La formalizzazione dello spazio politico urbano: i capitanei e le istituzioni milanes
2.2 Consoli e arcivescovo nel sistema politico tra gli anni Quaranta e Cinquanta del XII secolo
2.2.4 Un esempio delle trasformazioni istituzionali: le sentenze arbitrali sulle controversie della basilica di Sant’Ambrogio tra il 1123 e il
I mutamenti degli assetti politici milanesi nella prima parte del XII secolo sono ardui da ricostruire a causa della limitata quantità di fonti. Tuttavia, un dossier documentario costituito da due sentenze a cavallo del 1135 aiuta a evidenziare le differenze. I giudizi fanno
161 LANDOLFO IUNIORE, cap. 44, p. 39; cap. 59, p. 46: «Qui cum non inveniret quo declinaret,
paternam suam domum intravit. Factoque mane, die altera idem Anselmus coram humili sua plebe, in ecclesia sancti Ambrosii congregata, se presente jurare fecit camerarium suum, ne iste dominus suus effugeret juditium ipse suffraganeorum, et coram eis responderet Stephanus Guandeca, dicto presbitero, de hiis rebus quas sibi objecerat, remota causa regis Conradi».
162 Per le poche informazioni riguardanti l’insediamento familiare in città e le strutture private che
delimitarono le zone d’influenza di alcune casate vedi, sempre su dati del XIII secolo, GRILLO, Milano in età
139
riferimento alla controversia incentrata sui diritti relativi alla basilica di S. Ambrogio163. Gli
uffici sacri erano demandati a due ordini religiosi: probabilmente fin dalla sua fondazione vi officiarono un gruppo di sacerdoti appartenenti all’ordine dei decumani, ai quali si era affiancato un cenobio di monaci già dal VIII secolo164. Le due comunità non convissero mai
pacificamente poiché ognuna tentò di affermare il proprio primato sulla basilica e sulle cospicue rendite provenienti dalle celebrazioni, soprattutto quelle officiate all’altare maggiore. La lite interessò tutta una serie di prerogative volte ad accertare la preminenza sulla chiesa: un esempio è l’utilizzo, fino al 1128, dell’unico campanile, costruito dai monaci su cui i canonici avanzarono pretese, senza nulla in cambio. Le frizioni tra i due gruppi si accentuarono durante i lavori di rifacimento della basilica, avvenuti dopo gli incendi del 1070 e 1075 e durati più di un secolo, probabilmente per un cospicuo aumento delle offerte165. Per tutto l’XI secolo i vertici politici supportarono i canonici: il sinodo del 1098
sentenziò completamente a favore di questi ultimi166.
Il problema non fu risolto e nella prima metà del XII secolo furono emesse altre due sentenze riguardo alla diatriba, la prima volta nel 1123 e la seconda nel 1143167. Non voglio
analizzare i due giudizi in sé ma vedere come questi atti possano aiutarci a comprendere il cambiamento avvenuto negli anni Trenta. In entrambi i casi, il rinfocolare della controversia ebbe motivazioni politiche: una coalizione all’opposizione tentò di colpire il gruppo dominante emanando una sentenza che avrebbe alterato la concordia cittadina. Non è un caso che i parallelismi tra le due azioni siano evidenti: entrambi furono arbitrati al cui giudizio si appellarono ambedue i gruppi ecclesiastici, la sentenza auspicò un equilibrio tra i due poteri aumentando l’autorità del cenobio e scontentando i canonici, l’immediata opposizione si concentrò nei Capitoli cattedrali della città, cioè ordinari e decumani, e nella Curia romana.
163 Le tensioni tra i due ordini ecclesiastici caratterizzarono a lungo la storia milanese e sono già state
ben studiate da importanti studiosi proprio per la rilevanza della basilica nella comunità cittadina; per un quadro generale delle vicende medievali, soprattutto tra il XII e il XIII secolo, vedi ZERBI, La Chiesa Ambrosiana; A. AMBROSIONI, Controversie tra il monastero e la canonica di S. Ambrogio alla fine del secolo XII, «Accademia di scienze e lettere. Classe di Lettere e Scienze morali e Storiche», 105 (1971), pp. 643-680; EAD., Monaci e canonici all’ombra delle due torri in La basilica di S. Ambrogio: il tempio ininterrotto, Milano 1995, pp. 241-251; M. P. ALBERZIONI, Campane e vita cittadina. Le controversie non cessarono con la fine del Medioevo ma continuarono per tutta l’epoca moderna fino alla soppressione del monastero nel XVIII secolo: P. ZERBI, La controversia fra i monaci e i canonici di S. Ambrogio nella storiografia milanese dei
secoli XVII e XVIII in Tra Milano e Cluny, pp. 188-189.
164 A.AMBROSIONI, Per una storia del monastero di S. Ambrogio, «Ricerche storiche sulla Chiesa
ambrosiana», IX (1980), pp. 291-317.
165 AMBROSIONI, Gli arcivescovi di Milano e la nuova coscienze cittadina, pp. 205-218.
166 LUCIONI, Anselmo IV, pp. 155-162.
140
L’arbitrato del 1 settembre 1123 testimonia uno spazio politico ancora poco formalizzato. Gli arbitri furono sei personaggi in rappresentanza dei soggetti cittadini. Amizzone della Sala, arcidiacono, figura di spicco degli ordinari; Alberto primicerio dei notai, ordinario ma non capitaneo; Nazario Muricola, primicerio dei decumani e uno degli uomini più influenti dal punto di vista politico; Lanterio, preposito di S. Giorgio al Palazzo, anch’egli decumano; Olrico prete di S. Vittore al Teatro, cappellano e, infine, Giovanni Mantegazza, già console nel 1117, probabilmente uomo di fiducia dell’amministrazione arcivescovile168. Nessuna scelta fu casuale, neanche quella di Lanterio e Olrico: infatti, i due
erano sacerdoti di chiese collocate vicino a luoghi dal forte valore politico come il teatro e il palazzo imperiale. L’immagine di uno spazio politico cittadino riunito in questa decisione è confermata dalle sottoscrizioni e dalle testimonianze: dopo i sei arbitri troviamo la firma autografa di ben nove ordinari in rappresentanza dei tre ordini maggiori, i signa manuum di tutta una serie di personaggi della futura pars Chunradi e la sottoscrizione degli abati di altri cinque monasteri maschili, favorevoli a una decisione che avrebbe privilegiato le loro future richieste169. La sfida all’autorità dell’arcivescovo è confermata dalla presenza di dodici
iudices per corroborare l’atto; l’arbitrato avrebbe avuto valore in sé, anche senza la sottoscrizione del presule, ma le loro firme diedero pieno valore pubblico al documento. Tuttavia, tale quadro non incluse tutti i soggetti politici poiché nel documento presenziarono solo quelli favorevoli alla pars Chunradi. A sopperire alla mancanza vengono in aiuto altri due documenti del 1123 e del 1124 con i quali venne annullato l’arbitrato: parteciparono l’arcivescovo, i decumani, i prepositi cittadini ma anche una gran parte dei cappellani ecclesiastici170. In tutti i documenti non vennero nominati i consoli.
Il documento del giugno del 1143 attesta, invece, uno spazio più formalizzato e una precisa configurazione istituzionale171. La sentenza fu data in due momenti: in principio
l’abate e il preposito si presentarono nel consolato per poter chiedere un giudizio della magistratura sulla loro controversa; in quell’occasione, i consoli ascoltarono le posizioni di entrambe le parti. Il giorno successivo, i magistrati e gli entourage canonicale e monastico
168 Per un’analisi dei personaggi vedi ZERBI, La Chiesa Ambrosiana, pp. 137-140.
169 ZERBI, La Chiesa Ambrosiana, pp. 141-147.
170 ZERBI, Tra Milano e Cluny, pp. 223-227.
171 Le vicende intorno alla sentenza del 1143 ci sono note anche grazie a un importante epistolario
prodotto dal preposito di S. Ambrogio, Martino Corbo, attivo tra la metà degli anni Venti e la metà degli anni Quaranta. Su questo epistolario vedi P. ZERBI, Una lettera inedita di Martino Corbo. Note sulla vita
ecclesiastica di Milano nel 1143-1144 in Tra Milano e Cluny, pp. 231-256; PETOLETTI-TESSERA, Custos
thesaurorum Sancti Ambrosii. Le lettere del preposito Martino Corbo e i suoi corrispondenti in La
corrispondenza epistolare in Italia, Trieste 2013, volume II, pp. 201-238; M. PETOLETTI, Le lettere di Maritno Corbo. Ambrosiani saporis amicus: vicende politiche e filologia nella Milano del secolo XII in La memoria di Ambrogio di Milano, pp. 387-419. Inoltre, si veda anche A. AMBROSIONI, Martino Corbo in Milano, papato e impero in età medievale, pp. 201-212 (ed. or. «DBI», 28 (1983), pp. 770-774).
141
giunsero al palazzo episcopale e, in presenza dell’arcivescovo, l’abate e il preposito giurarono e firmarono una wadia con la quale accettarono la sentenza dei consoli sotto pena di una forte decurtazione monetaria. Nello stesso momento, Robaldo ordinò ai due ecclesiastici di sottoporsi al giudizio dei consoli. Questi, per giudicare, fecero riferimento diretto all’arbitrato del 1123 ed emisero una sentenza dello stesso valore. In questo giudizio non abbiamo una serie di soggetti informali ma solo le due istituzioni: i consoli ascoltarono, autonomamente, le posizioni dei due gruppi ma la sentenza fu emessa con il supporto dell’arcivescovo. In questo caso, a differenza del 1123, il presule intervenne chiaramente nel giudizio, motivo per il quale non servì un lungo elenco di giudici.
I due documenti evidenziano i cambiamenti all’interno degli assetti urbani tra il 1123 e il 1143: nel primo la volontà di colpire l’unica istituzione esistente, l’arcivescovo, obbligò la coalizione ad agire attraverso canali informali, cioè coinvolgendo tutti i soggetti di cui aveva il supporto. La volontà di coinvolgere tutte le autorità dello spazio politico lega tale documento alla più usuale modalità del communi consilio. Non ci deve stupire l’utilizzo di tale metodo poiché, come si è mostrato, era l’unica via che potesse vincolare tutti i cittadini a una determinata decisione. L’atto del 1143 evidenzia un’evoluzione degli assetti in favore di una maggiore istituzionalizzazione: consoli e arcivescovo – certamente insieme, non sappiamo se autonomamente – potevano emettere sentenze in quei casi che, fino a quel momento, erano demandati al communi consilio. Dall’altra parte, non bisogna enfatizzare questo cambiamento poiché la decisione di consoli e presule diede inizio a un periodo di tensioni cittadine, sopite solo dall’ascesa di un nuovo arcivescovo nel 1146. Sebbene i risultati dell’azione furono contestati, per la prima volta delle singole istituzioni ritennero di poter fare a meno di quelle modalità utili a rappresentare l’intero spazio politico in una delibera che avrebbe coinvolto l’intera cittadinanza.
2.2.5 Il peso dell’arcivescovato tra Robaldo (1135-1145) e Oberto da Pirovano