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3. La “General Theory of Verbal Humor” di Salvatore Attardo

3.7. Tecniche comiche sofisticate

3.7.2. Il comico di registro

Un’innovazione importante della GTVH, la distinzione che opera tra punch e jab lines, permette di affrontare più sistematicamente alcune tecniche comiche, tipiche dei testi di più ampie dimensioni, che si distinguono proprio per non essere basate sulla punch line ma sull’occorrenza di piccole jab line lungo tutto il testo o parti di esso: il comico di registro lavora esattamente in questo modo.

Come già ripetuto, le punch line (cfr. anche Attardo 1994 e Raskin 1985a) funzionano attraverso dei “disjunctors”, degli “script switch triggers”, elementi lessicali che causano il passaggio dal primo al secondo script. Mentre le barzellette sfruttano un disgiuntore unico e discreto, facilmente identificabile, altre forme di comico possono utilizzare dei “diffuse disjunctors”: “any type of disjunctor which does not occur alone in a humorous (micro)narrative, insofar as it is unable to trigger the script-switch by its mere presence.” (Attardo 2001:103).

A causare il passaggio da un tipo di lettura all’altro in questi casi non è una singola parola (nel caso della barzelletta della moglie del dottore citata in Raskin, ad esempio, si tratta del sintagma “come in”), ma piuttosto la formulazione di una o più frasi (se non di tutto il testo).

Nota inoltre Attardo, a proposito della terminologia adottata, che il “diffuse disjunctors” (o “dissipated trigger”) più che come disgiuntore funziona come connettore: più che innescare il passaggio

da una interpretazione all’altra è l’elemento testuale che rende la compresenza (sovrapposizione, overlap) dei due script possibile. Ma d’altronde è ciò che accade anche a livello di singolo lessema nei giochi di parole, quando viene sfruttato un elemento ambiguo, polisemico: prima che si applichi la disgiunzione le due diverse letture convivono insieme, ed è la parola equivoca a connetterle. Come vedremo, è grazie soprattutto a questo momentaneo sfarfallio che il comico prende vita.

Proprio per sottolineare questa differenza tra “diffuse disjunctor” e punch line Attardo propone di trattarlo come un caso di jab line (anche il posizionamento, non in contesto di prominenza ma in maniera diffusa all’interno del testo, suggerisce tale trattamento).

Nel comico di registro e nell’ironia l’incompatibilità/inappropriatezza tra contesto e certi elementi dell’espressione sono ciò che segnalano l’intenzione comica o ironica; questi elementi operano come “diffuse disjunctors”.

Si prenda il comico di registro, a cui accenna già Bally all’inzio del secolo precedente ma a proposito del quale non sono mai state proposte vere e proprie teorie. Il registro è una varietà linguistica che viene a definirsi mediante il soggetto del testo, la situazione sociale dei parlanti e le funzioni del discorso nello scambio; può essere visto come una serie di connessioni tra tratti linguistici (elementi lessicali e collocazioni, cioè la probabilità che due elementi possono occorrere insieme) e connotazioni (di vario tipo, ma soprattutto sull’asse formale/informale (Attardo 2001:104 sgg; cfr. anche Attardo 1994, cap. 7).

In precedenza Attardo (1994) aveva criticato certe spiegazioni troppo impressionistiche del fenomeno, per cui l’origine del comico andava cercata nella “confusione” tra due registri: si seleziona un lessema o un sintagma da un livello di stile differente da quello che il contesto prevedrebbe. Non sempre tale accostamento può dare esisti comici. Quel che accade è che vengono sollevate aspettative su un particolare livello di stile o un certo campo semantico solo per poi farle crollare.

Attardo (1994) distingueva anche tra due fenomeni differenti raggruppati sotto lo stesso termine: “register clash in absentia and in praesentia” (2001:105): nel primo i due registri che cozzano sono uno presente e l’altro supposto; nel secondo sono entrambi presenti. In realtà la distinzione ha ben poca importanza (e chiarezza), dal momento che il successo comunque dipende dal lettore che dovrà obbligatoriamente crearsi mentalmente delle aspettative di registro in base al testo (pena la non comprensione della comicità).

Attardo (2001) analizza una serie di brani tratti da Peacock in cui appare chiaro come, applicando il registro tipico di uno stile, di un campo o soggetto, a un campo di differente livello, si crea una discrepanza tra registro e argomento che segnala l’opposizione di script. La SO è proprio tra soggetto, materia e registro: alto/basso vs. basso/alto. In questo caso è ben confermata l’ipotesi della GTVH, per cui oltre alla compresenza deve essere data anche opposizione (alto e basso). Attardo sottolinea inoltre

che l’opposizione in questi casi è tra registri, non tra script lessicali: così si amplia la SSTH, come già si affermava in Attardo 1994 (cap. 7).

Come al solito non ci si avvede del fatto che tale opposizione è resa possibile solo presupponendo un sistema di valori gerarchico a cui obbedire. Non importa se le norme di registro sono autoimposte dallo stesso autore, quel che conta è che un’istanza di potere (repressivo) le promulga ed è trasgredendo a queste imposizioni che può darsi il comico. Torneremo sull’argomento nei capitoli successivi.

L’attivazione delle aspettative sul registro funziona proprio come l’attivazione di uno script, portandosi dietro tutto il bagaglio di correlazioni: ad esempio un registro aulico si attiva perché le scelte lessicali sono tutte collegate, attraverso legami a lunga distanza, a script come “formale” o “alto”, etc. Le varie singole attivazioni agiscono da “dissipated trigger”. Ma se l’argomento del brano è di natura bassa, volgare, gli script della conoscenza generale e quelli situazionali attivati contemporaneamente riveleranno come il modo naturale, non marcato, di espressione dell’argomento trattato sia attraverso un registro “familiare”, basso. C’è pertanto violazione di molte delle massime di Grice: quantità, modalità e spesso anche qualità.

Attardo (2001) sintetizza: “these cases of “register” humor are mostly created by authorial intrusions and/or comments, since they involve an evaluation and a skilfully controlled contrast between the expected style and the stylistic choice made in the text.” (109).

Un punto da chiarire rimane quanto il contenuto e non solo l’espressione influenzino la nostra percezione del comico: un esempio da Peacock, in cui il lancio di oggetti contro la servitù da parte del loro datore di lavoro è descritto con termini altisonanti, viene dichiarato comico esclusivamente per il modo in cui viene espresso. Ma l’azione, per quanto non politicamente corretta, non potrebbe forze avere in sé un po’ di forza comica? E d’altronde, subito sotto, notando come in Peacock sia spesso presente l’iperdeterminazione comica, Attardo parla di slapstick, che fa uso proprio di situazioni del genere, per scatenare le risate. Di nuovo, l’accento è sull’incongruo: “an opposition between a register’s associations and the subject matter of the text may trigger a humorous incongruity, as well as the compresence of incongruous registers in the same stretch of text.” (110).

3.7.3. L’ironia

Altra forma di “comicità diffusa” è l’ironia (su cui cfr. anche Mizzau 1984), oggetto molto delicato da trattare e per cui Attardo trova opportuno appoggiarsi a Grice. Quel che Attardo (2001) mette subito in chiaro è che si arriva al significato ironico di un testo inferenzialmente, indipendentemente dal significato letterale dell’espressione (solitamente non ci sono correlati semantici, a differenza di ogni

altro genere di comico): “irony is a completely pragmatic phenomenon, with no semantic correlates, it follows that it is entirely dependent on context” (111).

Con “context” si intende sia il contesto conversazionale che la comunicazione non verbale del parlante. L’intenzione ironica va inferita, perché non è detta nel testo. Il contesto può offrire degli indizi che possono suggerire che quel che pensa davvero il parlante sia altro da quel che dice, altro dal contenuto letterale dell’espressione. I passaggi sono due: si deve determinare che una parte del testo è ironica – e in questo caso il destinatario può anche fermarsi prima, solo percependo l’inappropriatezza della frase senza concludere che sia ironica; e successivamente si cerca di determinare il significato dell’ironia – interpretare il valore dell’ironia.

Che l’ironia sia un fenomeno pragmatico è ancora più chiaro quando per ricostruire il significato inteso dall’autore non ci sono indizi testuali, ma soltanto certe presupposizioni condivise: il destinatario sa che il mittente non può intendere quel che dice, e il mittente sa che il destinatario sa.

A mio parere un meccanismo simile è riscontrabile, seppur in maniera meno tassativa, in ogni forma di comicità: il comico in generale è un fenomeno pragmatico, dipende sempre dalle presupposizioni condivise. Per poter cogliere il comico dobbiamo sapere – o perlomeno credere – che il mittente voglia farci ridere: si veda quanto detto sopra e nel capitolo precedente a proposito del passaggio alla modalità comunicativa non-bona-fide.

Nel percorso inferenziale del destinatario per ricostruire quel che intende dire il mittente, il primo è guidato da quella che Attardo postula come un’estensione del principio di cooperazione (CP) di Grice: quando il CP viene violato si tenta immediatamente di restaurarlo nella sua funzionalità, e ciò avviene tramite un principio di minor interferenza, “principle of least disruption” (LDP, Attardo 2001:112). Il meccanismo è lo stesso per cui Raskin (1985a:104 e cfr. sez. 2.4.1) notava come la modalità comica di interpretazione di un messaggio è quella immediatamente successiva alla modalità bona fide.

Quando si incontra un’espressione ironica, il CP di Grice viene disatteso – il mittente nota la violazione di almeno una massima (spesso quella della modalità: “evita l’ambiguità, l’oscurità”) – ma torna immediatamente operativo non appena si è rigettato il significato letterale.

Il LDP agisce come una super-massima che stabilisce: “minimizza la tua violazione del CP”; ciò secondo Attardo può essere ottenuto: limitando la violazione del CP all’unità conversazionale più piccola possibile (una sola frase); legando la parte inappropriata al resto del discorso; localizzando la violazione alla distanza minima possibile rispetto al punto in cui viene spiegata; mentendo nel modo in cui l’audience si aspetta che l’oratore possa mentire.

Il LDP permette che quando ci troviamo di fronte a una frase ironica – cioè palesemente in contrasto con il contesto, non rifuggiamo dalla conversazione, ma assumiamo che la violazione del CP abbia un motivo e significhi qualcosa: in pratica serve per facilitare la comunicazione anche quando una violazione è presente o necessaria.

Ciò che differenzia l’ironia dal semplice scherzo, dal mentire per fare uno scherzo, in cui una volta capito che si sta scherzando tutto si ripristina, è il fatto che con l’ironia è necessario un passo successivo: capire cosa si intenda davvero. E forse i casi migliori di ironia sono proprio quelli in cui non è possibile risalire definitivamente a un significato univoco, in cui non ci raggiunge mai la certezza assoluta che il mittente stia davvero solo scherzando (cfr. Orlando 1987 e Brugnolo 1994).

La violazione del CP, perciò, rimane nonostante si sia capito che c’è ironia, e va in qualche modo giustificata. Quindi, una volta che il destinatario ha percepito l’intento del mittente, assume che la massima della rilevanza tiene ancora – il discorso è in qualche modo pertinente, anche se va capito come – e che questa rilevanza va cercata dalle parti del significato antifrastico – verso il contrario di quel che è stato detto, sulla base dell’asse dei giudizi di valore dell’autore del messaggio. Riconoscimento dell’ironia ed interpretazione della stessa non sono la stessa cosa, le due fasi sono distinte.

Ma la violazione del principio di cooperazione, nota Attardo (2001) non avviene per una delle quattro massime come potrebbe sembrare in un primo momento, quanto per inappropriatezza. Nell’ironia non si ha un vero e proprio mentire (violazione della massima della qualità), perché il tono o altri segnali (come il contesto) esplicitano che uno sta deliberatamente e cospicuamente violando le regole e lo segnala al destinatario: a differenza che per una menzogna, si vuole essere smascherati.

In cosa consiste l’inappropriatezza, quindi? Nella violazione delle norme che determinano l’ancoraggio deittico del discorso alla realtà. E se pur è vero che ogni frase che violi una massima risulta inappropriata, talvolta è possibile essere inappropriati senza violare altre massime (e quindi Grice non riconoscerebbe come tale l’ironia di questo tipo).

Attardo postula quindi un’ulteriore massima, quella dell’appropriatezza: sii appropriato al contesto (diversa da “sii rilevante”); le presupposizioni di una frase devono essere identiche o compatibili con quelle del contesto in cui questa è espressa.

Ne consegue che possiamo definire ironica una frase che pur mantenendo rilevanza (perlomeno alla seconda fase dell’elaborazione) viola esplicitamente o implicitamente le condizioni di appropriatezza contestuale, o deitticamente o nei confronti di quel che i partecipanti sanno delle opinioni o sistema di valori del parlante.

Quindi una frase è ironica quando è inappropriata al contesto (1) ma allo stesso tempo rilevante (2) e ed è costruita in modo da palesare intenzionalmente e consapevolmente l’inappropriatezza (3), dal momento che il mittente desidera che l’audience afferri i punti (1-3). Anche se può darsi il caso in cui il mittente non sia intenzionalmente ironico ma il destinatario tratti la frase come ironica pur sapendo che non è stata espressa in quel senso.

Il fatto che il mittente palesi l’inappropriatezza attraverso certi segnali permette l’occorrenza dell’ironia di fronte a due audience diverse, una delle quali non capisce ed è il bersaglio dell’ironia, mentre l’altra afferra, apprezza e ride.

L’ironia è rischiosa, può non essere colta: pertanto si usano degli indizi che indicano le intenzioni del mittente, degli “irony markers”, segnalatori di ironia – anche se è possibile un’ironia totalmente non segnalata, “deadpan delivery” (Attardo 2001:118).

I segnali non sono ciò che fa l’ironia: la frase potrebbe essere ironica anche senza di essi. Dobbiamo distinguere tra “irony markers” e “irony factors”: i primi possono essere rimossi e l’ironia rimane (magari lasciandone destabilizzato il riconoscimento), i secondi non possono essere rimossi pena la perdita dell’ironia. La confusione è possibile per il fatto che a volte fattori umoristici come esagerazione o understatement, o altre forme di inappropriatezza co(n)testuale, hanno come effetto secondario di allertare il destinatario della presenza dell’ironia.

Attardo poi offre una lista di “irony markers”: intonazione, mezzi fonologici come la dizione rallentata, mezzi morfologici (espressioni come “per così dire”), mezzi tipografici (trascrizione dei mezzi del linguaggio parlato), mezzi cinetici (strizzata d’occhio), cotesto (co-occorrenza con elementi incompatibili nel testo), contesto.

Ma perché si usa l’ironia? Ci possono essere motivazioni sociali, come l’affiliazione a un gruppo (scopo inclusivo ed escludente), la sofisticatezza (l’ironia in occidente denota superiorità e anche capacità di controllo sulle proprie emozioni) e la possibilità di esprimere giudizi (anche Grice nota che l’ironia è spesso connessa con l’espressione di sentimenti, attitudini, valutazioni): essa offre infatti una facile “face-saving strategy” e si lega alla creanza.

Vedremo come soprattutto in Shame Rushdie (o meglio il narratore del romanzo) sfrutta una sorta di “ironia satirica” per smascherare l’ipocrisia dei mezzi di comunicazioni asserviti al regime pakistano senza apparentemente pronunciare critiche dirette.

Poi ci sono le motivazioni retoriche: l’ironia è un potente mezzo retorico perché presuppone che la verità della presupposizione sia evidente automaticamente – funzione che mi pare possa essere associata ad ogni tipo di comicità, nonostante l’ironia la utilizzi con ancora maggiore forza. Per comprendere l’ironia è necessario condividere delle presupposizioni che devono essere prese per vere. Inoltre rimane impressa nella memoria, è altamente informativa ed inoltre è ritrattabile – consente di dire qualcosa e il suo contrario allo stesso tempo, e quindi di sfuggire le sanzioni, permette un attitudine non vincolante. Anche in questo è simile allo humour in toto (cfr. Attardo1993 e 1994).

È importante però non sottovalutare le differenze tra ironia e humour: ad esempio, nonostante condividano simili meccanismi, nel violare i requisiti di informatività operano su percorsi opposti: lo humour va da un significato non marcato a uno marcato, l’ironia fa il contrario. Entrambi hanno comunque una negazione (un’opposizione) come costituente basilare (cfr. anche Mizzau 1984).

Con il comico di registro l’ironia condivide il fatto di non avere un chiaro, unico disgiuntore localizzato nel testo. Attardo nota inoltre che ironia, comico di registro e molte altre figure retoriche (come understatement ed esagerazione), sono più simili di quel che si pensi, in quanto tutti legati all’inappropriatezza. Tanto che si corre il rischio di applicare la formula inppropriatezza/rilevanza ad ogni forma di discorso figurativo. È proprio quello che cercheremo di dimostrare nei capitoli successivi: il meccanismo in atto in ogni forma di linguaggio figurato, infatti, è lo stesso; ne consegue che spesso il discrimine tra comicità e altre forme di linguaggio “artistico” è molto labile e in alcuni casi quasi totalmente soggettivo. Potremmo addirittura parlare di un continuum, fatto di gradazioni e intenzioni pragmatiche, che lega i due estremi, in cui un territorio di nessuno permette la presenza di figure retoriche che sono in realtà figure comiche e viceversa.

Inoltre non va sottovalutato il fatto che l’inappropriatezza implica la violazione di norme stabilite: è proprio da questa trasgressione che si produce il piacere del comico.