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l’origine dei capitanei urbani e rurali (1045-1111)

1.3 L’ascesa di un nuovo regime: le trasformazioni durante l’episcopato di Grossolano (1100-1111)

1.3.2 Le difficoltà di un presule “straniero”

Il limitato potere di Grossolano sarebbe causato dalla mancanza di quelle caratteristiche divenute fondamentali per interagire in modo ottimale con lo spazio cittadino. Si è più volte sostenuto e documentato come la capacità di un soggetto di intervenire nel panorama cittadino dipendesse dalla sua natura locale e come poteri extracittadini avessero difficoltà a imporsi sulla comunità urbana. Gli arcivescovi filoromani si erano assicurati il supporto della cittadinanza a partire dalle relazioni personali o familiari create con la stessa società milanese. Tuttavia, Grossolano proveniva non solo da fuori città ma aveva vissuto, fino a quel momento, al di fuori della diocesi milanese. A livello storiografico, è ormai accertato che egli sia da identificare con il preposito della canonica di S. Maria, SS. Pietro e Paolo e S. Nicola di Ferrania, nella diocesi di Savona190. Grossolano non nacque, quindi, in

nessuna delle famiglie aristocratiche cittadine e non poteva sfruttare nessuna rete sociale locale; inoltre, le sue origini estranee alla città avrebbero rafforzato la diffidenza della popolazione verso la sua politica. Senza una personale base di potere, Grossolano dovette affidarsi completamente alla coalizione che lo aveva scelto e supportato. La politica del savonese appare completamente appiattita sulle istanze della turba connexionis Nazarii, rendendo chiara la differenza con l’amministrazione del predecessore: Anselmo IV aveva tentato di conseguire il più ampio consenso possibile, con decisioni che rafforzassero l’equilibrio tra le coalizioni cittadine. Grossolano, invece, iniziò uno scontro con il gruppo di Liprando con lo scopo di sottometterlo o allontanarlo dalla città; tale politica esacerbò i rapporti tra le realtà cittadine causando l’indebolimento dell’autorità vescovile. Infatti, il presule non fu più un soggetto volto alla concordia cittadina, cioè un potere da considerare al di sopra delle lotte cittadine, ma fu parte attiva dello scontro.

La differenza tra le politiche dei due episcopati è evidente nelle decisioni emanate nella sinodo del 1098 rispetto a quelle prese nel marzo 1103, in particolare sul problema delle ordinazioni sacerdotali conseguite prima del 1088, quindi prima che Anselmo III ritornasse in comunione con Roma191. La sinodo voluta da Anselmo IV aveva assunto una

posizione di compromesso: da una parte si consideravano nulle tutte le ordinazioni effettuate

190 V. POLONIO, Canonici regolari, istituzioni e religiosità in Liguria (secoli XII-XIII) in Gli

Agostiniani a Genova e in Liguria tra medioevo ed età contemporanea, Genova 1994, pp. 19-57, p. 22; P.G.

EMBRIACO, Vescovi e signori. La Chiesa albenganese dal declino dell’autorità regia all’egemonia genovese

(secoli XI-XIII), Bordighera-Albenga 2004, p. 130; C. ANDENNA, Mortariensis Ecclesia. Una congregazione di canonici regolari in Italia settentrionale tra XI e XII secolo, Berlino 2007, p. 226. Fu una fondazione di

origine recente collegata con il marchese del Vasto, costituita con lo scopo di radicarsi in un’area dove forte era la presenza patrimoniale dell’episcopato di Savona: L. PROVERO, Dai marchesi del Vasto, pp. 44-48, 235-236.

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da Tedaldo da Landriano e dai suoi predecessori scomunicati, dall’altra per coloro che erano stati consacrati da Anselmo III prima del 1088 si rimandava ogni singolo caso al pontefice, in quegli anni il conciliante Urbano II. Invece, Grossolano sentenziò la deposizione anche di tutti i sacerdoti che erano stati consacrati dal da Rho; l’obiettivo primario della decisione era colpire Andrea Dalvultum, amico di Liprando e leader della coalizione opposta alla turba, che aveva ricevuto gli ordini sacerdotali prima del 1088. Se quella di Anselmo IV fu una decisione di compromesso, in linea con la sua opera di pacificazione, la decisione di Grossolano fu coerente con l’obiettivo di esautorare le capacità di azione degli avversari. Il tentativo, però, non ebbe il successo sperato poiché Andrea continuò a esercitare le proprie funzioni fino alla morte192.

È probabile che la cittadinanza considerasse Grossolano non più il leader dell’intera comunità cittadina ma un uomo mosso dagli interessi di una sola pars. Ciò avrebbe comportato una diminuzione delle capacità del presule di agire nello spazio cittadino. Segno di queste difficoltà furono i numerosi anni di esilio anche prima del pellegrinaggio a Gerusalemme tra il 1110 e il 1112, apice dello scontro con la cittadinanza193. Il primo si

svolse dopo la prova del fuoco di Liprando; il suo soggiorno a Roma fu prolungato fino al 1105, in quanto Landolfo di Vergiate aveva suggerito di rimanere fuori città almeno fino alla convocazione della sinodo romano per evitare inutili scontri tra coalizioni194. Il secondo

è datato tra il 1107 e il 1109, quando il regime cittadino decise di allontanare i leaders delle due coalizioni in lotta, per favorire la pacificazione cittadina e preparare al meglio lo scontro con Lodi195.

192 LANDOLFO IUNIORE, cap. 13, p. 26: «Verum tamen presbiter ipse adversos episcopos disputans,

rationibus et exemplis suam sententiam sustinuit nec dimisit. Grosulanus vero, parvi pendens hujus presbiteri verba, veluti in presentia eius non essent prolata sinodum suam in ecclesia sancte Marie, que dicitur yemalis, per duos dies tractavit, atque in tertia in prato, quod dicitur brorium, coram infinita hominum multitudine dedit sententiam deponendi Andream primicerium et allios sacerdotes, quos Anselmus de Rode, Mediolanensis Archiepiscopus, et a Rege Henricho investitus, ordinavit. Quam sententiam multitudo cleri illico et populi, et non multum post ipse Paschalis papa Romanus contempsit».

193 LANDOLFO IUNIORE, cap. 25, p. 30: «Et facta ista electione, ipsi, qui magis erant in parte

Grosulani, prebuerunt Grosulano conscilium ut huic electioni nec laudem nec vituperationem prestaret; sed Yerosolimam peteret, et Ardericum, Laudensem episcopum, in ecclesia Mediolani, sibi vicarium faceret. In hac manifesta dispositione et allia non pluribus cognita Grosulanus Yeroslimitanum iter intravit».

194 LANDOLFO IUNIORE, cap. 19, p. 28: «Interea Grosulanus domnum papam Paschalem gratum sibi

invenit. Landulphus vero de Vereglate, qui primus in Coritiana fuga fuerat, rediens a Yerosolimis, Romam pervenit, atque in Grosulano, iam inde regresso, didicit non solum quod actum fuerat Mediolani propter concertationem presbiteri et Grosulani, sed etiam, quam solempniter Romanus Pontifex post tallia facta ipsum Grosulanum susceperat. Quia ipse quidem papa Paschalis super sedem suam ipsum Grosulanum posuit; et per quot dies idem Grosulanus tunc temporis Laterani fuit; eundem super sedem suam sedere fecit, atque ipsi sedenti cessit et locum dedit, suam quoque curiam et omnes causas ecclesiasticas, a se discernendas et iudicandas, ipsi Grosulano ad discernendum et iudicandum tradidit».

195 LANDOLFO IUNIORE, cap. 24, p. 30: «Quia, dum civitas illa Laudensis adhuc staret et resisteret

Mediolanensibus, conantibus eam destruere, Grosulanus a Mediolano exulabat et Laudensis ille Ardericus suam civitatem perrarum intrabat, sed Mediolanum frequentabat; presbiter vero Liprandus in sua domo suaque sancti Pauli ecclesia consolationem regni et ecclesie devote expectabat».

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Un episodio testimonia tutte le difficoltà di Grossolano a integrarsi con il mondo milanese: durante il suo vicariato, egli incrociò Andrea primicerio e Liprando, accompagnati da una serie di sacerdoti a loro fedeli196. Lo zio di Landolfo intervenne accusando il presule

di indossare vesti troppo povere e rovinate per la carica che ricopriva; Grossolano gli rispose che non aveva i soldi per comprare una cappa nuova e perciò Liprando sollecitò Andrea a utilizzare le sue sostanze per acquistare un paramento nuovo al vicario. Il savonese replicò che era sua tradizione vestire con abiti semplici e, in tutta risposta, il preposito di S. Paolo in Compito chiarì che l’onore dei sacerdoti milanesi stava anche nella ricchezza delle proprie vesti. Si può constatare la differenza di mentalità tra i due sacerdoti milanesi e l’ancora vescovo di Savona, il quale non era considerato parte del clero milanese e, quindi, indegno di difenderne l’honor di S. Ambrogio. Inoltre, si possono osservare le difficoltà del presule nel controllo dell’amministrazione dei beni di cui era vicario; infatti, non aveva a disposizione le rendite ricavate dai possessi arcivescovili, cosa che spiegherebbe l’affermazione sulla mancanza di denaro. Questa testimonianza è confermata dal mancato controllo dei castelli nel comitatus197. Si possono, così, comprendere le motivazioni che

portarono Grossolano a essere un uomo di parte: «Grossolano stesso, poi, non legato personalmente o per parentele agli interessi cittadini e rimasto lontano da Milano in un periodo denso di premesse per i radicali mutamenti futuri, non dava garanzie di sapersi inserire nella nuova situazione, ma poteva piuttosto ostacolare, con il peso dell’alta autorità di arcivescovo, lo sviluppo politico e sociale e lo slancio economico della città»198.

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