’interpretazione comica.

Raskin afferma anche che poter interpretare il comico attraverso le opposizioni base di script proposte vanifica le consuete lamentazioni dei teorici che parlano della natura elusiva dello humour, che sfugge a generalizzazioni e definizioni. Certo, enumerare tutti gli script e le relazioni di opposizione non è fattibile, ma il principio dei due script e della relazione di opposizione “provides the desirable degree of unification to the complex phenomenon of humor” (1985a:131).

Di nuovo non posso che annotare che il concetto di opposizione di script ha la sua utilità nell’analisi dello humour, ma non si può sorvolare sul fatto che la sua elaborazione sia quantomeno incompleta. Non si è risposto precisamente alla domanda “opposti in che senso?” se non tautologicamente. Inoltre proprio il rimando a relazioni di opposizione più concrete fa sì che subentri un elemento ideologico e/o soggettivo. Opposizioni del genere dipendono dalla visione del mondo dell’analista e possono variare culturalmente. Non tutti leggeranno una certa opposizione come comica, o se preferiamo, non tutti vedranno un’opposizione di script, accecati da un’ideologia particolare. Riprenderemo più avanti queste critiche.

Per quanto riguarda il rapporto tra le tre classi di teorie sul comico esaminate sommariamente a inizio capitolo e la SSTH, Raskin instaura relazioni interessanti e condivisibili. Le teorie basate sull’incongruo affrontano il tema della deliberata ambiguità del testo (cfr. Leacock, Mindess, Fry, Bergson…); le teorie basate sulla denigrazione sembrano ridurre il comico a un solo particolare tipo di opposizione di script, la cattiveria (“badness”, 131) associata al mittente o al protagonista del testo (come accennato sopra, e come vedremo poi, il legame con questo genere di teorie è sottostimato: il concetto di opposizione implica necessariamente una scala assiologica, e quindi un scelta tra un polo positivo e uno negativo; le opposizioni incontrate, inoltre, sembrano rimandare a violazioni di norme o tabù); le teorie basate sul sollievo si concentrano sul passaggio dalla modalità bona fide a quella non-bona-fide, da una logica all’altra, da un modo di comportarsi a un altro (e anche in questa direzione mancano accenni al ruolo che hanno le violazioni che l’opposizione comporta).

Ciò che se ne evince è che la SSTH offre una cornice universale in cui raccogliere tutte le altre teorizzazioni, rimanendo neutrale nei loro confronti:

script analysis provides a simple, homogenious [sic], and unifying basis for all of them [the major theories and ideas about humor]. Everything that can be said about humor without scripts can be expressed in their terms but not vice versa. Being formally defined and based on an explicit semantic theory, the scripts allow for important generalizations which are unavailable without them. They also resolve the conflicts among the three reigning types of theories of humor by demonstrating quite unequivocally the partial nature of each and their emphasis on just one specific aspect of humor. The script-based theory of humor provides a universal framework which is

completely neutral with regard to the major theories and non-committal as to the truth or falsity of their claims. (Raskin 1985a:132)