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I capitanei e il Barbarossa: la divisione tra città e territorio (1155-1185)

3.2 I capitanei rurali: la sfida alla città

3.2.3 L’influenza cittadina nelle istituzioni rural

Nel documento del 1170 già citato, certi testimoni di parte milanese affermarono che alcuni centri erano parte del comitato del Seprio poiché vari uomini di tali località ricoprirono la carica di console del Seprio dopo la distruzione di Como nel 112788. Questa è

la prima attestazione giunta fino a noi di un’autorità locale indipendente dal funzionario pubblico e dai rappresentanti milanesi e comaschi. La nascita di questa istituzione è da legare con i problemi organizzativi del territorio: la fine della guerra contro Como generò a un vuoto di potere che da una parte facilitò l’intervento di Milano e dall’altra portò alla creazione di un nuovo soggetto politico voluto dall’aristocrazia locale. La nascita di questo ente non fu favorita solo dalla guerra contro Como ma anche dalle difficoltà milanesi tra la fine degli anni Venti e la metà degli anni Trenta del XII secolo. A causa della scarsa documentazione non si può andare oltre queste poche congetture; l’unica altra informazione certa sul consolato è che fosse modellato su quello cittadino. La cultura politica dei vertici sepriesi non riuscì a creare qualcosa di alterativo alla configurazione politica che si stava consolidando nel mondo urbano. Questa scelta sarebbe da ricollegare a molteplici motivi tra cui la forza del sistema culturale milanese, la difficile creazione di un’identità rurale, il problema della legittimità dei nuovi organismi e la perdurante presenza di un soggetto di natura pubblica. Infatti, nel Seprio non si era estinta la famiglia comitale anche se il suo reale potere era praticamente nullo.

Il consolato rurale fu la risposta locale sia all’esautorarsi del potere pubblico sia all’indebolimento dell’autorità milanese degli anni Trenta del XII secolo: in questo vuoto di potere la risposta fu collegiale. Si può ipotizzare che l’élite politica avesse tentato di rispondere alle difficoltà, prendendo su di sé quelle prerogative prima appartenute ad altri; l’aspetto collegiale dell’istituzione corrisponderebbe, invece, al primo tentativo di costruzione di un concetto identitario, in particolare da parte degli strati superiori della società rurale. Infatti, i consoli del Seprio furono accomunati da una medesima origine

87 Il 24 settembre 1152 l’arciprete Landolfo di S. Maria di Velate pagò a Carnelevarius Ermenulfi,

cittadino di Milano, una parte di un debito di settanta lire che aveva con lo stesso Carnelevarius (S. Maria

Velate, I, n. 134, pp. 229-230); il 10 gennaio 1157 lo stesso Landolfo si fece prestare da Sporonus, membro

dell’entourage dell’arcivescovo Oberto, una somma di otto lire che sarebbero serviti per ripagare alcuni altri debiti che la chiesa di S. Maria di Velate aveva contratto (S. Maria Velate, I, n. 143, p. 246).

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aristocratica; l’unica citazione dei loro nomi, in un documento del 30 agosto 1148, presenta un’insieme di personaggi appartenente ai più alti livelli dei milites: Fusco de Bimio, Alberto de Cedrate, Ottone de Balassi, Arderico de Castilione, Loterio de Vellate, Rolando de Solbiate, Guido de Daverio89. Il modello urbano venne quindi declinato secondo

caratteristiche locali: in una società nella quale nessuna delle famiglie della milizia riuscì a emergere sulle altre, la struttura consolare fu la soluzione ottimale per conservare l’equità dei poteri tra queste casate.

L’autorità di questo organo è testimoniata dall’atteggiamento di collaborazione che i membri della famiglia comitale ebbero nei riguardi dei consoli rurali90. Tuttavia, un

probabile limite di questo soggetto fu la scarsa legittimazione che riuscì a costruire negli anni: si è conservato, infatti, un solo documento, quello citato del 1148, dell’azione giuridica dei consoli del Seprio. Al contrario, sono documentati cinque interventi da parte delle istituzioni cittadine91. Negli anni Cinquanta, con il formalizzarsi del regime cittadino,

Milano tornò a imporre il proprio volere sulla regione. L’autorità, derivata da fattori economici e dalla legittimità che le istituzioni cittadine avevano acquisito nel tempo, avrebbe posto in secondo piano il consolato locale; inoltre, tale organo politico, probabilmente, non era ben visto dalle autorità milanese poiché proprio lo strato superiore dei milites sarebbe stato al centro dell’atteggiamento antimilanese che esplose sotto il Barbarossa.

Non tutti, però, guardarono alla giustizia milanese con un atteggiamento ostile. Alcuni soggetti utilizzarono la politica cittadina, volta ad affermare il proprio potere a discapito degli organi locali, come freno alle autorità superiori: è il caso della comunità di Velate rispetto alla canonica di S. Maria. Infatti, il comune di Velate si appellò ai consoli milanesi in una vertenza contro l’arciprete della canonica su alcuni campi ritenuti comuni dagli abitanti, nei quali l’ente ecclesiastico non avrebbe potuto vantare alcun diritto, sebbene la popolazione fosse sottoposta al districtus della canonica92. Dall’altra parte, l’arciprete

difese l’utilizzo di questi beni e la possibilità di far pascolare il proprio bestiame su queste terre, senza l’autorizzazione dei villici e senza nessun risarcimento, poiché questi, e quindi

89 Pergamene milanesi, IX, n. 68, pp. 110-112; questo documento è stato analizzato in G. GARANCINI,

Il Manso di Mustunate e i consoli del Seprio (un giudizio alla Motta, nel 1148), in Calandari do ra famiglia bosina par or 2000, Varese 1999, pp. 278-283.

90 La collaborazione tra la famiglia comitale e il gruppo dei consoli rurali si può ipotizzare a partire dalla

prima sottoscrizione di Rodolfo de Castroseprio, membro probabilmente della dinastica comitale; questa collaborazione tra ente consolare e dinastica comitale sarebbe continuata anche dopo il ritorno del Seprio sotto l’influenza milanese.

91 S. Maria Velate, I, n. 114, pp. 195-197 (24 agosto 1145); n. 115, pp. 198-199 (18 ottobre 1145); n.

124, pp. 212-215 (19 maggio 1148); n. 126, pp. 216-218 (26 febbraio 1149); n. 137, pp. 233-237 (10 giugno 1153).

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tutte le loro terre, erano sottoposte all’autorità della chiesa. La questione era antica e molto complessa, con un ente ecclesiastico, in evidenti difficoltà economiche, che avrebbe tentato in ogni modo di riaffermare il proprio controllo su una realtà locale, la cui dinamicità era in contrasto con questa politica. Inoltre, alla guida di S. Maria di Velate vi era lo stesso Landolfo, membro dell’aristocrazia sepriese, protagonista, pochi anni dopo, della collaborazione con l’imperatore tedesco contro i milanesi. Non deve stupire, quindi, che il risultato del dibattimento sia differente dalla tradizionale politica seguita dai consoli in quel periodo93: se nella maggior parte dei casi, le istituzioni milanesi confermarono le antiche

tradizioni e diritti che gli enti ecclesiastici vantavano sulle popolazioni, in questo caso la decisione fu favorevole al comune di Velate. Questo tipo di politica da parte del regime milanese dovette esacerbare gli animi dell’aristocrazia del Seprio; l’esasperazione esplose, in tutta la sua forza, con l’arrivo del Barbarossa.

3.2.5 Un tentativo di opposizione ai tempi del Barbarossa: il caso di

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