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Capitanei cittadini “vincenti”

4.1 Il primato della casata nella politica milanese

4.1.2 Il ruolo dei da Rho negli assetti di potere nei primi anni del XII secolo

La fluidità dello spazio politico milanese nella prima parte del XII secolo è già stata analizzata nella parte politica. Si è potuto rilevare come la configurazione politica sia andata incontro a una serie di cambiamenti negli assetti di potere, tendenzialmente avvenuti con l’imposizione di una nuova autorità. I cronisti dell’epoca non ripercorsero integralmente le vicende cittadine ma si focalizzarono su determinati momenti di trasformazione: singoli episodi fondamentali per le successive costruzioni politiche. Ci si focalizzerà su alcune di queste vicende per evidenziare il fondamentale ruolo giocato dalla famiglia da Rho20: la

prova del fuoco di prete Liprando nel 1103, la controversia tra canonica e monastero di S. Ambrogio nel 1123 e la deposizione di Anselmo V nel 113521.

18 L’unico studio sulla famiglia da Bovisio: A. ALBUZZI, Per una prosopografia dei da Bovisio.

Albuzzi ipotizza un legame tra le due famiglie; ritengo che non solo vi fossero relazioni tra le due famiglie ma che i da Bovisio fossero clienti dei da Rho come testimoniato dal salvataggio dalla crisi economica che colpì i da Bovisio all’inizio del XII secolo da parte del monastero di S. Vittore di Meda (ATTMeda, sec. XII, nn. 11, 23, 39, 47, 49, 78, 79, 80, 81). Segno di questo legame con il cenobio, e quindi con la famiglia de Raude, fu la presenza nel capitolo di monache provenienti dalla famiglia da Bovisio durante l’abbaziato di Allegranza da Rho (ATTMeda, sec. XIII, nn. 247, 250, 251, 252, 253, 254, 256, 260, 261, 267, 268, 269, 284, 393). Alcuni riferimenti del legame tra le due famiglie si possono già trovare in: A. ALBUZZI, Introduzione alle Litterae Pontificiae.

19 S. Ambrogio, III/1, n. 4; ASA, sec. XII, n. 3. Il primo è il testamento di Berlinda in cui viene citato il

viaggio intrapreso dal figlio Guifredo da Rho. L’altro è un documento datato al giugno 1104 in cui gli eredi di Alberico da Soresina donarono alla canonica di S. Ambrogio tutti i beni che il loro parente possedeva nel luogo di Cerro; una postilla all’atto specifica come Alberico avesse incaricato delle proprie ultime volontà Ariprando da Rho del fu Arnaldo e come ciò fosse avvenuto «in itinere Jerusalem». Ritornato a Milano Ariprando avrebbe attuato tali disposizioni, in accordo con i parenti del defunto, attraverso un atto notarile.

20 Nel caso dei da Rho la cronachistica ci aiuta molto poiché Landolfo Iuniore, scrittore della cronaca

fondamentale per conoscere lo spazio politico milanese fino al 1136, sottolinea quasi sempre la partecipazione di membri della casata negli avvenimenti politici. La motivazione si lega alle posizioni politiche e alle avversità personali che l’autore ebbe con i membri più rilevanti della famiglia: se i de Raude supportarono quelle coalizioni d’interessa il più delle volte vincenti nella dialettica politica, al contrario Landolfo ci appare come il gran perdente, legato al più importante gruppo di opposizione. Unito fortemente allo zio Liprando, Landolfo supportò sempre il parente e la sua coalizione, non accettando nessun compromesso che potesse ledere i diritti di Liprando, come quando non accettò l’arbitrato del 1112. L’odio verso i de Raude si lega alle punizioni (il taglio del naso) che gli avi della stirpe causarono allo zio nel 1075; inoltre, i da Rho appoggiarono Nazario Muricola nella sottrazione della chiesa di S. Paolo in Compito. L’ostilità di Landolfo Iuniore si riflette nell’opera con un chiaro protagonismo della casata in tutti i maggiori eventi politici della città.

21 Per la prova del fuoco vedi capitolo 1°, pp. 82-84; per la controversia su S. Ambrogio vedi capitolo

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La morte dell’arcivescovo Anselmo IV a Costantinopoli nel 1102 ruppe il delicato equilibrio tra le varie componenti politiche urbane, costituitosi alla vigilia della crociata22.

L’opposizione alla turba connexionis Nazarii si consolidò attorno alla figura di prete Liprando, ultimo baluardo della pars ecclesiae radicale, e fu incentrata sulle critiche all’elezione di Grossolano come nuovo arcivescovo. La presenza di un presule estraneo alle dinamiche cittadine e dalla debole autorità urbana, sommata a un gruppo di avversari forte e nuovamente organizzato, ebbe come risultato una riconfigurazione degli assetti politici. La prova del fuoco del 1103 fu il culmine di questo scontro23. La prova ebbe forti valenze

politiche e la cittadinanza decise di affidarsi, per la preparazione del giudizio, ai rei publicae ministri, un soggetto istituito ad hoc che già dal nome evocasse il valore generale della carica24. L’unico personaggio che possiamo ipotizzare, da una frase di Landolfo Iuniore,

facesse parte di costoro è Arderico da Rho25. Egli sarebbe stato perfetto per il ruolo:

appartenne a una famiglia potente e rispettata, poteva essere più imparziale di altri grazie ai suoi antichi trascorsi nella pars imperii, anch’essa ostile ai presuli filoromani26. Arderico

non fu il solo da Rho partecipe alla vicenda: nelle cronache sono nominati anche Giovanni e Ugo da Rho27. I due ebbero posizioni opposte: Giovanni tentò di far fallire la prova del

fuoco schiacciando con il suo cavallo il piede di Liprando, invece Ugo protesse Andrea Dalvultus, primicerio dei decumani e alleato del sacerdote, durante gli scontri successivi alla prova28. La gestione delle violenze scaturite dal giudizio e il tentativo di ripacificazione

furono tra gli obiettivi del regime cittadino, in quella situazione di emergenza in mano ai rei publicae ministri. La partecipazione di un membro della casata favorì l’obiettivo della famiglia, cioè essere presente in ognuno di quei centri di potere che si stavano costituendo al mutamento degli assetti urbani.

Il secondo intervento fu nella disputa tra la canonica e il monastero per il primato sulla basilica di Sant’Ambrogio. Si è già presentata l’importanza dei documenti prodotti tra

22 Sulla concordia di fine secolo vedi capitolo 1°, pp. 77-79.

23 Sul valore della prova del fuoco nel periodo della lotta per le investiture, in riferimento soprattutto a

quella di Giovanni Gualberto del 1068: F. SALVESTRINI, La prova del fuoco: vita religiosa e identità

cittadina nella tradizione del monachesimo fiorentino, «Studi medievali», 57 (2016), pp. 87-127.

24 Vedi capitolo 1°, pp. 80-85.

25 LANDOLFO IUNIORE, cap. 66, p. 48: «Ardericus quoque hujus juvenis Arnaldi patruus, eundem

presbiterum (prete Liprando) ad ignem, per quem transivit, venire compulit».

26 Arderico aveva partecipato all’assedio di Roma con l’arcivescovo Tedaldo e l’imperatore Enrico IV

nel 1084: vedi sopra, nota 12.

27 LANDOLFO IUNIORE, cap. 18, p. 28: «Sed quia presentia episcoporum suffraganeorum huic legi et

triumpho favorem integre non prebuit, et ignis manum presbiteri, quam in proiciendo aquam et incensum super ignem, lesit, et quia pes equi Iohannis de Rode nudum presbiteri pedem de igne exeuntis dure calcavit»; cap. 66, p. 48: «Ugo, alter ejusdem Arnaldi patruus, Andream, de quo juste queror, non ratione sed furiose protegit».

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il 1123 e il 1124 per la conoscenza della configurazione politica di quegli anni29. Nel

documento del 1123, quello prodotto dalla futura pars Chunradi, troviamo la sottoscrizione di un da Rho; nella sezione relativa agli ordinari della cattedrale vi è la presenza di Anselmo suddiacono, il quale sarebbe da identificare con Anselmo indignus diaconus, nipote di Arderico e membro del potente «ramo di Ariprando»30. Nessun membro della famiglia

sottoscrisse, invece, nella sezione dedicata alla cittadinanza; è probabile che questa decisione fosse maturata per la criticità della decisione e per le contrapposizioni suscitate dalla risoluzione all’interno delle coalizioni politiche. Infatti, la famiglia de Raude, vicina alla turba connexionis Nazarii, avrebbe fatto parte di quel gruppo favorevole al compromesso del 1112 ed entrata a far parte della Coniuratio, lo schieramento dominante dal 1116 al 1127, come evidenziato dalla loro posizione ai vertici dei documenti prodotti da questo gruppo31.

L’atto fu un tentativo da parte del gruppo d’opposizione alla Coniuratio di destabilizzare il regime e cambiare la gerarchia d’autorità; ci si dovrebbe, quindi, chiedere perché un membro della stirpe lo abbia firmato. La soluzione potrebbe essere un momentaneo cambiamento della posizione della casata: seguendo l’opportunista Nazario Muricola, ecclesiastico dall’ottima intuizione politica e capace di cambiare schieramento senza particolari problemi, il «ramo di Ariprando» dei da Rho avrebbe tentato di patteggiare con lo schieramento avverso per poter avere una posizione di rilievo nel nuovo regime che si sarebbe delineato32.

Tuttavia, la rottura totale con l’amministrazione diocesana e con la coalizione che la supportava, non dovettero essere considerate delle priorità poiché avrebbero comportato l’allontanamento definitivo della famiglia da tutti gli altri capitanei, rimasti fedeli all’arcivescovo. Per questo, nell’atto di annullamento dell’arbitrato voluto dal presule Olrico nel 1125, gli unici presenti già nel documento del 1123 furono proprio i tre membri del Capitolo cattedrale, tutti provenienti da famiglie di vassalli arcivescovili33. Tra questi vi fu

lo stesso Anselmo da Rho. Nelle tensioni cittadine tra il 1123 e il 1125 i da Rho cambiarono la propria posizione politica per salvaguardare gli antichi legami e il proprio posto nell’élite arcivescovile. Il rapido dietrofront degli oppositori diede la possibilità alla famiglia di non vedere deteriorata la propria leadership all’interno della coalizione. I tempi non erano ancora maturi per un cambio di regime così radicale e perciò i da Rho scelsero di rimanere fedeli al regime consolidato. Quando effettivamente il regime cadde, con l’ascesa della pars

29 Vedi capitolo 2°, pp. 114; 125-126.

30 Per la posizione nell’albero familiare di Anselmo e sulla divisione in rami della casata rimando

all’appendice prosopografica.

31 Vedi capitolo 2°, pp. 113-115.

32 Sulla posizione di Nazario Muricola vedi capitolo 2°, p. 119.

33 Gli altri due canonici intervenuti furono Ottone Visconti e Anselmo della Pusterla, futuro Anselmo V

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Chunradi nel 1128, questa volta la stirpe rimase fedele alle proprie posizioni vedendo decurtata la propria autorità politica34.

L’evento in cui l’influenza dei da Rho appare più decisiva fu la deposizione di Anselmo V nel 1135. L’arcivescovo, dopo una lunga opposizione all’assemblea che riuniva le autorità cittadine e i suffraganei, decise di arrendersi e di accettare il giudizio della riunione. È probabile che non si sarebbe arrivati alla deposizione dell’arcivescovo ma a un compromesso, lasciando Anselmo sulla cattedra in cambio della rinuncia all’appoggio allo scismatico papa Anacleto II e del ritorno in comunione con Innocenzo II. Tale decisione, che non avrebbe mutato gli assetti urbani e quindi l’egemonia della pars Chunradi, non poteva essere accettata dai membri più radicali della pars Lotharii, i quali avevano pagato il prezzo più alto con un indebolimento del proprio prestigio e autorità. Tra questi vi erano anche i da Rho, i quali attuarono un piano per far fallire le trattative. L’assemblea dei cives e dei suffraganei delegò ai consoli le trattative con l’arcivescovo ma uno di questi, Giovanni da Rho, si allontanò dal luogo del negoziato per raggiungere l’assemblea generale. Qui, egli affermò che Anselmo non avrebbe mai accettato una soluzione di compromesso a differenza di quello che aveva giurato. I cittadini, incitati dalle parole del console, cacciarono dalla città Anselmo e scelsero come nuovo arcivescovo Robaldo, uno dei suffraganei presenti all’assemblea. La decisione, però, doveva essere ratificata dal pontefice, i cui rapporti con Milano erano ancora difficili dopo cinque anni di scisma anacletino. Una delegazione venne formata e inviata al concilio di Pisa; la missione ebbe un completo successo poiché Innocenzo II accettò la deposizione di Anselmo V e l’elevazione alla cattedra ambrosiana di Robaldo. Tra gli ecclesiastici presenti vi era anche un giovane canonico: Anselmo da Rho indignus diaconus. Gli avvenimenti del 1135 riconfigurarono le autorità del sistema politico cittadino e consolidarono il potere dei consoli, divenuti un organo controllato dalla pars Lotharii. Il prestigio dei da Rho fu rinvigorito da questi eventi e iniziò il momento di massima esposizione nel panorama politico milanese.

4.1.3 «Nobil Milanesi, il nome di quali aciò si cognosca le antiquità de lor famiglie». L’egemonia del «ramo di Ariprando» nello spazio politico milanese

I da Rho furono la famiglia più importante all’interno dello spazio politico milanese tra gli anni Trenta e Cinquanta del XII secolo. Il loro prestigio derivò dalla partecipazione,

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a differenza di gran parte delle altre famiglie capitaneali, al regime consolare. Inoltre, la famiglia riuscì a salvaguardare la propria posizione nella Chiesa ambrosiana. Crearono, così, una rete di connessioni con il maggior numero possibile di autorità cittadine. Uno dei rami della famiglia fu maggiormente coinvolto nelle dinamiche politiche: il «ramo di Ariprando», formato da Ariprando, dai figli Arnaldo, Anselmo e Ottone. Le strategie politiche e i legami istituzionali trovarono il loro punto focale nella terza generazione, rappresentata da Ottone, figlio di Arnaldo.

Caratteristica principale della nobiltà milanese fu il privilegio di concorrere per i seggi più importanti nella canonica degli ordinari della cattedrale35. Nella prima parte del

XII secolo, come abbiamo già visto, per la famiglia da Rho vi era Anselmo indignus diaconus. La sua rilevanza all’interno del capitolo è testimoniata dal semplice dato quantitativo: durante gli episcopati di Olrico da Corte, Anselmo della Pusterla, Robaldo, Oberto da Pirovano e Galdino della Sala, tra gli anni Venti e gli anni Sessanta del XII secolo, circa l’80% dei documenti riportò la sottoscrizione autografa di Anselmo. In particolare, il da Rho intervenne in quasi tutti i documenti di Robaldo (1133-1145) e Oberto da Pirovano (1145-1166)36.

Anselmo fu uno dei maggiori collaboratori dell’istituzione arcivescovile per la quale agì in ruoli di rappresentanza complessi e delicati. Prima del 1135, ancora giovane, dovette aver già espresso le proprie capacità politiche così da poter essere selezionato per la delicatissima legazione al concilio di Pisa. Il supporto di Anselmo fu fondamentale all’arcivescovo Robaldo, la cui mancanza di legami con gran parte dell’aristocrazia cittadina indebolì la sua autorità urbana37. La rete dei da Rho fu utilizzata dal presule per i propri fini;

per questo troviamo sempre la sottoscrizione di Anselmo negli atti più “politici” di Robaldo38. I legami con la Chiesa cittadina non furono esclusivi di Anselmo poiché,

soprattutto con Oberto da Pirovano, si rinsaldò l’antica subordinazione feudale attraverso la sottoscrizione di membri della casata come vassalli dell’arcivescovo. In un atto del 1148, sulla proprietà di terre attigue al castello arcivescovile di Varese, venne nominato Ugo da Rho vassallo dell’arcivescovo Oberto39.

35 Questo particolare è stato più volte evidenziato nel corso dello studio e rimanda a una tesi sostenuta

da Michele Pellegrini: PELLEGRINI, L’«ordo maior», pp. 56-68.

36 Per l’elenco dei suoi interventi vedi la voce di Anselmo nella sezione prosopografica, pp. 293-294. 37 Per le difficoltà di Robaldo vedi capitolo 2°, pp. 145-147.

38 Lodi, n. 42 (sentenza nella lite tra i presuli di Lodi e Tortona sul possesso dei monasteri di Precipiano

e Savignone); Pergamene milanesi, IX, n. 58, pp. 94-96 (privilegio della nomina dei chierici di S. Maria del Monte ai canonici di S. Vittore di Varese); Pergamene milanesi, X, n. 2, pp. 16-17 (concessione all’ospedale alla chiesa di S. Eustorgio dell’ospedale di Porta Ticinese); DELLA CROCE, I/7, coll. 211-220 (pacificazione tra i canonici e i monaci di Sant’Ambrogio).

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La differenza con le altre famiglie capitaneali non fu tanto nei rapporti con l’episcopato ma nella collaborazione con l’istituzione consolare. Già Ariprando, il capostipite del ramo, ebbe una considerazione particolare all’interno degli organi rappresentativi della cittadinanza: nel 1119 un’assemblea deliberò l’esenzione da ogni carico fiscale del monastero di Pontida40. L’atto fu controfirmato dai più prestigiosi cittadini: al

primo posto di questo elenco vi era Ariprando. Se gran parte di tale autorità si può ricollegare alla carriera personale del da Rho – per esempio partecipò alla crociata del 1101 - l’assoluto predominio della stirpe nella carica consolare dagli anni Trenta agli anni Cinquanta è la più emblematica rappresentanzione del successo della consorteria. Per una prima impressione ci si può affidare ancora una volta al dato quantitativo: i da Rho furono una delle famiglie maggiormente rappresentate nei primi consolati. Furono consoli otto volte in meno di vent’anni e con tutto il «ramo di Ariprando»; infatti, ebbero tale carica sia i fratelli Arnaldo e Ottone che Ottone, figlio di Arnaldo. Ancora una volta la figura di Ugo da Rho è utile a esplicitare il rapporto con i consoli: sempre nel 1148 fa parte di una delegazione di giuristi milanesi, a cui parteciparono gran parte dei giudici-consoli, chiamata dal vescovo di Verona Teobaldo a dirimere una lite tra lo stesso prelato e il clero maggiore sulla proprietà del castello di Cerreta41.

Una figura emblematica, che racchiuse nella propria vicenda l’intreccio e la complementarietà tra le istituzioni nell’azione della famiglia, fu quella di Ottone, figlio di Arnaldo. Ultimo grande rappresentante del «ramo di Ariprando», egli riuscì, già in giovane età, a occupare uno spazio all’interno del sistema politico cittadino. La morte del padre avvenne negli anni Quaranta del XII secolo quando Ottone era ancora minorenne42; il ruolo

di capo famiglia passò, quindi, allo zio Anselmo e il ruolo di rappresentante familiare nel consolato all’altro zio Ottone come documentato nel 1143, 1145 e 114743. La morte di

quest’ultimo nel 1149 diede a Ottone, figlio di Arnaldo, la possibilità di prendere il ruolo che era, già, stato del padre: lo troviamo console nel 1154 ma era già intervenuto in una delicata questione giudiziaria nel 115044. L’ottima preparazione nello studio del diritto

40 MANARESI, n. 2, pp. 5-6.

41 GIULINI, vol. III, pp. 369-370. I giudici intervenuti furono Oberto dell’Orto, Stefanardo, Gerardo

Cagapisto, Malastreva. Tutti furono membri rilevanti dell’élite milanese e consoli nella prima parte del XII secolo.

42 La morte di Arnaldo avvenne tra il 1140 (MANARESI, n. 5, pp. 9-11), ultima volta in cui venne

nominato nella documentazione, e il 1150 (Pergamene milanesi, XV, n. 32, pp. 39-41) quando un atto lo presenta come defunto. È probabile che la morte sia avvenuta tra il 1140 e il 1143 quando il fratello Ottone lo sostituì per la prima volta nel consolato.

43 MANARESI, n. 9, pp. 15-18; n. 13, pp. 22-23; Appendice, pp. 725-726.

44 Per la morte di Ottone, figlio di Ariprando, nel 1149 vedi Pergamene milanesi, IV, n. 8, pp. 14-16.

Gli atti in cui partecipò Ottone, figlio di Arnaldo, con la carica di console: MANARESI, n. 30, pp. 47-49; n. 31, pp. 49-50. L’atto giudiziario del 1150: MANARESI, n. 23, pp. 35-36.

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sembra potersi riscontrare come caratteristica del giovane politico; infatti, nella permuta dello zio Anselmo del 1150, egli venne presentato come «notaio e giudice della Chiesa di Milano». La formula evidenzia la connessione tra Ottone e la Chiesa ambrosiana come, anche, il ruolo di vassallo arcivescovile in un atto del 115345. Il figlio di Arnaldo fu

protagonista di primo piano in entrambe le istituzioni, come console e rappresentante ecclesiastico, segnando l’apogeo della famiglia.

4.1.4 Imperiali o antimperiali? Il ruolo marginale dei de Raude durante le

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