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l’origine dei capitanei urbani e rurali (1045-1111)

1.1 Il periodo della frammentazione: l’assenza di un modello alternativo (1045-1085)

1.1.3 Una città senza istituzioni formali: l’importanza delle coniurationes

Le trasformazioni della seconda parte dell’XI secolo ebbero ripercussioni soprattutto sullo spazio politico cittadino. Il regime imperiale venne travolto dalla dissoluzione delle autorità pubbliche alla morte di Enrico III nel 1056. Senza più un coordinamento generale e con le vecchie istituzioni ormai delegittimate, l’autorità urbana subì la medesima frammentazione di quella rurale42. In un sistema plurale, non gerarchizzato e caratterizzato

39 ARNOLFO, lib. III, cap. 21, p. 133: «Ad hoc etiam cunctos regionis illius instant aggregare ruricolas».

40 ARNOLFO, lib. II, cap. 10, p. 90: «Quibus mox subveniunt Marciani ac Seprienses»; ARNOLFO,

lib. II, cap. 18, p. 100: «Quibus etiam statim fiunt auxilio Marciani cum Sepriensibus»; LANDOLFO SENIORE, lib. II, cap. 26, p. 63: «Quibus Marciani et Seprienses auxilia praestantes […]».

41 Le motivazioni dietro al mancato aiuto da parte dei capitanei rurali potrebbero non essere solo

ideologiche, considerando un loro appoggio all’arcivescovo Gotofredo. Le cronache, di produzione urbana, non permettono di conoscere il destino dell’arcivescovo. Tuttavia, sappiamo che egli continuò ad agire nella diocesi: insediatosi nell’area tra il Lago Maggiore e il Varesotto riuscì a creare un nucleo di resistenza grazie all’appoggio degli stessi fideles che lo avevano liberato dall’assedio di Castiglione. L’obiettivo, probabilmente, era quello di rafforzare le proprie pretese sulla cattedra arcivescovile dopo che la città era rimasta senza arcivescovo con la morte di Guido da Velate (23 agosto1071) e la fuga di Attone verso Roma (1072). I tentativi di conquistare Lecco mostrano una politica volta a favorire una discesa dell’imperatore, liberando i passi alpini il cui controllo era in mano alla compagine milanesi. Per la ricostruzione delle vicende di Gotofredo: ROSSETTI, Gotofredo, «DBI», 57 (2001), pp. 130-132.

42 Nelle campagne la localizzazione dell’autorità si accompagnò a una definizione degli assetti di potere,

inquadrata in una differente capacità nell’imposizione del prelievo e dello sviluppo della giurisdizione sulla popolazione locale: queste trasformazioni portarono allo sviluppo della signoria territoriale. Il tema è troppo vasto per poter fornire una bibliografia esauriente, rimando quindi ai saggi inseriti in Strutture e trasformazioni

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da una sostanziale assenza di soggetti formali, emersero quelle strutture basate sui rapporti intrapersonali, costituite per uno scopo comune e consolidate attraverso un giuramento, che le fonti chiamano coniurationes43.

Tuttavia, il regime imperiale era mutato già all’inizio degli anni Cinquanta: l’autorità del conte era, di nuovo, scemata dopo la rottura dei rapporti tra Enrico III e il marchese Adalberto Azzo II, l’ufficiale del placito del 104544; l’arcivescovo di Milano fu il maggior

beneficiario di questo strappo45. Il nuovo assetto permise a Guido da Velate di rafforzare la

propria posizione in città. Eppure, il regime imperial-vescovile ebbe vita breve, non superando la morte di Enrico III.

Il regime successivo, che possiamo identificare come la prima configurazione di autogoverno cittadino, presenta una caratteristica peculiare, segno delle difficoltà di quegli

della signoria rurale nei secoli X-XIII, Bologna 1996 ed in particolare, per l’area lombarda: C. VIOLANTE, Introduzione, pp. 7-56; G. ANDENNA, Formazione, strutture e processi di riconoscimento giuridico delle signorie rurali tra Lombardia e Piemonte orientale (secoli XI-XIII), pp. 123-167. Vedi anche KELLER, Signori e vassalli, pp. 118-136 e MENANT, Campagnes lombardes, pp. 401-406. Devo sottolineare come,

nell’area milanese, l’attenzione alle signorie ecclesiastiche abbia condizionato alcuni risultati, spesso deducendo da queste singole istituzioni una realtà generalizzata a tutti i soggetti nel territorio rurale. Eppure, serie difficoltà si riscontrano se dalle istituzioni religiose si volge lo sguardo alle famiglie aristocratiche, soprattutto quelle urbane; la documentazione ci testimonia per questi soggetti, come si dimostrerà nella seconda parte, centri di potere limitati e molto spesso decaduti in breve tempo tra la fine dell’XI e la metà del XII secolo. Per gli studi sulla signoria ecclestica nel milanese vedi G. ROSSETTI, Società ed istituzioni nel contado

lombardo durante il medioevo. Cologno Monzese: secoli VIII-X, Milano 1968; R. ROMEO, Il comune rurale di Origgio nel secolo XIII, Assisi 1970; D. FONSECA, La signoria rurale del Monastero Maggiore sul luogo di Arosio (secoli XII-XIII), Genova 1974; S. SIRONI, Il districtus del monastero di S. Ambrogio sul comune rurale di Cologno Monzese, secc. XII-XIII in «Rendiconti. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere, Classe di

Lettere e Scienze Morali e Storiche», 134 (2000), pp. 161-224; ID., Gestioni patrimoniali a Cologno Monzese.

Il monastero di S. Ambrogio e la collegiata di S. Giovanni di Monza (secoli XII-XIII) in «Studi di storia

medioevale e di diplomatica», 19 (2001), pp. 17-90.

43 Lo storico inglese non è il primo a utilizzare una termologia che evidenzia la natura sperimentale e

non istituzionale delle prime autorità di autogoverno cittadino: Giuliano Milani utilizza il concetto di comune “latente” per i primi sistemi cittadini (MILANI, I comuni italiani, pp. 24-25) ma idee simili sono state sviluppate da altri studiosi: DARTMANN, Politische interaktion, pp. 59-97, 111-116; KELLER, Die

Stadtkommunen; BANTI, Civitas e Commune.

44 ARNOLFO, Lib. III, cap. 4, p. 106: «Illo autem tempore placitatur imperator [Enrico III] in pratis

Roncalie […] Ubi marchionem Adelbertum, de quo nimia fuerat proclamatio, cum aliis flagitiosis captum ferreis iubet vinciri nexibus». Il marchese citato sarebbe da identificare con il marchese e conte di Milano, membro della famiglia degli Obertenghi; sulla stirpe di origine comitale vedi M. NOBILI, Gli Obertenghi ed

altri saggi, Perugia 2006. Nei primi anni Cinquanta vi fu una controversia tra l’imperatore e il marchesato di

Toscana: infatti l’erede di Bonifacio, Beatrice di Canossa aveva sposato il potente Goffredo di Lorena, costituendo un pericoloso contraltare all’autorità imperiale. Adalberto seguì una politica filo-canossiana e, per questo, fu punito dall’imperatore. Il tradimento fu una delle motivazioni del fallimento della politica di Enrico volta a favorire il potere comitale a Milano, costringendo l’imperatore a tornare alla consueta azione in sostegno dell’arcivescovo: VIOLANTE, La Pataria, pp. 133-137. Sui rapporti tra imperatore e arcivescovo di Milano nell’alto Medioevo vedi AMBROSIONI, Gli arcivescovi nella vita di Milano; G. PICASSO, La Chiesa

vescovile: dal crollo dell’Impero carolingio all’età di Ariberto (882-1045) in Storia religiosa della Lombardia: Diocesi di Milano, Brescia 1990, vol. I, pp. 143-166.

45 Testimonia la rinnovata autorità e l’appoggio cittadino un placito imperiale datato febbraio 1054 su

una controversia riguardante un suffraganeo ambrosiano, Ubaldo vescovo di Cremona. Guido da Velate partecipò al giudizio seduto alla destra dell’imperatore e circondato da una serie di vescovi suffraganei (Ambrogio di Bergamo, Gregorio di Vercelli, Pietro di Tortona, Girelmo d’Asti, Cadalo di Parma e anche, sebbene dipendesse dalla sede di Aquilea, Bennone di Como). Oltre agli ecclesiastici vi furono giudici e cittadini rilevanti di Milano: Diplomata Heinrici III, n. 318, pp. 435-437; cfr. VIOLANTE, La Pataria, p. 132.

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anni: l’assenza di istituzioni formali. Tale dato è ricavato da un confronto tra le testimonianze di questo periodo (Arnolfo, Landolfo Seniore, Andrea da Strumi) e le informazioni ricavate sia dal cronista successivo, Landolfo Iuniore, sia dalle descrizioni dei periodi precedenti nelle medesime opere. Agli inizi del XII secolo, lo Iuniore delinea una serie di soggetti (consciliarii, consoli, concio, commune consilio) ormai formalizzati; allo stesso modo, nel periodo precedente al 1056, i cronisti tratteggiano l’azione delle istituzioni del Regno46. Il

racconto degli anni centrali dell’XI secolo propone, invece, una realtà senza soggetti politici formali, con tassi di violenza e negoziazione così elevati da non permettere a nessuna autorità di egemonizzare lo spazio cittadino per lungo tempo: inoltre, la mancata gerarchizzazione tra i soggetti non ci consente una lettura sistemica della configurazione urbana.

Le ragioni di tale realtà si possono collegare alla disarticolazione tra aspetti istituzionali e pensiero politico: la delegittimazione e la dissoluzione della struttura del Regno non fu accompagnata, immediatamente, dalla ricerca di una soluzione alternativa a quella pubblica. La conseguenza fu un “cortocircuito” nel quale le antiche istituzioni avrebbero costituito ancora il quadro mentale di riferimento, sebbene queste non avessero più l’autorità precedente. Non si può quindi ancora parlare della città come “laboratorio politico” poiché non vi sarebbe, almeno fino alla fine degli anni Sessanta, la ricerca di soluzione alternative agli assetti di potere tradizionali.

Eppure, l’arcivescovo, il principale soggetto pubblico milanese, sopravvisse al 1056. Molto spesso negli anni successivi, però, egli non fu al centro del sistema politico. Infatti, nello scontro tra la Pataria e i suoi avversari, il presule è presente il più volte in secondo piano47: l’iniziativa politica contro Arialdo non fu in mano a Guido da Velate e gli interventi

furono coordinati dal clero ordinario e dalla loro rete sociale. Per esempio, dopo gli scontri seguiti al concilio di Fontaneto nel 1057, l’arcivescovo non ci appare al comando della coniuratio antipatarina, la cui leadership appartenne a Guido da Landriano «mori quasi

46 In particolare, Arnolfo, più attento a descriverci il periodo precedente ad Ariberto, introduce tutta una

serie di soggetti, primo fra tutti l’imperatore: infatti, vengono citati gli interventi in città di Ugo di Provenza (lib. I, capp. 1-3, pp. 60-62), Ottone I (lib. I, capp. 5-7, pp. 62-66), Enrico II (lib. I, capp. 15-20, pp. 74-80).

47 In Arnolfo, Guido da Velate non appare mai come il leader del gruppo opposto e la contestazione dei

Patarini al suo episcopato si radicalizzò solo dopo la loro scomunica al concilio di Fontaneto del 1059; Landolfo Seniore fu ancora più esplicito quando afferma che la prima predicazione dei Patarini vide l’arcivescovo Guido neutrale verso i loro confronti. LANDOLFO SENIORE, lib. III, cap. 5, p. 77: «Quae omnia Guidonem archiepiscopum minime latuerunt»; lib. III, cap. 16, p. 84: «Ea tempestate Guido archiepiscopus, quem supra commemoravi, Mediolanensis ecclesiae summo cum dedecore cathedram regebat. Qui dum imprimis clandestinam tem pestatem sacerdotum, culmine sui honoris fretus, parvipendens adiuvare eos distulit, post modum proximo in tempore consacerdotum omissis adminiculis, nec illis subvenire potuit, nec se adiuvare sataguit». Fin da subito l’opposizione fu in mano agli ordinari della cattedrale; ARNOLFO, lib. III, cap. 10, p. 112: «Ad cuius conpescendam temeritatem maiores ecclesie sepe conveniunt, sacrs illi scripturas et sanctiones opponentes canonicas».

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parati ut de tanto dedecore»48; la medesima situazione si ebbe nel 106649. L’arcivescovo

ebbe singoli momenti di appoggio generale della cittadinanza, come dopo la legazione di Pier Damiani nel 1059, ma per brevi periodi50. Gotofredo e Attone, i suoi diretti successori,

segnarono un ulteriore diminuzione del potere arcivescovile, poiché non riuscirono mai ad affermarsi in città e vissero la maggior parte del loro episcopato fuori da Milano.

Alcuni storici hanno evidenziato un protagonismo sempre maggiore delle assemblee cittadine, come luogo del dibattito e riferimento istituzionale della cittadinanza nel momento della disgregazione51. Seppur non ancora formalizzate, le assise generali sarebbero state

convocate nei momenti critici per risolvere questioni di rilevanza cittadina. Eppure, già Christoph Dartmann ha dimostrato come queste assemblee non fossero luoghi di dibattito ma servissero ai poteri cittadini per legittimarsi e mostrare la propria autorità nel panorama urbano.52

Assise generali, inoltre, non comuni nella documentazione. Solo Landolfo Seniore fa riferimento a un consiglio generale dei cittadini ma ne evidenzia, allo stesso momento, la natura fazionale: dopo il sinodo di Fontaneto, i capi della Pataria convocarono un consiglio cittadino per poter rispondere alla scomunica comminatagli dai vescovi lombardi. Invero, Landolfo chiarisce come la convocazione fosse avvenuta grazie alla «populi turba maxima

48 Sul concilio di Fontaneto vedi Fontaneto. Una storia millenaria: monastero, concilio metropolitico,

residenza viscontea, Novara 2009 in particolare A. LUCIONI, Gli altri protagonisti del sinodo di Fontaneto: i patarini milanesi, pp. 279-314. Le violenze successive al concilio di Fontenato sono riportate in LANDOLFO

SENIORE, lib. III, cap. 18, p. 86.

49 ARNOLFO, lib. III, cap. 18, pp. 124-126. Per un approfondimento sui fatti del 1066 vedi

DARTMANN, Politische interaktion, pp. 84-85; ZUMHAGEN, Religiöse Konflikte, p. 87. Si riporta la descrizione in ARNOLFO, lib. III, c. 18, pp. 124-126: «Definito tandem conscilio rediens, excommunicationis litteras detulit archiepiscopo. Quod a pluribus grande visum est civitatis obprobrium. Unde factum est ut in die sancto Pentecosten procedens antistes ad publicum conscenderet ecclesie pulpitum, questurus quod acciderat incomodum. Cumque staret ex adverso Arlembaldus cum Arialdo, responsurus auditis, fit vehemens in plebe tumultus, diversis diversa clamantibus. Ad ultimum factis in medio ecclesie partibus, clamoso impetu vicissim in sese consurgunt, cumque per diversa confligerent, remansit pene solus antistes. Quem pars aggregiens inimica, fustibus crudeliter cesum et quasi semivivum reliquit. Deinde ipsam invadens episcopii aulam, preciosa queque decerpit. In crastinum visa tanta crudelitate cives horrescunt mente confusi. Communiter igitur statuunt, aut tantum punire facinus, aut vivere nolle amplius»

50 Un’analisi dettagliata della vicenda in DARTMANN, Politische interaktion, pp. 44-58. Lo studioso

tedesco specifica che l’interazione tra Pier Damiani e gli attori milanesi non si fosse costruita in uno spazio politico formalizzato e le competenze di soggetti interessati al processo non furono determinate in anticipo; tutto venne vagliato in una perenne negoziazione tra le parti. La procedura utilizzata era stata, probabilmente, concordata precedentemente tra il legato papale e Guido da Velate in modo tale da affermare il potere del vescovo e assicurare l’esecuzione delle richieste romane. La relazione reciproca tra le forze in campo avvenne solo quando tutte le competenze furono chiarite: la violenta protesta della cittadinanza per la questione dei posti a sedere (Pier Damiani aveva occupato il posto principale che, secondo le tradizioni ambrosiani, spettava all’arcivescovo) servì proprio come incentivo a chiarire quel punto che, evidentemente, non era stato trattato in precedenza. Il risultato della legazione a Milano si sarebbe basato, però, su un precario equilibrio e per questo motivo ebbe vita breve: la decisione di Pier Damiani non avrebbe generato una maggiore certezza nella regolamentazione istituzionale.

51 Per i riferimenti storiografici riguardo il rapporto tra assemblee e primo periodo di autogoverno

rimando al capitolo 2°, p. 116.

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freti ac magna moltitudine conducta», dove turba è sinonimo di coniuratio53. Inoltre, fa

riferimento a una parte della popolazione non presente alla riunione54.

La vicenda del 1066, invece, attesta come le assise fossero, allo stesso tempo, sede di dibattito e luogo di esibizione della propria autorità55: la posizione ai due estremi

dell’emiciclo di Arnolfo e Guido da Velate, la divisione della folla in due e l’utilizzo del termine pars per identificare i due gruppi, rimandano a un’occasione di scontro tra coalizioni opposte più che a un organo decisionale indipendente. I tentativi di pacificazione, infatti, non furono mai iniziativa dell’assemblea ma di singoli attori politici, i quali utilizzarono il giuramento, unico mezzo di vincolo politico in quel sistema, per rafforzare la propria posizione. Il phytacium de castitate servanda del 1057 fu un’iniziativa dei capi della Pataria, mentre la pacificazione del 1059, dell’ambasceria di Pier Damiani e di Anselmo da Baggio56;

entrambe le iniziative furono negoziate precedentemente in luoghi differenti dall’assemblea. La pluralità delle fonti di potere e la fluidità degli assetti e delle gerarchie politiche, oltre che l’assenza di una struttura istituzionale legittimità, portarono all’affermazione delle coniurationes57. Sarebbe inutile analizzare, caso per caso, i molteplici interventi di questi

gruppi, poiché il successo di questa unità politica fu proprio la capacità di continua

53 Il parallelo tra il termine turba e coniuratio è ripreso dallo studio di Alfredo Lucioni in riferimento

alla turba connexionis Nazarii: vedi LUCIONI, Anselmo IV, pp. 99-101.

54 LANDOLFO SENIORE, lib. III, cap. 18, p. 86. La ricostruzione del passo presenta una parte della

popolazione non riunita nel teatro. Questi avrebbero aspettato l’evolversi della vicenda, probabilmente vicino al palazzo arcivescovile. Fu proprio questa parte della popolazione che Guido da Landriano avrebbe concionato.

55 ARNOLFO, lib. III, cap. 18, p. 126.

56 ARNOLFO, lib. III, cap. 10, p. 114: «Deinde providet callide scribi pytacium de castitate servanda,

neglecto canone mundanis extortum a legibus, in quo omnes sacri ordines Ambrosiane dyocesis inviti subscribunt, angariante ipso cum laycis». Per un appronfondimento vedi VIOLANTE, La Pataria, p. 184; ID.,

I laici nel movimento patarino, p. 175; ALZATI, Tradizione e disciplina apostolica, p. 183; ID., I motivi ideali della polemica antipatarina: matrimonio, ministero e comunione ecclesiale secondo la tradizione ambrosiana nella Historia di Landolfo Seniore in Nobiltà e chiesa del medioevo e altri saggi. Scritti in onore di Gerd G. Tellenbach, Roma 1993, pp. 199-222, p. 216. Secondo Keller è la prima testimonianza di un editto in cui sono

contenute punizioni per coloro che avessero rotto il giuramento comune e tradito la pace cittadina: KELLER,

Die soziale, pp. 58-61; ID., Pataria, 339-340.

57 Il riferimento immediato quando si parla di coniuratio per Milano è quello della Pataria.

Effettivamente il gruppo fondato da Arialdo ed Erlembaldo rappresentò uno dei soggetti più attivi in ambito urbano tra gli anni Cinquanta e Settanta del XI secolo. I primi segni della Pataria sono testimoniati nel 1056, lo stesso anno della morte di Enrico III, evidenziando ancora di più il legame tra l’affermazione delle coniuratio e la dissoluzione dell’apparato pubblico. Nel testo si fa riferimento solo alla componente politica del movimento e non si introdurrà nessun cenno al lato religioso. I riferimenti bibliografici riguardo la Pataria sono molteplici e si riportano quindi solo quelli fondamentali: VIOLANTE, La Pataria; G. MICCOLI, Per la storia

della Pataria milanese in Chiesa gregoriana. Ricerche sulla Riforma del secolo XI, Roma 1999, pp. 127-212

(ed. or. «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo e Archivio muratoriano», 70 (1958), pp. 43- 123); VIOLANTE, I laici nel movimento patarino; H.E.J. COWDREY, The Papacy, the Patarenes and the

Church of Milan, «Transactions of the Royal Historical Society», 18 (1968), pp. 25-48 H. KELLER, Pataria und Stadtverfassung; G. CRACCO, Pataria: «opus» e «nomen» (tra autorità e verità) «Rivista di storia della

Chiesa in Italia», 28 (1974), pp. 357-387; C. ALZATI, Tradizione e disciplina ecclesiastica nel dibattito tra

ambrosiani e patarini a Milano nell’età di Gregorio VII in Ambrosiana ecclesia, 187-206; K. SCHULZ, «Poiché tanto amano la libertà», pp. 32-56; ZUMHAGEN, Religiose Konflikte, pp. 26-128.

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rinegoziazione dei propri spazi d’azione. Si possono, però, elencare alcuni tratti comuni di tutte le coniurationes cittadine: il primo fu il giuramento interpersonale come fondamento dell’identità di gruppo58; tali promesse dovevano avvenire in pubblico come quelle

dell’ecclesiastico Landolfo e del monetiere Rozo, che Andrea da Strumi pone come momento fondativo della Pataria59.

Il secondo fu la provenienza dei leader dagli strati aristocratici: la Pataria ebbe Anselmo da Baggio e Landolfo Cotta, gli avversari il già nominato Guido da Landriano. Una leadership strutturata non solo sulla rete di relazioni dell’élite, utile al rafforzamento del gruppo, ma, anche, sulle loro capacità oratorie60. Quest’arte era fondamentale in un mondo

in cui le interazioni erano ancora prettamente orali: un discorso efficace poteva animare la folla più facilmente di un documento scritto, come testimoniate dalla genesi degli scontri del 1066.

Il terzo fu la politica strutturata in due momenti ben precisi: uno di natura privata e uno pubblica. Le direttive generali venivano discusse in riunione segrete, a cui partecipavano solo i membri più importanti del gruppo61, dalle quali scaturirono le iniziative pubbliche utili

58 Per il valore del giuramento nelle dinamiche politiche dell’Occidente cristiano: P. PRODI, Il

sacramento del potere: il giuramento politico nella storia costituzione dell’Occidente. In riferimento alle realtà

cittadine della metà dell’XI secolo: DILCHER, Die Entstehung, pp. 142-158; H. KELLER, Die soziale und

politische; H. KELLER, La società comunale. Convivenza civile tra ispirazione religiosa e sperimentazioni istituzionali in L’età medievale, Torino 1992, pp. 275-290; DARTMANN, Politische interkation, pp. 37-38,

59-63, 85-86.

59 ANDREA DA STRUMI, capp. 5-6, pp. 66-70: «Factum est autem, dum agerentur haec, de medio

multitudinis surgens quidam clericus nomine Landulfus, de urbanis excellentibus tam ordine quam natione, nimis potens in voce et sermone, silentium petiit. Quo concesso, huiusmodi laetiferam vocem prompsit […] Denique post haec quidam laicus surrexit alisu, nomine Nazarius, officio monetarius, cuius vita vlade erat ab omnibus laudabilis, licet coniugalis. Qui silentium petiit; quo accepto, coram omnibus tale responsum dedit […]».

60 Un esempio dell’importanza dell’oratoria è la vicinanza di Anselmo da Baggio alla prima

predicazione di Arialdo. Il chierico varesino, infatti, non era un ottimo oratore, invece viene sottolineata come l’ordinario avesse un’ottima capacità di parola.

61 Un esempio di questa dinamica avvenne nelle trattative per l’episcopato tra Guido da Velate e

Gotofredo da Castiglione: l’arcivescovo riunì i suoi sostenitori «secreta igitur facta conventione» e in quella riunione si sarebbero conclusi i negoziati con Gotofredo. Solo in un secondo momento avvenne l’atto pubblico, cioè l’invio all’imperatore dell’anello e del baculum, testimonianza pubblica dell’abbandono dell’episcopato: ARNOLFO, lib. III, cap. 20, p. 131: «Secreta igitur facta conventione cum eo presul, datis communis pacti ex alterutro sacramentis, dignitatem deponit ad presens, virga cum anulo cesari per legatos directa. Gotefredus autem cum iam pridem labore multo sibi regis conciliasset affectum, recenti tament pacto ab eodem augusto

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