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Il peso dell’arcivescovato tra Robaldo (1135-1145) e Oberto da Pirovano (1146-1166)

La formalizzazione dello spazio politico urbano: i capitanei e le istituzioni milanes

2.2 Consoli e arcivescovo nel sistema politico tra gli anni Quaranta e Cinquanta del XII secolo

2.2.5 Il peso dell’arcivescovato tra Robaldo (1135-1145) e Oberto da Pirovano (1146-1166)

Il documento del 1143 testimonia come l’arcivescovo fosse ancora al centro del sistema politico; dopo il 1138, oltre alla serie continua dei documenti consolari, si attesta una moltiplicazione della produzione arcivescovile. Questi elementi dimostrano una perdurante centralità dell’arcivescovo non solo in ambito cittadino, ma anche nel quadro diocesano e metropolitico; più difficile, sempre per la mancanza di una ricostruzione cronachistica, conoscere le relazioni tra il presule e le coalizioni d’interesse. Gli atti sono fondamentali per ricostruire le vicende dei due arcivescovi pre-Barbarossa: Robaldo e

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Oberto da Pirovano172. Entrambi tentarono di risolvere gli attriti costituitesi nel territorio tra

le forze locali e le autorità di natura urbana e affermare il ruolo del presule milanese come giudice d’appello nelle diatribe di carattere ecclesiastico nella propria arcidiocesi173. I

risultati furono differenti: Robaldo ebbe brevi momenti di affermazione, soprattutto sull’onda dell’appoggio generale dopo la cacciata di Anselmo V nel 1135, ma i rapporti con la cittadinanza peggiorarono durante i primi anni Quaranta; Oberto divenne presule in un momento di difficoltà per l’arcivescovato ma riuscì, in poco più di un decennio, a riaffermare il presule come figura garante della concordia cittadina e a rafforzare la sua posizione come vertice del sistema cittadino. Le due storie presentano similitudini nelle politiche perseguite ma una sostanziale differenza nei risultati. Le motivazioni sarebbero da ricercare, ancora una volta, nell’identità familiare: infatti Robaldo, probabilmente, non era neanche milanese, mentre Oberto proveniva da una famiglia di recente urbanizzazione ma già affermatasi nelle reti sociali arcivescovili.

Robaldo, nominato vescovo di Alba nel 1125, fu uno dei maggiori collaboratori dell’arcivescovo milanese174. Non sappiamo quando egli divenne un fautore della pars

Lotharii ma, nei primi anni Trenta del XII secolo, fu considerato un ottimo candidato per sostituire Anselmo V; la partecipazione alla legazione presso il concilio di Pisa e alle operazioni imperiali contro Cremona nel 1136 sono una conferma della fedeltà di Robaldo a Innocenzo II e Lotario175. L’entusiasmo per la scelta del nuovo presule non sarebbe durato

molto. I primi dissidi con la cittadinanza si ebbero intorno alla questione del pallio: Robaldo avrebbe dovuto accettare di sottostare alla prassi affermatesi in quegli anni, cioè la consegna del pallio a Roma dalle mani del pontefice, e non a quella consuetudinaria, cioè l’invio del pallio a Milano attraverso un legato; tuttavia, tale normativa era considerata parte dell’honor ambrosiano176. Non solo la conferma del privilegio milanese sarebbe stata in contrasto con

quella politica di primato condotta da Innocenzo II ma il pontefice avrebbe avallato così un’operazione compiuta dal proprio rivale: infatti, nel 1130 Anacleto II aveva inviato il

172 Per le note bibliografiche su questi due arcivescovi vedi capitolo 1°, p. 57.

173 AMBROSIONI, Oberto da Pirovano, pp. 39-51.

174 Per le ipotesi sul luogo di nascita di Robaldo vedi A. POGGI, Un’ipotesi sull’origine di R. vescovo di

Alba e arcivescovo di Milano, in Annali della Facoltà di scienze politiche. Univ. degli Studi di Genova, VIII-

X (1980-1982), pp. 155-179. Robaldo fu collaboratore di Anselmo V come ci testimonia la vicenda romana del 1127 in cui l’arcivescovo milanese, non sapendo come rispondere alle richieste papali, chiese aiuto proprio al vescovo di Alba.

175 LANDOLFO IUNIORE, cap. 60, p. 46: «Interim Innocentius papa Pisis sinodum celebravit, in qua,

Ribaldo episcopo Albanense representante, Tebaldus de Landriano archipresbiter ecclesie Mediolanensis, Amizo de la Sala archidiaconus, Anselmus de Rode levita ordinarius et allii plures eiusdem ecclesie ordinarii, Innocentio pape fidelitatem juraverunt»; cap. 68, p. 58: «Verumtamen Mediolanensis exercitus Cremonensibus nec eorum episcopo pepercit».

176 Sulla questione del pallio e i rapporti con l’honor civitatis vedi ZERBI, La Chiesa ambrosiana, pp.

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pallio ad Anselmo V per ingraziarsi il presule milanese177. A Milano, però, la vittoria della

pars Lotharii non si era ancora consolidata e una violazione alle prerogative della città avrebbe potuto ribaltare, di nuovo, la posizione degli schieramenti. Il precario status di Robaldo è attestato dai suoi rapporti con Bernardo da Chiaravalle: nel 1136 il cistercense fu uno dei suoi grandi elettori, rifiutando, durante una visita in città, la proposta dei cittadini di nominarlo arcivescovo e dirottandoli su Robaldo; tuttavia, poco tempo dopo, Bernardo, in uno scambio epistolare con il pontefice, cercò di giustificare le posizioni della chiesa milanese, evidentemente tornata a essere prudente verso l’autorità romana178.

La morte di Anacleto II favorì il consolidarsi della posizione di Robaldo; egli avrebbe, comunque, continuato a favorire quei gruppi che gli erano stati fedeli fin dalla prima ora, come i cistercensi179. L’arcivescovo cercò di ristabilire la struttura ecclesiastica

nella diocesi milanesi affermando la centralità del presule: tale politica è testimoniata dalle sentenze riguardo le pievi di Seveso, Varese e Appiano e dalla costruzione di un nuovo edificio religioso in Val Travaglia, località dominata da uno dei castelli arcivescovili180.

Ugualmente, egli fu attivo nei riguardi dell’arcidiocesi come testimoniano le sentenze riguardo conflitti nella diocesi di Lodi e di Bergamo181. Poco conosciamo, invece, dei suoi

rapporti con la città prima degli eventi del 1143-1144: in questo contenzioso, Robaldo, dopo un iniziale appoggio all’iniziativa, tenne un atteggiamento volto a una posizione intermedia,

177 LANDOLFO IUNIORE, cap. 56, p. 45: «Honorio defuncto, Anacretus, papa Romanorum secundus,

huic Mediolanensi stolam per duos ydoneos nuntios, videlicet Johanem Palistine episcopum et Beltramum subdiaconum Romanorum, mandavit. Quam stolam ipse Anselmus pontifex, clero et populo Mediolanensi circumstante et colaudante Anacletum papam eiusque legatos et legationem, reverenter suscepit. Pars vero sibi adversa inde magis detrahere cepit. At plenitudo cleri; et populi ad eum concurebat, timorem quoque et reverentiam regi Curado et pape Anacreto ex dilectione portabat».

178 ZERBI, I rapporti di S. Bernardo, pp. 83-94.

179 Il favore ricadde soprattutto sul monastero di Morimondo: E. OCCHIPINTI, Il monastero di

Morimondo; Morimondo, I, pp. 114-121.

180 Per Seveso: Litterae pontificiae Meda, appendice, n. 3, pp. 93-104; C. VIOLANTE, Pievi e parrocchie

dalla fine del X all’inizio del XIII secolo in Le istituzioni ecclesiastiche della Societas Christiana dei secoli XI- XII. Diocesi, pievi e parrocchie, Milano 1977, pp. 643-799; G. ANDENNA, Aspetti e problemi dell’organizzazione pievana milanese nella prima età comunale in Milano e il suo territorio, Spoleto 1989,

vol. I, pp. 341-373, p. 367; VAZZOLER-ROSSI, Seveso in Dizionario della Chiesa Ambrosiana, Milano 1993, vol. VI, pp. 3417-3422, p. 3418. Per Varese: Pergamene milanesi, IX, n. 58, pp. 94-96; R. PERELLI CIPPO,

Ricerche sul borgo di Velatee sul santuario di S. Maria del Monte in età medioevale, «Nuova rivista storica»,

56 (1972), pp. 642-674, pp. 654-656; G. SCARAZZINI, La pieve di Varese. Le antiche origini della

“Perinsigne Basilica di San Vittore”, chiesa plebana di Varese e l’importanza nei secoli del capitolo dei suoi canonici in Varese, vicende e protagonisti, I, Bologna 1977, pp. 75-85, p. 78; Per Appiano: Pergamene milanesi, XV, n. 25, pp. 46-50; G. PICASSO, L’origine della canonica di S. Bartolomeo al Bosco, «Ricerche

storiche sulla Chiesa Ambrosiana», 6 (1979), pp. 29-39, p. 36. Sulla Val Travaglia: FRIGERIO–MAZZA– PISONI, Domo antica sede plebana e il suo battistero, «Rivista della Società storica varesina», 12 (1975), pp. 85-121, pp. 120-121.

181 Su Lodi: Lodi, n. 42 (gennaio 1140); n. 46 (dicembre 1143); S. Pietro in Cerreto, n. 39 (1143-1144).

Su Bergamo: M. LUPO, Codex diplomaticus civitatis et ecclesiae Bergomatis, Bergamo 1799, coll. 1029-1032, 1085.

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peggiorando i rapporti con l’ambito cittadino182. Solo con il 1144 l’arcivescovo si schierò

definitivamente con la sede romana e quindi con i canonici ambrosiani; la presa di posizione è testimoniata prima dalla sentenza emessa con i suffraganei a Novara e successivamente con il diploma redatto nel palazzo di Lecco183. La lunga indecisione favorì l’ascesa dello

schieramento favorevole al monastero ambrosiano ed ebbe come conseguenza l’esilio dello stesso arcivescovo; è possibile, anche, che la presa di posizione definitiva di Robaldo sia stata una risposta all’esilio imposto dal nuovo regime. Ancora una volta, come nel 1127, l’arcivescovo dovette mediare con la coalizione opposta per ritornare in città. L’ultimo atto di Robaldo dimostra la sua posizione alla fine della vicenda: nell’ottobre 1144, nel palazzo arcivescovile di Milano, concesse un diploma al monastero di S. Ambrogio contenente, più o meno, le prerogative concesse dall’atto del 1143184. Il fatto che questo documento e quello

firmato nel castello di Lecco furono gli unici due atti concessi a soggetti urbani in tutto il suo episcopato, prova la sua limitata autorità nel mondo cittadino, soprattutto a confronto di quella del suo successore Oberto da Pirovano.

Sin dai primi mesi il nuovo arcivescovo diede un carattere più incisivo alla propria azione politica. Affrontò immediatamente il problema dei monasteri, non limitandosi a quello ambrosiano. Oberto fu saldo nelle proprie decisioni, senza più le titubanze del predecessore, favorendo le comunità monastiche: concesse tre privilegi ad altrettanti importanti cenobi maschili della città; a S. Dionigi nell’ottobre 1146, a S. Simpliciano nel gennaio 1147 e a S. Ambrogio il 2 aprile 1148185. Tutti e tre i documenti rafforzarono la

posizione dei cenobi, consolidando il loro ruolo nella struttura ecclesiastica cittadina186. Il

primo di questi documenti è importante, anche, su un piano più generale perché presenta il programma politico di Oberto: le sottoscrizioni furono collocate secondo uno schema ben preciso volto ad evidenziare l’appoggio totale da parte della civitas ambrosiana alle volontà

182 L’atteggiamento titubante di Robaldo è testimoniato dalla corrispondenza con il cardinale Goizone, il

primo legato pontificio inviato per risolvere la questione. Goizone era di origine milanese poiché parente di Malastreva Burri ed è quindi probabile che conoscesse l’origine della questione. Robaldo, nelle sue lettere, mette in guardia il legato dalle manovre del monastero ma, dall’altra parte, non fa nulla per favorire l’operatore del cardinale; lo stesso comportamento di Goizone pone molto dubbi poiché non riuscì mai a emettere una sentenza sulla questione. L’obiettivo di entrambi pare essere quello di rinviare la questione a Roma; una prova di questo fu l’immediata posizione presa dai due successori di Goizone, i quali obbligarono immediatamente Robaldo ad assumere un preciso atteggiamento. La posizione intermedia dell’arcivescovo è testimoniata, inoltre, dall’assenza di qualsiasi documento con il quale faccia refuta delle decisioni prese nel documento del 1143, al contrario di quello che fece, quasi subito, Olrico da Corte nel 1123. Per la ricostruzione dell’intera vicenda vedi P. ZERBI, Una lettera inedita di Martino Corbo.

183 ASA, sec. XII, n. 68 (settembre 1144).

184 PURICELLI, Ambrosianae Mediolani, n. 693.

185 AMBROSIONI, Oberto da Pirovano, pp. 39-44. Per S. Dionigi: Pergamene milanesi, XII, n. 2, pp.

30-34; per S. Simpliciano: Pergamene milanesi, VIII, n. 4, pp. 68-70; per S. Ambrogio: S. Ambrogio, III/1, n. 56.

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del proprio presule. Divisi in tre colonne, firmarono i maggiori ordini cittadini: sulla colonna di sinistra gli ordinari della cattedrale, su quella centrale i decumani e i cappellani, su quella destra i collaboratori diretti dell’arcivescovo, gli abati e i suffraganei. Tuttavia, non si ebbe solo l’appoggio della struttura ecclesiastica. Oberto volle evidenziare il coinvolgimento dell’istituzione consolare nella propria nuova politica: perciò sottoscrissero anche Azzone Cicerano, Robasacco, Oberto dell’Orto e Gerardo Cagapisto, alcuni dei più importanti giudici cittadini e tra i maggiori rappresentanti del consolato degli anni Quaranta e Cinquanta187. Come abbiamo già visto nel caso di Arialdo da Baggio, le due istituzioni non

furono compartimenti stagni ma interagirono tra di loro, in particolare quando gli obiettivi dei due enti erano comuni.

L’immagine era quella di uno spazio politico riunito intorno alle decisioni del proprio arcivescovo. La struttura di questo diploma e, più in generale, l’agire di Oberto da Pirovano ripresero le politiche di “compromesso e consenso” di Anselmo IV e Giordano da Clivio: una pacificazione della realtà cittadina condotta con una concordia tra le parti, promossa attraverso soluzioni di accomodamento. La vicinanza alla politica del da Bovisio è testimoniata dalla ricomparsa di arenghe introduttive incentrate sul ruolo dell’arcivescovo come pacificatore delle diatribe urbano188. La giurisdizione arcivescovile e consolare, in

questi anni, si affermò come giustizia di compromesso189. Gli obiettivi di Oberto furono

evidenti nella controversia più comune che egli dovette risolvere: le liti per la gestione delle chiese cittadine tra i vicini e gli enti ecclesiastici. Oberto favorì il consolidarsi della struttura ecclesiastica, affermando il primato degli enti monastici e canonicali in coerenza con i dettami del I e II concilio lateranense, ma in alcuni casi cercò un compromesso tra i soggetti in causa, come nella controversia sulla chiesa di S. Fedele del luglio 1149190. Il complesso

sistema di elezione del sacerdote aveva il compito di salvaguardare formalmente il primato dei vicini, pur delegando la nomina alla volontà dell’abate di S. Dionigi. Oberto da Pirovano tentò di conciliare le diverse anime cittadine per legittimare la propria posizione sul piano sovralocale: rinsaldò i legami con i suffraganei, difendendone le prerogative considerate parte dell’honor milanese, ma rimase fedele alleato dei pontefici, in particolare Eugenio III e Adriano IV, grazie ai buoni rapporti con il cardinale, di origine milanese, Guido da Somma, più volte legato pontificio in Italia settentrionale. Nel concilio di Cremona del 1148 difese

187 Per gli anni di consolato dei personaggi citati vedi tabella 8; in generale WICKHAM, Sonnambuli

verso un nuovo mondo, pp. 55-61.

188 AMBROSIONI, Oberto da Pirovano, pp. 51-52.

189 La giustizia dei consoli fu ugualmente di compromesso: PADOA SCHIOPPA, Aspetti della giustizia

milanese, pp. 548-549.

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strenuamente, davanti al pontefice, le prerogative milanese dopo l’ennesimo attacco condotto dall’arcivescovo di Ravenna; i buoni rapporti con Eugenio III sono testimoniati dal tentativo di restituzione della diocesi di Genova sottratta da Innocenzo II nel 1133191. Questo

primato cittadino, acquisito sia dentro che fuori dalla città, permise a Oberto di essere al vertice di Milano quando nel 1154 un nuovo ed energico imperatore entrò per la prima volta in Italia.

La ricostruzione delle vicende dei due presuli dimostra come l’autorità dell’arcivescovo derivasse dalle interazioni con il resto delle forze del sistema e dalle capacità personali del presule. Per questo l’operato di Oberto venne favorito dall’appartenenza a un gruppo familiare già inserito nei quadri più alti delle relazioni politiche mentre Robaldo, pur ipotizzando una nascita milanese, non fece parte di una casata rilevante; ulteriore indizio di ciò è la mancata presenza in tutti i documenti del suo cognomen familiare. A metà del XII secolo, l’appartenenza alla koiné ambrosiana è ancora un tratto distintivo degli arcivescovi più forti sul piano politico.

2.2.6 Milano e il Regnum tra lo scisma anacletino e la prima discesa del

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