• Non ci sono risultati.

3. La “General Theory of Verbal Humor” di Salvatore Attardo

3.4. Dalla “Semantic Script Theory of Humor” alla “General Theory of Verbal Humor” e oltre

3.4.3. Ulteriori strumenti per l’analisi: le “lines” e i loro rapport

La “General Theory of Verbal Humor” viene rielaborata più volte nel corso degli anni; in Humorous Texts: A Semantic and Pragmatic Analysis, il testo che più sistematicamente tratta la teoria, Attardo ne propone un ulteriore allargamento, che consente di applicarla a qualsiasi tipo di testo con effetto umoristico, sia narrativo o meno:

The theory that I am proposing […] is grounded in the GTVH. It is, in fact, an extension of the GTVH which broadens its coverage, while not altering most of the tenets of the theory. Specifically, the GTVH is broadened to include (ideally) all humorous texts, of any length. Specifically, it is not limited to narrative texts, but also to dramatic and conversational texts, in which there is no narrator. (2001:28)

Dal punto di vista dello humour, infatti, non ci sono differenze significative tra testi narrativi e non narrativi. Ripartire dalle stesse basi fa sì che il problema della opposizione degli script rimanga non pienamente risolto; le perplessità suscitate dalle sopra citate spiegazioni permangono.

Veniamo ai punti chiave che permettono questo ampliamento di prospettive e su cui successivamente torneremo per valutarne la validità nella pratica.

I testi umoristici sono di due tipi: testi strutturalmente simili alle barzellette (finiscono con una punch line, una battuta finale) e testi che non lo sono. I primi sono analizzabili direttamente con la GTVH come fossero vere e proprie barzellette, seppur espanse. I secondi vengono scomposti in due elementi: una narrazione non umoristica e una componente umoristica, che ha luogo durante la narrazione.

La conclusione comica di un testo è stata definita tradizionalmente “punch line” (battuta finale). Le punch lines sono state oggetto di molta attenzione critica, soprattutto dal punto di vista semantico (cfr. Attardo 1994). Quel che più interessa qui è però la loro funzione testuale: in questo senso esse agiscono da elemento di svolta destabilizzante: si veda a questo proposito il modello della disgiunzione dell’isotopia che Attardo (1994) costruisce sulle teorizzazioni di Greimas (1968), in cui la battuta finale

agisce da disgiuntore, costringendo il lettore a passare dallo script che era stato stabilito, dall’isotopia fissata, ad un secondo script. Il destinatario è obbligato – pena il fallimento dell’interpretazione – a tornare sui propri passi e a reinterpretare il testo, producendo una nuova e incompatibile (opposta localmente) lettura di esso; la punch line non può essere integrata nella (prima) narrazione che distrugge, perché il secondo script non è congruo con il primo.

Per l’occorrenza di un elemento comico in un’altra posizione del testo (“these non-final punch lines”, Attardo 2001:29) viene introdotta la definizione di “jab lines”, “humorous elements fully integrated in the narrative in which they appear […] i.e., they do not disrupt the flow of the narrative” (82). Le jab lines possono essere elementi narrativi, indispensabili allo sviluppo del plot, come anche no: si prenda il caso del comico di registro, in cui gli elementi linguistici “alti” applicati a un contenuto triviale funzionano come jab lines (cfr. sotto).

“Line” è usato come iperonimo di entrambe le categorie. I due tipi di lines non differiscono dal punto di vista semantico, ma solo dal punto di vista topografico; per il resto sono analizzabili attraverso la GTVH: “The study of humorous texts reduces then to the location of all lines (jab and punch) along the text vector (i.e., its linear presentation).” (29).

Le lines (jab e punch) che si incontrano lungo il vettore del testo possono essere correlate tra loro su base semantica o formale. Uno “strand” è una serie di almeno tre lines collegate, “a (non-necessarily contiguous) sequence of (punch or jab) lines, formally or thematically linked” (83). In un testo possono esserci più strand, che a loro volta possono essere correlati in serie tra loro formando degli “stacks” (29; cfr. anche Wilson 1997).

Gli strands possono essere stabiliti nel medesimo testo o intertestualmente (tra diversi testi). Tre o più occorrenze sono necessarie perché si possa parlare di uno strand: tre è il numero minimo per l’instaurarsi di una serie.

All’interno di uno strand è talvolta possibile individuare dei “substrands”, serie di lines che costituiscono una serie attraverso alcuni tratti non comuni a tutte le lines appartenenti allo strand superiore. Possiamo distinguere inoltre tra strand centrali e periferici: uno strand è centrale quando le lines di appartenenza tendono ad occorrere significativamente del testo (statisticamente possiamo stimare che queste debbano essere circa il 75%); uno strand periferico, invece, occorre solo raramente nel testo: spesso tali casi si presentano con personaggi secondari, che danno adito a certi strands limitati però alla loro presenza nel testo, e quindi si trovano concentrati in piccole parti (Attardo 2001:83).

La possibilità di vedere replicate nel testo battute simili ci porta a esaminare un concetto fondamentale quanto problematico e poco studiato per l’analisi del comico: quello della ripetizione. Nel campo delle barzellette la ripetizione (con variatio) viene sfruttata spesso attraverso l’uso di formule (cfr. Norrick 1993a), nonostante sia chiaro che la maggiore controindicazione che essa comporta è la diminuzione dell’effetto comico (cfr. Attardo 1994: 289-90) data la stretta dipendenza delle barzellette

dagli aspetti impliciti del testo e dall’effetto sorpresa. Molto più funzionale risulta invece nei testi di lunghe dimensioni, come ad esempio nelle commedie, di cui secondo Charney (1978:82 e sgg.) è forse il meccanismo più importante (con buona pace dei teorici dell’effetto sorpresa): si pensi alle frasi tormentone, alla ripetizione di motifs o di immagini…

Spesso viene sfruttata con l’introduzione di piccole variazioni, che apportano novità e soprattutto effetto di virtuosismo. La semplice ripetizione di un elemento (sia esso un tratto semantico, un’immagine, uno script culturale ampio…) può dar corpo a uno strand – sempre che tale elemento abbia preso parte a una line comica (jab o più raramente punch).

Vedremo che la ripetizione, comica o meno, è un elemento fondamentale nei romanzi di Rushdie, in cui diventa addirittura principio strutturante. I Leitmotive, le isotopie (cfr. Linguanti 2003a) che percorrono il testo, possono venire declinate in senso comico diventando strand; questo ci aiuta anche a capire attraverso quali mezzi si produce la “conversione” umoristica (cfr. 9.6.1).

Come già visto sopra, gruppi di strands correlati tematicamente o formalmente danno vita a stacks, che possono essere visti anche come “strands of strands occurring in different macronarratives” (Attardo 2001:86), dove con macro-narrative si intende un corpus di opere legate da varie possibili cause (medesimo autore, stesse tematiche, vicinanza cronologica…) e quindi lette come un unico testo a un livello superiore: un esempio non letterario possono essere i vari episodi che compongono l’intera serie (o le intere serie) di una sitcom: le varie battute dello stesso genere che capitano nelle diverse puntate formano uno stack.

Le battute intertestuali (intertextual jokes) complicano la faccenda: si fondano su allusioni a testi altri, diversi da quello in esame, e possono dar vita a strands composti di una sola occorrenza: le altre occorrenze necessarie sono presenti “virtualmente” grazie all’allusione intertestuale. Va notato che semanticamente le battute intertestuali non differiscono da quelle non intertestuali, il meccanismo è lo stesso; inoltre, nonostante sull’intertestualità si fondino formule della commedia come l’allusione, la parodia, il travesty, essa non risulta comica di per sé. Vedremo quanto nei romanzi di Rushdie sia importante l’intertestualità e come essa possa determinare effetti comici come no.

Ci sono due tendenze principali nella disposizione delle lines correlate (solitamente jab lines): esse possono trovarsi concentrate in un’area ristretta, e si ha un “comb”, pettine; oppure due (o due gruppi) di lines possono apparire a distanza anche considerevole, e chiamiamo questa configurazione “bridge”, ponte. Tali configurazioni possono essere ripetute in un testo: a volte serie di battute occorrono vicine le une alle altre, e ciò rinforza l’effetto comico con la ripetizione; altre volte lines ovviamente correlate occorrono a grandi distanze, dove non possono essere richiamate attraverso la memoria a breve termine. Questa distinzione terminologica vuole per l’appunto mettere in luce la differenza tra le due tipologie.

Un comb è un tipo di strand che presenta l’occorrenza di più di tre lines all’interno di un breve lasso di spazio. Il concetto di “breve spazio” è empirico e relativo, dipende dalla lunghezza complessiva del testo; possiamo fare una stima e affermare che la distanza deve essere minore del 10% della lunghezza totale del testo. Per questa loro natura i combs tendono a creare aree di testo in cui c’è alta concentrazione di comicità.

I bridges sono tipi di strands in cui due gruppi di lines (solitamente jab lines) occorrono a considerevole distanza l’uno dall’altro. Possono presentarsi anche degli “hapax-bridge”, cioè ponti in cui le due battute non sono correlate con altre nel testo (non fanno parte di altri strands): l’hapax-bridge viola la regola del tre, e questo è possibile probabilmente grazie al loro alto livello di salienza nel testo. I ponti si conformano alla configurazione a “vasca da bagno”, che verrà esaminata meglio tra poco (cfr. anche Attardo 1998), al contrario dei “pettini”.

In Rushdie troveremo svariati esempi di “ponti” (ricordiamo che l’elemento strutturante dei romanzi è proprio quello dei motifs che tornato più volte nel testo); spesso l’elemento della gratificazione per il riconoscimento della ripetizione con variazione interviene a offrire un surplus di piacere (si prende il caso dell’orecchio del maulvi, 8.1.2). Casi di configurazione a pettine sono parimenti riscontrabili: spesso ci si imbatte in episodi carichi di diversi elementi comici raccolti in uno spazio testuale ristretto (cfr. gli episodi del professor Zagallo o della ghirlanda di scarpe, sez. 7.4 e 8.1.1).