Capitanei cittadini “vincenti”
4.1 Il primato della casata nella politica milanese
4.1.4 Imperiali o antimperiali? Il ruolo marginale dei de Raude durante le guerre contro il Barbarossa
Il consolato di Ottone nel 1154 fu l’ultimo incarico politico della famiglia da Rho per quasi un ventennio, periodo che coincise con la fase centrale della peggiore crisi vissuta dalla città dal periodo precedente al 1088: lo scontro con Federico I. A un primo sguardo la documentazione ci testimonia un ruolo della famiglia marginale o comunque non più al centro delle dinamiche politiche come negli anni precedenti. Non vennero menzionati nella cronaca di Ottone Morena, nei documenti della Lega Lombarda e il loro ruolo non appare importante neanche nel supporto a Oberto da Pirovano o Galdino della Sala. Si può ipotizzare che l’appoggio al Barbarossa possa aver causato l’immediato allontanamento dal regime urbano e una damnatio memoriae nelle cronache successive? È impossibile dare una risposta esaustiva. Le poche informazioni, però, sono utili per un paragone con la famiglia milanese “imperiale” meglio studiata per questi anni: gli Scaccabarozzi46. L’obiettivo sarà
quello di vedere se i de Raude avessero collaborato durante il periodo di dominio imperiale nella città (1162-1167) e se questo avesse avuto delle ripercussioni sulla successiva azione familiare all’interno dello spazio politico.
Una somiglianza tra le due casate è documentata nella rete sociale. I da Rho, come si mostrerà successivamente, ebbero stretti legami con il mondo del commercio urbano e in particolare con il clero decumano. Gli Scaccabarozzi legarono la propria ascesa nel regime consolare proprio a questo ordine ecclesiastico47: il forno familiare, fonte primaria del loro
reddito, era stato acquistato dai decumani. Inoltre, la contrada delle Cinque Vie, dove era ubicata la residenza dei Scaccabarozzi, era controllata per la maggior parte da clienti di
45 Pergamene milanesi, XII, n. 5, pp. 70-72.
46 L. FASOLA, Una famiglia di sostenitori milanesi di Federico I. 47 Ibidem, pp. 160-161.
198
quell’ordine48. Un altro ambiente sociale condiviso da Scaccabarozzi e da Rho fu quello dei
prestatori di denaro49.
Inoltre, molti consoli del periodo precedente alla discesa in Italia di Federico I parteciparono al governo imperiale dopo il 116550. Sicuramente Giordano Scaccabarozzi,
console nel 1150 e forse nel 116251, il quale mise le proprie conoscenze fiscali al servizio
dei podestà e vicari imperiali; lo stesso fece Anselmo dall’Orto, uno dei più importanti giuristi della città52. È probabile che, dopo la resa milanese del 1162, alcuni membri del
collegio consolare avessero deciso di collaborare per perpetruare l’autorità acquisita attraverso le funzioni amministrativo-giudiziarie che la carica di console assicurava. Nessuno di loro, però, proveniva da una famiglia dello strato sociale maggiore.
Le motivazioni di un passaggio nelle file dei collaboratori potevano non essere ideologiche ma pratiche. Le continue incursioni dell’imperatore e dei suoi eserciti avevano devastato il territorio milanese e quindi le proprietà dei cittadini nelle campagne53. La pace
con il Barbarossa poteva essere vista come l’unica soluzione per coloro che soffrirono le conseguenze dei continui assedi e razzie effettuate dalle truppe imperiali. I da Rho dovevano essere particolarmente preoccupati per l’allungarsi della guerra: nella seconda campagna contro la città, le devastazioni imperiali colpirono Rho, una delle aree nelle quali erano ubicate le proprietà della famiglia. La signoria di Meda non fu meno vulnerabile: una delle principali vie di comunicazioni per l’imperatore era quello verso Como che passava proprio attigua alla località di Meda. Inoltre, Erba e Orsenigo, a non molta distanza dalla località, furono una spina nel fianco imperiale per la loro salda fedeltà milanese54. Infine, l’area era
ubicata in un territorio in cui la maggioranza della nobiltà locale era favorevole alle politiche
48 Ibidem, pp. 152-153. 49 Ibidem, pp. 156-158. 50 Ibidem, pp. 118-122. 51 Ibidem, pp. 150-151.
52 M. SPERONI, Anselmo dall’Orto, «DBI», 32 (1986), pp. 1132-1135. Era figlio di Oberto, più volte
console della città e tra gli scrittori dei Libri feudorum (P. CLASSEN, Studium und Gesellschaft in Mittealter, Stuttgart 1983, pp. 50-51); venne mandato a Bologna per approfondire il diritto romano, dopo aver studiato quello feudale probabilmente tra Milano e Pavia. Fu molto attivo nella politica cittadina: console di giustizia nel 1155 e console della città nel 1157 e 1162, dopo il rientro dei milanesi in città si adoperò in alcune cause che coinvolsero la diocesi ambrosiana come delegato dell’arcivescovo Galdino della Sala.
53 Le ripercussioni del passaggio degli eserciti imperiali furono molteplici tra cui un completo
sfilacciamento dei rapporti tra i rustici e i proprietari cittadini, con questi ultimi che non riuscirono a esigere i tributi dalle loro proprietà. Dagli anni Sessanta, il nuovo regime cercò di riordinare la caotica realtà territoriale, riaffermato il pieno controllo dei soggetti cittadini sul mondo rurale. Su questo argomento vedi PICASSO,
Monasteri e città, pp. 390-394; E. OCCHIPINTI, L’economia agraria in territorio milanese fra continuità e spinte innovative in Milano e il suo territorio in età comunale, Spoleto 1989, vol. I, pp. 245-264, pp. 255-258.
54 Le due località rimasero fedeli a Milano sebbene i nobili della Martesana fossero alleati con
l’imperatore fin dal 1158. A prova di ciò vi è un documento del 30 agosto 1160 in cui i consoli di Milano rimisero gli oneri cittadini a Erba ed Orsenigo per l’aiuto portato durante l’assedio di Carcano; MANARESI, n. 48, pp. 68-70. Sull’assedio di Carcano vedi P. GRILLO, Le guerre del Barbarossa, nn. 88-96.
199
di Federico e quindi ostile alla località, dominata da una stirpe milanese55. I da Rho
avrebbero cercato di patteggiare con Federico I per evitare di perdere completamente le loro, già limitate, proprietà extraurbane. Le motivazioni per un supporto al regime imperiale non mancarono, eppure è più probabile che i da Rho non avessero cambiato la loro politica, rimanendo fedeli alla causa milanese.
Il più importante indizio è l’appartenenza sociale della famiglia: pur avendo degli stretti legami con gli strati urbani inferiori, i da Rho rimasero sempre dei capitanei. La posizione della Chiesa ambrosiana, sia dell’arcivescovo sia del Capitolo della cattedrale, fu chiara e decisa56: opposizione senza compromessi all’imperatore in difesa dell’honor
cittadino57. A conferma dell’appoggio dei da Rho all’azione antimperiale vi è la
sottoscrizione di Anselmo indignus diaconus al documento di Galdino della Sala con cui impose la nomina del milanese Pietro da Bussero a nuovo arciprete di S. Maria di Velate58.
Questo atto, datato tra il 1167 e il 1168, fu una delle prime azioni con le quali la città tese a riprendere possesso del proprio territorio. Alcuni dei provvedimenti di Federico I colpirono le basi di potere delle famiglie capitaneali e in particolare i diritti di signoria che i membri dell’élite milanese avevano costituito durante la fase espansiva della città. Per esempio, i provvedimenti a favore di Como e del suo districtus avrebbero causato la disgregazione della signoria di Meda, la cui parte settentrionale era reclamata dalla città lariana59. Le terre dei
da Rho, inoltre, furono devastate come quelle di altre importanti famiglie aristocratiche che si opposero all’imperatore, come i da Corte, i da Landriano o i da Mandello60.
L’allontanamento dalla vita politica di quelle famiglie che avevano collaborato con il regime imperiale durò alcuni decenni, almeno fino alla riappacificazione con Federico nel 1185-
55 Per la politica di appoggio da parte dei capitanei rurali alle politiche del Barbarossa vedi capitolo 3°,
pp. 179-183.
56 A. AMBROSIONI, Dagli albori del secolo XII, pp. 223-225. L’atteggiamento ostile di Oberto si
riscontra anche nell’appoggio immediato del presule a Innocenzo III: AMBROSIONI, Alessandro III e la
Chiesa ambrosiana, pp. 408-430.
57 Sulla fedeltà dei capitanei urbani al regime milanesi vedi capitolo 3°, pp. 158-171. 58 Pergamene milanesi, IX, n. 81, pp. 130-134.
59 Como fu una delle città più fedeli all’imperatore durante la sua decennale lotta con Milano, rivale da
sempre della città lariana e causa della sua distruzione nel 1127. La fedeltà imperiale venne ripagata con una visita di Federico nel 1159 (L. FASOLA, 850 anni più uno dalla visita di Federico Barbarossa a Como in
Como, Anno Domini 1159. La città e il suo Palio, Como 2010, pp. 7-40) e con la successione concessione, il
23 marzo 1159, di un diploma volto alla ricostruire della città (Federici I Diplomata in MGH, Diplomata, a cura di H. Appelt, Hannoverae 1878, vol. 2, n. 264, pp. 70-71). Como entrò nella Lega Lombarda solo per un breve periodo e ciò non scalfì il rapporto con l’imperatore; infatti questi si rifugiò a Como dopo la sconfitta nella battaglia di Legnano (GRILLO, Legnano 1176, pp. 146-147).
60 Per i da Corte:Codex diplomaticus Cremonae, a cura di L. Astegiano, Torino 1895, sec. XII, n. 205,
pp. 128-129 (20 gennaio 1163). Per i da Landriano: A. MAESTRI, Ripercussioni della lotta fra Lodi e Milano:
Mombrione (1036-1277), «Archivio storico lodigiano», 6 (1958), pp. 10-40, pp. 31-33. Per i da Mandello: Gesta Federici I imperatoris, p. 56.
200
118661. Eppure, nel consiglio cittadino che nel 1167 delibererò la pacificazione con Lodi si
può trovare Guido da Rho62. Del 1173, invece, è il primo incarico di un membro della
famiglia dopo il 1154: Bevulco da Rho fu console di giustizia63.
Si è mostrato come l’ipotesi più probabile sia che i da Rho, come la maggior parte dei capitanei urbani, abbiano attuato una politica filomilanese. Allora, come bisogna interpretare il vuoto nella partecipazione politica tra il 1154 e il 1173? Una soluzione potrebbe essere l’improvvisa fine del «ramo di Ariprando». Ottone, figlio di Arnaldo, scomparve dalla documentazione dopo il 1154 e probabilmente morì precocemente e senza eredi; nessun altro membro proseguì la genealogia, rompendo anche il legame con le autorità consolari. Un indizio della morte prematura di Ottone proviene dal testamento del 1179 dello zio Anselmo nel quale, a differenza di un documento del 1150 in cui il nipote è presente come unico erede, non si fa nessun riferimento né ad Ottone né a nessun altro familiare64. Il
compito di rinsaldare la posizione della consorteria nello spazio politico cittadino sarebbe passato a un altro ramo.