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4. Alternative teoriche: il ritorno del rimosso comico

4.4. D’Angeli e Paduano: i paradossi del bersaglio comico

4.4.3. Il riso politico e (anti)sociale

Quando il vizio è talmente diffuso da farsi norma nel corpo sociale che lo ospita, l’aggressione comica diventa una battaglia politica che vuol sovvertire la società corrotta. Torrance (1978) dedica un saggio proprio a questa forma di “eroe-comico” che combatte per l’emancipazione, presente da sempre in letteratura.

Il riso politico-sociale rivela un carattere ambiguo: da un lato presenta una faccia istituzionale e costruttiva (si nutre della volontà di fondare una società più giusta); dall’altro presenta insieme un carattere ribelle, contro lo status quo. Inoltre raramente troviamo nel riso contro il regime una piena convinzione: spesso si ride anche della rivoluzione, il riso non è così puro.

Talvolta per promuovere la ribellione si mettono in ridicolo le società che applicano gli stessi criteri che ordinano la legalità al campo dell’illegalità, ci si scaglia contro l’ipocrisia del sistema corrotto; troveremo molti esempi del genere analizzando la satira di Rushdie (e vedremo che proprio in tali situazioni è ben percepibile la possibilità di integrare l’ottica degli script e quella del viraggio verso il basso). D’Angeli e Paduano tra l’altro sottolineano come nel più grande esempio di opera anti-ipocrisia, Tartufo, si ride poco del peccatore: l’astio e l’aggressione non devono essere mediati dal riso; in

Midnight’s Children troveremo una situazione analoga, che va però a detrimento della qualità dell’opera, quando la critica contro Indira Gandhi diventa diretta e si spoglia di ogni orpello arguto.

A volte può darsi connivenza: quando la violazione di norme ci ammalia in qualche modo perché ne invidiamo il potere, la capacità e il coraggio. Ma di solito in situazioni del genere non può esserci movimento affettivo verso il bersaglio, troppo colpevole. Ciò non impedisce che una formazione di compromesso interessi comunque l’assalitore: se in questo frangente si usa il comico, e non la violenza, è per paura di una risposta aggressiva distruttiva. Ma evitando l’esplicita aggressione verbale e preferendo sperimentare su se stesso una condizione infantile l’aggressore vive contemporaneamente due condizioni: è inerme e impossibilitato a combattere contro un nemico troppo grande mentre allo stesso tempo può nutrire un senso di onnipotenza.

Il riso in questo caso investe sia il soggetto che l’oggetto dell’aggressione. Si assiste infatti alla diminuzione della forza combattiva, come nota anche Billig: con il comico non si fanno le rivoluzioni, anzi, spesso le si evitano.

D’altronde effettive ricadute sul mondo reale sono rare. Si pensi al comico che si scaglia contro la gerarchia sociale di classe: “l’ironia nei confronti di queste ineguaglianze non assume carattere né rivoluzionario né riformistico, non esprime vera idea del cambiamento, si limita a sottolineare con rassegnazione pungente la discrepanza tra immagine ideologica e realtà” (93). Oppure alla polemica intellettuale contro strutture consolidate di pensiero: queste rimangono immutate, tutt’al più se ne può punire un servile propugnatore senza però disturbare il sistema che procede come nulla fosse.

La serie di esempi che D’Angeli e Paduano offrono di riso contro certe istituzioni sociali illustra bene come non siano dati limiti per la scelta del bersaglio: si può schernire qualsiasi ordinamento di non importa che segno o impostazione ideologica. Come vedremo, è il punto di vista dell’autore (con conseguenti rischi per quel che riguarda la reazione del destinatario) che stabilisce cosa sia criticabile e passibile di trattamento comico.

Il rivolgimento può essere totale: la pretesa di istituire un ordine perfetto è comunque comica perché destinata a fallire, e il riso può rivoltarsi contro il moralizzatore.

Un caso particolare del riso politico-sociale è quello che investe la famiglia. La famiglia è un organismo di mezzo tra la società e il singolo; quando gli ideali che dovrebbero esservi sottesi vengono traditi, si può dare adito al comico. L’ipocrisia familiare può però generare il riso più amaro e triste che si possa incontrare. Ciò ci riporta alle inibizioni affettive ma anche, da un punto di vista più formalistico, al peso che hanno script troppo personali, come visto in Attardo.

Un altro caso rivelatore della versatilità del comico è quando la convenzione sociale contro cui si scaglia riguarda il sesso: si possono deridere le ipocrisie che vi si costruiscono attorno, i mezzi in cui si cerca di mascherare e negare le pulsioni, ma si può anche deridere l’impulso stesso, ad esempio quando questo diventa un dovere o una mania.

Vanno in questo senso anche le posizioni snobistiche contro la passione: in questi casi l’approvazione, l’identificazione è ancor maggiormente rischiosa da ottenere, dipende dall’ideologia del lettore e dalla sua voglia di accettare il punto di vista, requisito che come vedremo è fondamentale per ogni forma di humour.

In generale è il luogo comune che viene demistificato. In questo senso possiamo dire che è sempre una minoranza che si industria per produrre il comico, specificando però che è sufficiente e necessario che si senta tale, senza doverlo essere realmente.

Ma è possibile applicare questa formulazione anche su piani differenti o meglio più generali, per esempio assumendo che la corruzione riguardi l’intero sistema razionale? Non si tratta di battaglia politica quando il personaggio o l’aggressore si scaglia contro la (s)ragione come vizio fatto norma di un’intera società? Dal suo punto di vista, infatti, questa ragione – o un suo uso distorto – può equivalere a un vizio.

D’altronde ci si può scagliare contro un sistema anche non corrotto, semplicemente perché si tratta di un sistema, che come tale imbriglia i desideri umani (il discorso potrebbe valere anche per la ragione in toto). In questo caso ci troviamo agli antipodi del riso come correttore del vizio: come là esso rappresentava la coscienza adulta, qua sta per il suo opposto. Si tratta di un riso prettamente infantile, dissacratore della virtù (quello che Freud vede come miraggio perduto).

Anche in questo caso è riscontrabile un compromesso di fondo: il riso serve proprio a rendere più accettabile la rivolta antisociale in un contesto sociale. Il riso è sempre eversivo, ma anche sempre una mediazione, un modo per evitare azioni peggiori. Inoltre il bambino ha bisogno dell’ordine aggredito per poter farsi devianza. Questa rivoluzione dura il tempo di un minuto, è quel carnevale che funziona come valvola di sfogo, per proteggere in realtà il regolare status quo che si ripristina e dura la restante durata dell’anno.