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I capitanei e il Barbarossa: la divisione tra città e territorio (1155-1185)

3.1 I capitanei cittadini: la fedeltà alla città

3.1.5 I capitanei urbani e la Chiesa cittadina

Per finire questa analisi non ci si può esimere dal presentare la posizione dei capitanei nella Chiesa cittadina, in particolare nell’entourage arcivescovile e nella canonica della Cattedrale. In realtà, tale paragrafo avrebbe dovuto essere collocato in cima all’elenco sia per il peso delle famiglie dell’aristocrazia nelle alte sfere della Chiesa ambrosiana, se non esclusivo almeno maggioritario, sia per la posizione di assoluta contrapposizione, fin dai

54 I da Landriano sono stati più volte citati nei precedenti paragrafi, per esempio furono attivi nella

sconfitta di Erlembaldo insieme ai da Rho e ai Visconti e Tedaldo da Landriano fu uno dei principali protagonisti della congiura del 1135, nella quale intervenne con la carica di arciprete.

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primi tempi, che l’arcivescovo e gli ordinari dimostrarono verso l’imperatore56. In questo

periodo, non solo si alternarono tre arcivescovi, Oberto da Pirovano, Galdino della Sala e Algisio da Pirovano, il cui episcopato fu contrario alle istanze di Federico I, ma questi ebbero il chiaro appoggio della canonica degli ordinari, i cui membri, per la maggior parte, erano capitanei.

Sebbene una lunga tradizione abbia considerato l’arcivescovo Oberto come un uomo favorevole alle istanze imperiali, probabilmente per il giuramento di fedeltà professato alla dieta di Roncaglia nel 1158, oggi si è propensi a evidenziare la sua contrarietà al Barbarossa57. Le motivazioni di questa posizione sono di natura diversa: cittadina,

episcopale e personale. Oberto, come abbiamo già visto, aveva portato avanti una politica di accordo con gli altri soggetti cittadini, in particolare con il consolato, rafforzando la sua posizione nel sistema; gli obiettivi imperiali non solo puntavano alla disgregazione di questo regime, ma anche alla distruzione del concetto identitario che vi era alla base. In quanto successore di Ambrogio, il da Pirovano si era già posto come baluardo delle prerogative della cittadinanza; in risposta al tentativo del Barbarossa di considerare valide solo le concessioni di diritti pubblici avvenute prima di Enrico IV, fatto che avrebbe sottratto ai milanesi tutte le prerogative acquisite durante la fase dell’espansionismo milanese tra gli anni Dieci e Trenta del XII secolo58, egli divenne il maggiore oppositore al sovrano. Infatti,

tutto ciò era considerato parte dell’honor civitatis e la difesa di questi diritti era prerogativa di Oberto in quanto capitaneo e leader cittadino. L’ultimo argomento di contrapposizione era più personale: un parente di Oberto era stato fatto prigioniero durante uno dei vari scontri con le forze imperiali e venne ucciso come rappresaglia durante l’assedio di Crema59.

L’arcivescovo dimostrò la propria opposizione all’imperatore in vari modi: riconobbe la nomina a pontefice di Alessandro III, osteggiando Vittore IV, legato a Federico I, e non partecipando a nessuno dei suoi concili; rimase in città durante l’assedio del 1158 e fu a capo della delegazione milanese che si arrese all’imperatore; aiutò, con i propri uomini, le operazioni di riconquista del dominio territoriale milanese tra il 1158 e il 1160, in

56 Per la posizione della Chiesa di Milano nei confronti dell’imperatore vedi A. AMBROSIONI,

Alessandro III e la Chiesa ambrosiana; EAD., Dagli albori del sec. XII, pp. 223-225; M.P. ALBERZONI., Nel conflitto tra papato e impero: da Galdino della Sala a Guglielmo da Rizolio (1166-1241) in Storia religiosa della Lombardia: Diocesi di Milano, Brescia 1990, vol. I, pp. 227-257.

57 AMBROSIONI, Oberto da Pirovano, pp. 70-83; EAD., Alessandro III e la Chiesa ambrosiana, pp.

410-412.

58 Per le norme approvate durante le diete di Roncaglia del 1154 e del 1158 e per la loro importanza

nella costruzione di un nuovo diritto pubblico di stampo romano vedi i saggi inseriti in Gli inizi del diritto

pubblico. L’età di Federico Barbarossa: legislazione e scienza del diritto, a cura di Dilcher-Quaglioni,

Bologna 2007.

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particolare inviando truppe nel Seprio, dove le estese proprietà dell’arcivescovo, e in particolare i suoi castelli, assicuravano una testa di ponte alla città; al momento della resa definitiva nel 1162 decise di non sottostare al nuovo regime imperiale e fuggì verso Genova, per incontrarsi con papa Alessandro III60. Queste posizioni ebbero delle conseguenze: il 21

giugno 1161, al concilio di Lodi, Vittore IV scomunicò Oberto, insieme ai vescovi di Piacenza e Brescia61. In questa sua politica, Oberto ebbe sempre l’appoggio dell’alto clero

cattedrale; prova evidente di ciò è il già citato riferimento alla battaglia di Carcano, nella quale Oberto fu accompagnato dai più importanti membri del Capitolo. Gli ordinari, inoltre, seguirono in esilio il proprio arcivescovo, preferendo la terra straniera e le gravi conseguenze di questo gesto, per esempio la perdita di alcuni possedimenti del capitolo, al regime imperiale62.

Il successore di Oberto, Galdino della Sala fu il primo attore della riscossa dei milanesi. In quanto arcivescovo di Milano e legato pontificio, egli fu importante per le relazioni tra le città della Lega e il pontefice; inoltre, attuò una politica volta a riaffermare tutti i diritti usurpati della chiesa ambrosiana. In questo compito fu affiancato da un gruppo di ecclesiastici, già attivi all’epoca di Oberto da Pirovano ma coetanei o più giovani di Galdino, i quali avrebbero influito nella Chiesa milanese almeno fino agli inizi del XIII secolo63. La collaborazione con il regime cittadino è testimoniata dalla comune politica

antimperiale: i collaboratori di Galdino, fedeli alla causa cittadina, sostituirono una serie di ecclesiastici che avevano appoggiato una politica favorevole all’imperatore. I tre protagonisti principali di queste operazioni furono Pietro da Bussero, Guiscardo da Arzago e Oberto da Terzago. L’obiettivo era quello di far tornare nell’area d’influenza milanese, i due contadi divenuti autonomi dopo la distruzione di Milano: il Seprio e la Martesana.

Si ritornerà nel prossimo paragrafo sulle motivazioni di queste scelte da parte dell’élite rurale, ora è importante sottolineare come la nomina dei prepositi dei maggiori enti

60 Gesta Federici I imperatori, p. 53: «Obertus archiepiscopus die dominico de ceco, XV. Kal. Aprilis

cum Millone archipresbitero et Galdino archidiacono et Alghisio cimiliarcha et aliis quibusdam recesserant et abierant Genuam, ubi erat apostolicus Alecander».

61 OTTONE MORENA, p. 632: «In ipso etiam concilio fuerunt excommunicati domnus Ubertus

Mediolanensis, archiepiscopus una cum consulibus Mediolani et omnes eorum consiliarii et episcopus Placentinus et episcopus Brixiensis, et Placentie et Brixie consules omnesque ipsorum consiliarii, ac etiam omnes illi, qui interfecerunt Maguntinum archiepiscopum, et qui in eius morte conseserunt, et episcopus Bononiensis et […] depositi fuerunt irrecuperabiliter»

62 La perdita dei possedimenti sulle valli di Blenio, Leventina e Rivieria è testimoniata dalle vicende di

Oberto da Terzago, il quale tra il 1181 e il 1182 dovette recarsi in queste regioni sottoposte alla giurisdizione diretta della Chiesa ambrosiana per assicurarsi la fedeltà e le rendite dei valligiani, che erano stati vicini alle posizioni del Barbarossa per l’alleanza dei domini da Torre con l’imperatore: MAMBRETTI, Oberto da

Terzago, p. 119; K. MEYER, Blenio e Leventina da Barbarossa a Enrico VII: un contributo alla storia del Ticino nel medioevo, Bellinzona 1977, p. 279.

63 Per un approfondimento sull’entourage di Galdino della Sala, delle relazioni interne e dell’interazione

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ecclesiastici delle due regioni avesse l’obiettivo di riaffermare il potere di Milano. Nel Seprio tale azione vide come protagonista l’arciprete di Santa Maria di Velate e il preposito della pieve di Castelseprio, i due maggiori istituti ecclesiastici rispettivamente nell’area settentrionale e in quella meridionale della regione. Poco mesi dopo essere tornato in città, l’arcivescovo Galdino nominò Pietro da Bussero arciprete di S. Maria di Velate, violando un privilegio concesso da Robaldo, che imponeva al presule di scegliere l’arciprete solo tra il clero locale64. Pietro, invece, non solo non era originario del Seprio ma apparteneva agli

ordinari ambrosiani. La decisione straordinaria, come sottolineato dallo stesso Galdino, fu necessaria per l’appoggio che il precedente arciprete, Landolfo, aveva dato alla causa imperiale: non solo aveva accettato lo scisma di Vittore IV ma aveva consegnato il castello di Velate nelle mani dell’esercito imperiale65. Inoltre, il presule non poté affidare a nessun

membro dell’aristocrazia del Seprio tale carica poiché erano stati tutti coinvolti nell’alleanza con l’imperatore ed erano intervenuti nella distruzione di Milano; l’obiettivo era di far tornare S. Maria di Velate sotto l’autorità della città66. Pochi anni dopo, nel 1173, Galdino

nominò Guiscardo da Arsago, membro di una famiglia poco attiva nel periodo precedente alla guerra ma di sicura fedeltà come provato da alcuni documenti, preposito della pieve di Castelseprio, probabilmente per porre un altro uomo di fiducia in un territorio che continuò a rimanere ostile al mondo cittadino67. Le politiche dei due ecclesiastici nel Seprio furono

simili, caratterizzate da un consolidamento economico dell’ente ecclesiastico a discapito

64 Pergamene milanesi, IX, n. 81, pp. 130-132; per il privilegio di Robaldo del 1140: Pergamene

milanesi, IX, n. 58, pp. 94-96.

65 Pergamene milanesi, IX, n. 81, pp. 131-132: «Confitemur autem, non ut vestrum privilegium

ullatenus conemur infringere, set propter instantem necessitatem hoc fecisse, considerantes scilicet quod Varisienses clerici de nobilibus Sepriensium sunt oriundi; qui videlicet Seprienses ad destructionem civitatis et ecclesie nostre Teutonicis pro viribus adheserunt. Set et Landulfus ille scismaticus quondam archipresbiter de Sepriensibus originem duxerat, qui predictum montem Beate Marie Teutonicis ad internicionem civitatis et ecclesie nostre tradidit. Ea propter cives Mediolanenses nullatenus passi sunt iamdictum montem in potestatem Sepriensium ad presens pervenire, huius rei gratia predictum fratrem nostrum P(etrum) nobilem civem Mediolanensem, virum prudentem, clericum litteratum et honestum, de latere nostro ibidem archipresbiterum ordinavimus».

66 Per l’opera locale di Pietro da Bussero vedi PELLEGRINI, L’«ordo maior», pp. 61-64.

67 Il primo documento nel quale Guiscardo da Arsago venne citato come preposito di Castelseprio è del

luglio 1173: Pergamene milanesi, XV, n. 19, pp. 116-119; per una breve analisi del suo operato: PELLEGRINI,

L’«ordo maior», pp. 66-68. Le famiglie che presentavano il cognomen de Arsago furono due: la prima rimanda

all’attuale località di Arsago Seprio, nel Varesotto, e sarebbe composta dagli eredi dell’arcivescovo Arnolfo II (998-1018), quasi certamente di origine capitaneale. Non sappiamo nulla sulla loro storia dopo l’ascesa del presule, neppure se fossero rimasti nel Seprio o fossero emigrati in città come altre casate rurali quali i da Porta Romana. La seconda rimanda alla località di Arzago d’Adda, nel territorio cremonese, e sarebbe una famiglia legate all’arcivescovo Ariberto da Intimiano, il quale aveva tentato di allargare la giurisdizione della Chiesa ambrosiana sulle rive dell’Adda. Anche su costoro non sappiamo quasi nulla. Non conosciamo neppure da quale di queste due famiglie fosse originario Guiscardo, pur optando in questo testo per l’opzione autoctona del Seprio (a differenza di Pellegrini che lo considera originario del cremonese). La rilevanza di una delle due famiglie, indistinguibili nella documentazione poiché il cognomen si presenta con la medesima scrittura, è documentata dalla presenza di vari loro membri nel documento di alleanza tra Milano e Lodi del 1167: MANARESI, n. 54, pp. 78-81.

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dell’aristocrazia locale e di una riaffermazione della dipendenza alla Chiesa ambrosiana68.

Lo stesso genere di politica attuò Oberto da Terzago, ordinario milanese e suddiacono pontificio, dopo la nomina ad arciprete di S. Giovanni di Monza: la canonica monzese aveva visto con favore l’arrivo dell’imperatore, rafforzando la propria posizione nella Martesana e sfruttando il proprio peso demografico, soprattutto dopo la distruzione di Milano69.

L’autonomia della canonica venne duramente osteggiata dal pontefice e, alla morte dell’arciprete Liprando, venne nominato Oberto da Terzago, uomo di fiducia già di Oberto da Pirovano e apprezzato anche dal pontefice. Il papa cambiò immediatamente la propria posizione rispetto alla Chiesa monzese e il suo appoggio, sommato a quello dell’arcivescovo, favorirono le politiche del da Terzago, sotto la cui autorità la canonica di S. Giovanni visse uno dei momenti economicamente più floridi, a discapito della perdita di autonomia e del rientro nell’area d’influenza della Chiesa milanese70.

Questi tre esempi dimostrano come l’arcivescovo si servì di una serie di ecclesiastici per rafforzare l’honor civitatis in quello che venne considerato dai cittadini, e dalle autorità milanese, il territorio di Milano. Se aggiungiamo Algisio da Pirovano e Milone da Cardano, altri due attori delle trame del della Sala, si può constatare come tutti questi fossero originari di famiglie dell’aristocrazia milanese; sebbene esistano delle chiare differenze tra alcune famiglie di maggiore profilo e altre che erano ascese all’onore della nobiltà solo in anni recenti. Le prime avevano già interagito con la politica cittadina, come i della Sala e da Pirovano, altre assursero a un ruolo importante nella comunità solo in questo periodo, come i da Bussero, i da Terzago e i da Arsago71. Proprio la centralità nella lotta contro il Barbarossa

68 Per quanto riguarda S. Maria di Velate vedi R. PERELLI CIPPO, Ricerche sul borgo di Velate e sul

santuario di S. Maria del Monte in età medioevale, «Nuova rivista storica», 56 (1972), pp. 642-674; A.

LUCIONI, Cronologia degli arcipreti di S. Maria di Monte Velate per i secoli X-XVI, «Rivista della società storica varesina», 24 (2006/07), pp. 11-33. Manca ancora uno studio approfondito di quest’epoca per quanto riguardi la canonica di Castelseprio, l’unico rimando è alla datata opera BOGNETTI-CHIERICI-DE CAPITANI D’ARZAGO, Santa Maria di Castelseprio, Milano 1958, pp. 354-357.

69 MAMBRETTI, Oberto da Terzago, pp. 122-144.

70 MAMBRETTI, Oberto da Terzago, pp. 112-120; ID., La canonica di San Giovanni Battista (sec.

VI-XVI) in Liber ordinarius Modoetiensis cum kalendario-obituario, Roma 2001, pp. 40-41, pp. 227-228.

71 È molto controversa l’appartenenza di alcune di queste famiglie, come i da Bussero e i da Arsago al

gruppo dei capitanei. La vicinanza a importanti membri della Chiesa ambrosiana come gli arcivescovi Oberto da Pirovano e Galdino della Sala non è una prova incontrovertibile della loro appartenenza a questo gruppo. La storia successiva di queste casate, le quali ebbero un ruolo politico marginale della vita milanese, in particolare i da Arsago, potrebbe far escludere l’opzione capitaneale per queste famiglie. In questo testo si è privilegiata una metodologia che considera tutti coloro che ascesero agli ordini maggiori del capitolo cattedrale come originari di famiglie capitaneali. Per questo sia Pietro da Bussero sia Guiscardo da Arsago, identificati entrambi come membri degli ordinari, avvalorano l’ipotesi che le loro famiglie di origine fossero di grado capitaneale. Alcun dubbio, invece, ci dovrebbe essere sulle altre famiglie (da Pirovano, della Sala, da Cardano, da Terzago) poiché, con maggiore sicurezza, si può dimostrare che le cariche maggiori del Capitolo (arciprete, arcidiacono e arcivescovo) fossero privilegio esclusivo delle famiglie di capitanei. Quindi, poiché tutti e quattro i nominati (Galdino della Sala, Algisio da Pirovano, Milone da Cardano, Oberto da Terzago) ascesero al soglio di Ambrogio possiamo dedurre che tutte e quattro le casate sono da considerare, almeno nella seconda metà del XII secolo, come capitaneali.

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della Chiesa ambrosiana e il peso dei capitanei urbani nella gerarchia ecclesiastica, in particolare nel sistema episcopale e nella canonica degli ordinari, testimoniano come l’identità ambrosiana, l’honor civitatis, fosse fondamentale per l’aristocrazia cittadina; molto più degli antichi legami con l’Impero.

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