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l’origine dei capitanei urbani e rurali (1045-1111)

1.1 Il periodo della frammentazione: l’assenza di un modello alternativo (1045-1085)

1.1.1 Lo spazio politico cittadino alla morte di Ariberto da Intimiano

Le vicende precedenti alla metà del XI secolo possono chiarire come la politica milanese fosse ancora inserita in una gerarchia di poteri di natura pubblica9. La rivolta dei

7 GRILLO, Milano in età comunale, pp. 657-660; ID., Aristocrazia urbana, aristocrazia rurale, pp. 92-

96.

8 Sulle difficoltà incontrate dai primi regimi cittadini, in particolare sul tema della legittimazione vedi

A. GAMBERINI, La legittimità contesa; sul rapporto tra violenza e disgregazione dei quadri politici pubblici nell’XI secolo vedi FIORE, Il mutamento signorile, pp. 8-9, 237-260.

9 La configurazione pubblica nel territorio milanese non era la medesima affermatisi sotto Carlo

Magno; in particolare gli imperatori della casa sassone nel X secolo avevano rafforzato la giurisdizione dell’arcivescovo nel quadro territoriale. Seppur non ci sia giunto nessun documento che testimoni una delega dei poteri comitali al presule milanese, si deve constatare come, dalla metà del X secolo, gli interventi degli arcivescovi milanesi si fecero sempre più rilevanti sia in ambito locale sia nelle vicende generali del Regnum

Italiae. Al rafforzamento dell’autorità episcopale si accompagnò un progressivo indebolimento del potere del

conte. Il rappresentante pubblico vide affievolire la propria autorità sul comitato milanese: la concessione dei diritti di decima ad alcune famiglie dell’entourage arcivescovile avrebbe rafforzato la posizione di tutta una serie di casate in ambito locale, diminuendo la giurisdizione del potere pubblico. Un confronto con le realtà attigue è eloquente nell’evidenziare le peculiarità milanesi: sebbene indeboliti, i conti, ancora nell’XI secolo, ebbero una loro autorità anche nei territori cittadini come i Gisalbertini a Bergamo (F. MENANT, Les

Giselbertines, comtes du comté de Bergame et comtes palatines in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel medioevo, Roma 1988, pp. 115-186), i da Lomello a Pavia (R. PAULER, I conti di Lomello in Formazione e strutture dei ceti dominanti, Roma 1988, pp. 187-199) o gli eredi dei conti di Pombia a Novara e Vercelli (G.

ANDENNA, Grandi patrimoni, funzioni pubbliche e famiglie su di un territorio: il “Comitatus plumbiensis”

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cives, nei primi anni Quaranta dell’XI secolo, ne è la testimonianza più lampante: considerata come il risultato di una mentalità proto-comunale, fu, invece, il tentativo da parte dei cives di ripristinare un regime di stampo pubblico10.

Fin dal leader, il tumulto fu caratterizzato da chiari legami con le autorità imperiali: Lanzone, originario di una famiglia di capitanei, fu uno dei più importanti giudici cittadini, membro della gerarchia del Regnum, in buoni rapporti con l’arcivescovo e con l’imperatore, di cui divenne messo dopo il 104511. Inoltre, la mediazione tra le parti venne affidata agli

emissari dell’imperatore come enunciato da un passo di Arnolfo12. Un ulteriore indizio è la

partecipazione a un atto, nel 1043, nella città assediata dalle forze dell’aristocrazia, del messo Adalgerio, vicario di Enrico III con pieni poteri sull’Italia13; la presenza in città del

legato imperiale farebbe riferimento alla volontà del sovrano di intervenire in aiuto dei cives14.

territorio di Milano, al contrario, il potere delle stirpi di natura pubblica ci appare quasi irrilevanti, sebbene esistessero stirpi di antico lignaggio e dai forti legami con l’apparato imperiale come i da Besate (C. VIOLANTE, L’immaginario e il reale. I “da Besate” una stirpe feudale e “vescovile” nella genealogia di

Anselmo il Peripatetico e nei documenti in Nobiltà e chiesa nel medioevo e altri saggi. Scritti in onore di Gerd G. Tellebach, Roma 1993, pp. 97-157).

10 KELLER, Gli inizi, p. 54; ID., Die soziale und politische Verfassung Mailands, pp. 49-51; ID., Die

Entstehung; ID., Einwohnergemeinde und Kommune; ID. Pataria, pp. 333-349; ID., Mailand im 11. Jahrundert pp, 93-98. Opinioni simili furono espresse in VIOLANTE, La società milanese, pp. 255-267;

TABACCO, Egemonie sociali, p. 229; BORDONE, La società cittadina, p. 139. Per una visione più sfumata dei legami tra la rivolta e il governo comunale vedi G. DILCHER, Die Entstehung der lombardischen

Stadtkommune, Aalen 1967, pp. 128-134; ID. I comuni italiani come movimento sociale e forma giuridica in Le evoluzioni delle città italiane nell’XI secolo, Bologna 1988, pp. 71-98, pp. 79-83. La seguente analisi si

basa sulle correzioni interpretative di Cinzio Violante in VIOLANTE, La Pataria, pp. 32-35; ID., Aspetti della

politica italiana di Enrico III prima della sua discesa in Italia (1039-1046) in Studi sulla cristianità medioevale. Società, istituzioni, spiritualità, Milano 1975, pp. 249-290.

11 Sull’origine capitaneale della famiglia di Lanzone, molto probabilmente i da Corte: KELLER, Signori

e vassalli, pp. 209-210. Sull’identificazione con il giudice Vualdo qui et Lanzo iudex domini regis: GIULINI,

vol. II, pp. 198-200; VIOLANTE, La società milanese, p. 260. Intervenne in un serie di documenti come giudice regio: Gli atti privati, II, n. 169, pp. 57-61 (marzo 1029); n. 228, pp. 189-190 (febbraio 1035); n. 294, pp. 319-321 (aprile 1042); n. 303 pp. 335-337 (28 aprile 1043); n. 305, pp. 341-343 (9 maggio 1043). I legami con l’arcivescovo sono testimoniati dalla sottoscrizione ai testamenti di Ariberto del 1034 e del 1042: Gli atti

dell’arcivescovo di Milano: Ariberto da Intimiano, n. 20, pp. 50-57; n. 25, pp. 69-72. L’ascesa del giudice non

si concluse con la rivolta del 1045 poiché lo troviamo presiedere un placito nel 1048 in qualità di messo di Enrico III: Placiti, II/2, n. 308, pp. 624-626. Si veda, inoltre, B. STOCK, The implications of literacy. Written

language and models of interpretation in the eleventh and twelfth centuries, Princeton 1983, pp. 158, 165, 173,

188, 192, 236; KELLER, Mailand im 11. Jahrhundert, pp. 81-104.

12 ARNOLFO, lib. II, cap. 20, p. 102: «Veniunt ab augusto legati, treguam inviolabilem indicentes». 13 Atti privati, II, n. 305, pp. 341-343. Sulla figura di Adalberto e la sua importanza nel periodo

precedente alla discesa di Enrico III in Italia vedi VIOLANTE, Aspetti della politica italiana di Enrico III, p. 284.

14 La prima politica di Enrico III in Italia favorì le comunità cittadine come testimoniano alcuni diplomi

rilasciati direttamente alle cittadinanze, superando la tradizionale mediazione delle strutture intermedie, per esempio a Mantova e Ferrara nel 1055: Diplomata Henrici III, n. 351, p. 478; n. 356, p. 484. Questa azione non fu diretta solo verso le comunità cittadine ma anche a uomini delle campagne, vessati dalle pressioni dei proprietari locali: G. TABACCO, I liberi del re nell’Italia carolingia e post-carolingia, Spoleto 1968, pp. 165- 196.

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Inoltre, a seguito del giuramento di pace tra le parti, con il quale si concluse la vicenda, è attestato un rinnovato vigore del potere pubblico in città15: nel novembre 1045

venne redatto un placito che vide opposti la chiesa di S. Ambrogio alla famiglia capitaneale dei da Baggio per la proprietà di alcuni beni nella pieve di Cesano Boscone16. Da evidenziare

come il giudizio sia stato emesso da «dominus Azo marchio et comes istius civitatis»: il titolo fa esplicitamente riferimento all’amministrazione cittadina e si presenta con una formula in disuso da più di due secoli. Nei placiti precedenti, per esempio quello promulgato nel 1021, il titolo comitale è presente con la dicitura comes comitatus Mediolani, seguendo un modello standardizzato nel X secolo e riscontrabile in altre realtà lombarde17. Per

ritrovare un riferimento diretto alla città si deve tornare al 874, quando Alberico si presentò con il titolo di comes ipsius civitatis18. Il passaggio dall’accezione cittadina a quella

comitatina è considerata una delle prove dell’attenuarsi dell’autorità comitale in città; analogamente, la ricomparsa di un riferimento urbano testimonierebbe la rinnovata capacità d’intervento da parte del conte in ambito urbano. Anche la vitalità dei placiti, con altri due giudizi nel 1046 e nel 1048, in discontinuità con i decenni precedenti, avari di sentenze, testimonierebbe il rafforzamento di tale autorità19.

Il regime imperiale ebbe, tuttavia, vita breve: dagli anni Cinquanta non abbiamo più placiti e il conte di Milano scomparve dalla documentazione. La fine di questo sistema coinciderebbe con la morte prematura di Enrico III e la minorità del figlio Enrico IV; la lunga assenza dell’imperatore dall’Italia portò all’annulamento dell’autorità centrale dal 1056 ai primi anni Settanta. La dipartita del sovrano corrispose alla fine della concordia cittadina instauratasi nel 1044. Il riaffiorare delle tensioni urbane coincise con il periodo più intenso di frammentazione politica e con l’affermazione della coniuratio come principale strumento politico.

15 ARNOLFO, lib. II, cap. 19, p. 102: «treguam inviolabilem indicentes, quam totius regni virtute et

conscilio iureiurando confirmant»; LANDOLFO SENIORE, lib. II, cap. 26, p. 65: «Multis demum probatis consiliis, cum uxoribus et filiis omnique substantia, reseratis tamen civitatis portis, vultibus illoturm nimia verecundia in terra demissis, homicidiis et opprobriis paulo antea invicem cum populo condonatis, urbem introierunt».

16 Placiti, III/1, n. 364, pp. 126-128.

17 Placiti, II/2, n. 308, pp. 624-626; il caso più rilevante di questa trasformazione furono i conti palatini

di Bergamo, i Gisalbertini: MENANT, Les Giselbertines, comtes du comté.

18 Placiti, I, n. 78, pp. 283-287.

19 Placiti, III/1, n. 368, pp. 134-137 (ottobre 1046); n. 379, pp. 166-171 (settembre 1048). Tra il 972 e il

1045 sono, invece, documentati solo tre placiti: Placiti, II/1, n. 171, pp. 120-122 (30 luglio 972); n. 288, pp. 551-555 (5 maggio 1015); Placiti, II/2, n. 308, pp. 624-626 (novembre 1021).

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