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4. Alternative teoriche: il ritorno del rimosso comico

4.3. Ceccarelli: i partecipanti all’atto comico e le loro pretese di alto rango

4.3.3. Lo stimolo r come inadeguatezza di pretese di alto rango

Spiegare lo stimolo r, ciò che fa ridere, è ciò a cui le varie teorie hanno sempre mirato. Secondo Ceccarelli lo stimolo r è

una configurazione stimolatoria relativa all’oggetto di riso che serve da innesco a tutto il processo, pur non essendo di per se stessa un messaggio facente parte del sistema di comunicazione che costituisce la relazione triadica. Abbiamo anche proposto di interpretare lo stimolo r in termini di «meccanismo scatenante innato» (MSI). (127)

L’ipotesi di Ceccarelli è che lo stimolo r esprima una “inadeguatezza nei confronti di una pretesa posizione di alto rango. Fa ridere, cioè, chi, rivendicando una posizione elevata di rango, si rivela inadeguato a sostenerla, subendo qualcosa come un tracollo, una caduta improvvisa di rango” (118). Tornando ai messaggi comunicativi dell’aggressione, possiamo riformulare dicendo che il s/oggetto Y fallisce nell’emissione di messaggi di dominanza e/o minaccia (Md, Mm) e produce invece un messaggio di sottomissione (Ms), compiendo un salto, o meglio una caduta repentina tra due condizioni antitetiche (120).

Sembra, a questo punto, che il rimando sia alle categorie fondate sulla superiorità/degradazione; ciò pone il fianco a tutte le obiezioni che solitamente vengono opposte a una simile generalizzazione, secondo cui ogni forma di comico può rientrare in questa classe. Ceccarelli ne è consapevole e replica, anticipando Billig, che spesso queste obiezioni si basano su esempi (come quello dell’indiano di Surate in Kant) in cui l’assenza di un senso di superiorità non è così immediatamente rilevabile come si vorrebbe; pare quasi che il bisogno di scrollarsi di dosso l’accusa di crudeltà imponga questa maldestra rimozione.

Tra l’altro proprio l’idea kantiana di riso come aspettazione tesa e d’un tratto ridotta a niente (come pure il principio dell’incongruità discendente di Spencer, due tra i più forti oppositori di ogni forma di superiorità) va proprio nella direzione di una inadeguatezza nei confronti di una pretesa posizione di alto rango. Conclude Ceccarelli: “Siamo sempre in presenza di una caduta, di una «degradazione», sia pure moderata” (129; cercherò di illustrare nel capitolo successivo quali possono essere i rapporti tra questa degradazione e l’opposizione degli script di Attardo e il ritorno del represso freudiano- orlandiano).

Ma quale modello esplicativo è più funzionale tra i due? Esiste un modo per superare l’apparente “incoercibile non omogeneità del risibile” (130-31), un fenomeno unificante o un’ipotesi “abbastanza potente per rendere conto dell’intero complesso dei fenomeni comici” (132)? Né i modelli dell’incongruo né quelli della degradazione sembrano essere stati in grado di fornire un criterio che comprenda i fenomeni comici nella loro interezza e che li spieghi. Si possono stabilire delle condizioni necessarie e sufficienti per l’insorgenza del riso?

Se tutto può diventare risibile è perché esso deve essere presentato in modo particolare, e così si torna alla questione dello stimolo, la cui configurazione pare essere la chiave del problema. È necessario che la configurazione dello stimolo chiave possa, rimanendo invariata, contenere qualsiasi contenuto. Ciò si accorda con l’ipotesi di considerare il messaggio risibile come un MSI vista sopra.

Come detto, l’ipotesi di Ceccarelli è che lo stimolo chiave possa essere verbalmente tradotto come una “inadeguatezza nei confronti di una pretesa posizione di alto rango” (138). In una formula grafica:

Pi (Md/Mm) → Ms (ibidem)

Tale stimolo chiave, in quanto parte di un MSI, dovrebbe funzionare sia nelle forme di risibile naturale che artificiale, e questo ci riporta al campo della letteratura e del comico verbale: “qualsiasi cosa, anche concetti astratti e complessi […] possono funzionare da «zimbelli» portatori dello stimolo chiave” (139). Più avanti verrà affermato d’altronde che “tutto il comico verbale, che utilizza il linguaggio, ha valore di zimbello” (150).

Ma davvero è possibile applicare a qualsiasi concetto, anche astratto, termini come rango e gerarchia? Secondo Ceccarelli, sì:

due concetti astratti possono essere messi tra loro in una relazione asimmetrica di tipo gerarchico, cioè, in altre parole, essere oggetto di un «giudizio di valore». Senza dubbio alcuno la nostra vita di esseri umani è tutta intessuta di giudizi di valore, ed essi sono gerarchicamente ordinati. (139)

Ci si riaccosta in questo modo alle rielaborazioni di Attardo del concetto di script opposition attraverso scale gerarchiche di salienza e accessibilità (cfr. sez. 3.2.1 e 3.2.2).

L’essere umano “possiede una netta tendenza a strutturare gerarchicamente il proprio universo” (141); il riso si rivela quindi come una forma di giudizio di valore, ha significato assiologico. Conclude Ceccarelli che

«qualsiasi cosa» può funzionare da zimbello per innescare le nostre risposte geneticamente determinate inerenti alla gerarchia sociale, e quindi partecipare a quel meccanismo di «inadeguatezza al rango» che scatena il modulo motorio del riso. (142)

Il rapporto tra riso e gerarchia sociale è ben stretto, come abbiamo visto anche in Billig, tanto che si può sostenere che

ciò che concerne il riso si prospetta come una parte, un aspetto particolare della struttura complessa su cui sono fondate le risposte, geneticamente programmate, riguardanti le interazioni gerarchiche umane. A loro volta queste ultime possono vedersi come caso particolare delle interazioni aggressive. (143)

Sono opportune delle precisazioni: lo stimolo chiave (componente di un meccanismo scatenante innato, MSI) “non richiede necessariamente che l’interazione avvenga fra attori umani, ma «qualsiasi cosa» può essere veicolo di esso” (ibidem): qualsiasi cosa può funzionare da zimbello. L’ipotesi proposta ha chiari legami con le teorie della superiorità/degradazione: la rivelazione dell’inadeguatezza delle pretese di alto rango comporta una degradazione di chi subisce il tracollo, mentre colui che ride si mostra superiore. La pretesa però deve essere illegittima.

Quest’ultima affermazione a mio parere (e soprattutto in vista del tentativo di assimilazione dei vari modelli che proporrò) va però stemperata, o meglio relativizzata: quel che secondo me va specificato è che la percezione di pretese e illegittimità dipendono dal soggetto che produce il riso, non sono valori oggettivabili. Solo così è possibile spiegare certe forme di riso particolarmente crudeli a spese di bersagli obiettivamente “deboli”. Va postulata la possibilità, per chi è pronto a ridere di qualcosa, di ritenere anche solo momentaneamente l’oggetto di riso come portatore di una pretesa illegittima di alto rango. Un caso del genere sarà quello della ghirlanda di scarpe in Shame, in cui degli adulti sono pronti a sanzionare derisoriamente un bambino perché in lui vedono (paranoicamente, accecati dal fondamentalismo) un tentativo di imposizione gerarchica (cfr. capitolo successivo e sez. 8.1.1).

Il comico è ideologico: se si ride di qualcosa lo si fa solo perché lo si considera (anche solo per il breve momento della risata) altro, diverso, inferiore. Ma, nota Ceccarelli, quella con la teoria hobbesiana non è la sola relazione istituibile: “nella formula «pretesa illegittima al rango/rivelazione di inadeguatezza a esso» è presente un contrasto radicale, una incongruenza.” (144). Superiorità e incongruo, insomma non erano condizioni sufficienti prese singolarmente, ma vengono a funzionare come tali quando sintetizzate nel modello proposto.

L’ipotesi inoltre sussume anche un altro punto solitamente associato con il comico: la sorpresa; “Il processo ha cioè un punto di svolta improvviso, un ribaltamento subitaneo. Il contrasto/incongruenza e la subitaneità derivano dalla struttura stessa dello stimolo chiave, non si presentano cioè come condizioni aggiuntive.” (ibidem).

Per tornare al piano del linguaggio dell’aggressione di cui sopra, dobbiamo ricordare che questo è limitato e chiuso ai tre tipi di messaggi, di minaccia, dominanza e sottomissione. Traducendo in questi termini il modello dello stimolo chiave si può vedere come avvenga un viraggio incongruo e improvviso da dei messaggi di tipo di dominanza/minaccia (pretesa) a uno di sottomissione (inadeguatezza). A virare è la pretesa illegittima, e quindi ecco la formula proposta poco sopra.

I vari messaggi possono presentarsi con gradazione analogica di intensità: si va pertanto da un massimo a un minimo di distanza nella transizione, e ciò rende a volte meno avvertibile il viraggio e meno automatico il riso. Il grado di intensità del viraggio e quindi del riso può variare, e ne consegue un principio fondamentale (che smonta in parte le pretese di Attardo e Raskin):

non esiste alcuna possibilità di tradurre lo schema di cui sopra in una formula operativa dal valore assoluto, perché l’interpretazione dei messaggi Md/Mm e Ms è essenzialmente variabile in funzione di istanze proprie del ricevente. (146)

Come già accennato a proposito del mittente, anche il destinatario deve condividere l’assiologia su cui si verifica il viraggio verso la degradazione e la volontà di non riconoscere all’oggetto di riso una posizione di rango superiore alla sua. Torna così il concetto necessario di “comunità di riedenti”, dal momento che “All’interno di un contesto culturale omogeneo queste differenze si attenuano, ma non scompaiono completamente, perché, al limite, anche le idiosincrasie individuali possono aver gioco nelle difformità di interpretazione nei messaggi Md/Mm e Ms” (147). In termini attardiani il riferimento è alla possibilità che esistano script più o meno condivisi.

Un modello del genere trasmette fedelmente il livello di complessità e relatività intrinseco al fenomeno del riso:

Il meccanismo che genera il riso deriva dunque la sua efficacia da due serie di fattori indipendenti fra loro. Da una parte lo stimolo r, il cui principio attivo è lo stimolo chiave Pi (Md/Mm) → Ms, che già di per se stesso è

suscettibile di presentarsi secondo una scala di diversa decifrabilità […]. Dall’altra abbiamo le capacità ermeneutiche del soggetto percipiente lo stimolo r riguardo allo stimolo chiave presente in esso. (147-48)

Ceccarelli poi sottopone il suo modello teorico a una prova empirica, verificandone la validità su una serie di esempi – la vasta rassegna del risibile proposta da James Sully nel suo saggio sul riso (1902). Intende così mostrare come tutte queste svariate occorrenze possano essere riportate al modello di pretesa illegittima.

Il riso di fronte all’insolito, al deforme fisico o morale, alle infrazioni all’ordine e alle regole tutte ci riporta al rapporto con l’estraneo. L’estraneo, nel mondo animale, è sempre una minaccia e la paura che se ne prova (e il meccanismo di difesa/attacco) è funzione di un programma genetico (è un MSI). In questo senso l’evento insolito è percepito come messaggio di minaccia; ma

se di per se stesso l’evento insolito non è tale da confermare il suo carattere minaccioso in un modo indipendente, se in fondo si presenta come innocua eccezione in un contesto conosciuto, esso si rivela subito privo di mordente, pretenzioso, fasullo nella sua minaccia: ecco del tutto chiaro il viraggio Pi (Md/Mm) → Ms. (157)

Con questo modello si può spiegare nei termini del linguaggio gerarchico anche il concetto di impegno emotivo inibitore del riso: una deformità sentita con compassione è infatti un messaggio di sottomissione, di cui non si potrà ridere.

Nel proseguire la rassegna di Sully altri tratti risultano interessanti perché rimandano a concetti su cui abbiamo già insistito, come ad esempio il rapporto con l’indecente e l’osceno. Afferma Ceccarelli che “i codici di belle maniere e la proprietà di linguaggio sono appannaggi dell’élite” (162). I modi di parlare alto o basso, appropriato o volgare non dipendono da qualità intrinseche del linguaggio ma da una classificazione operata da chi lo regola. Ne consegue che per creare uno stimolo comico attraverso l’uso dell’indecente o del volgare è necessario (e sufficiente) che si imponga un’ideologia che vede come proibite tali forme espressive.

Anche la sessualità diviene risibile “in funzione del modo in cui viene presentata, come qualsiasi altra attività umana.” (167). Esistono ovunque lessici strutturati gerarchicamente, una vera e propria gerarchia di linguaggio che può essere sentita come illegittimamente oppressiva. Vedremo nel prossimo capitolo come in questo senso è possibile avvicinare questo modello a quello di Freud e Orlando basato su repressione e ritorno del represso.

Una categoria importante a cui la teoria è applicata, e da cui si ricavano spunti interessanti è quella dell’assurdo. Nel comico dell’assurdo a subire il viraggio è l’ordine razionale, che si pone con pretese di valore sentite come illegittime da chi produce il comico (e dal destinatario, se ride). A volte a fare le spese di questo comico è lo stesso destinatario con le sue aspettative (logiche) che vengono tradite e

deluse; egli si pone come detentore dell’ordine razionale che viene destabilizzato e rivelato come pretenzioso (vedremo come Rushdie userà questa modalità con fini anti-colonialisti).

Ceccarelli ha difficoltà a prendere in considerazione invece i giochi di parole, i calembours che paiono gratuiti – quei motti che Freud definisce come innocui. Ipotizza che anche in questo caso l’oggetto del riso sia il destinatario, non avvedendosi, come fa invece Orlando, che una tendenza è comunque presente: come per la categoria dell’assurdo, di cui peraltro fanno parte, a fare le spese del riso è la logica razionale e il modo “adulto” di trattare il linguaggio (il che non implica che in effetti anche il destinatario non possa rivelarsi un bersaglio, quando non in grado di accettare/risolvere l’assurdo proposto).