La formalizzazione dello spazio politico urbano: i capitanei e le istituzioni milanes
2.1 Un “laboratorio consapevole” Verso l’affermazione della cittadinanza nella politica urbana (1111-1135)
2.1.8 Il processo del 1135: la congiura che cambiò il regime
L’immagine migliore dei mutamenti istituzionali avvenuti durante il regime della pars Chunradi è l’atto con cui il loro predominio nello spazio politico cittadino si concluse. La deposizione di Anselmo V evidenzia un sistema regolato da una serie di soggetti formalizzati e non, capaci di regolare la vita pubblica; per questo motivo il controllo da parte di una coalizione della maggioranza di queste realtà sarebbe l’unico modo per poter modificare il dominio politico. La congiura architettata dalla pars Lotharii fu un’operazione complessa in cui entrarono in gioco tutti i soggetti politici cittadini; il piano era stato preparato da tempo ma i congiurati furono capaci di rispondere efficacemente anche agli imprevisti. Questa azione testimonia un’ottima capacità politica degli intervenuti e una lettura consapevole degli assetti urbani. Come agli inizi del secolo, la congiura fu l’atto finale di un sostegno acquisito nel tempo; l’operazione ebbe il compito di esautorare l’ultimo
110 La famiglia dei Grassi divenne dalla seconda parte del XII secolo, e soprattutto nel XIII secolo, una
delle casate più importanti della città di Milano, inserita, con un ruolo di primo piano, nelle dinamiche politiche cittadine; la stessa importanza non è attestata nella prima parte del XII secolo, le cui uniche testimonianze fanno riferimento ai legami con il monastero di S. Ambrogio: infatti, i Grassi intervennero poco nello spazio politico milanese di quegli anni, meno di altre famiglie capitaneali come i da Rho, i Visconti, i da Settala o anche i da Landriano, che pur non entrarono nel consolato dopo il 1135; infatti vi è un netto distacco tra l’attestazione del 1130 e il successivo riferimento nella documentazione consolare, testimoniato solo nel 1170: tale caratteristica era già stata evidenziata in E. OCCHIPINTI, La famiglia milanese dei Grassi in età comunale in Lo sguardo lungimirante delle capitali. Saggi in onore di Francesca Bocchi, Roma 2014, pp. 199-212. L’identificazione dei Ferrari è ancora più difficile poiché vi fu, nel XIII secolo, un’importante famiglia di artigiani con questo cognomen, i quali ebbero una posizione rilevante nella Credenza di Sant’Ambrogio e quindi nella fazione popolare; è probabile che questi artigiani e Lanfranco Ferrari provengano da due casate diverse poiché abbiamo alcune attestazioni di interventi di Ferrari anche prima dell’ascesa dei Ferrari “artigiani”, prova dell’esistenza di una famiglia già precedentemente attiva nel sistema politico. I Ferrari
capitanei ebbero, comunque, un ruolo di secondo piano negli organi cittadini fino al XIII secolo creando, però,
un legame particolare con il monastero di S. Ambrogio e quello di Chiaravalle. Per alcuni informazioni su questa famiglia e l’esistenza di due casate differenti vedi GRILLO, Milano in età comunale, p. 439, nota 35.
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ostacolo alla presa del potere. Come l’arbitrato del 1112 riuscì solo ad assopire le divisioni cittadine, la congiura del 1135 non esaurì la questione: la rivalità tra le partes continuò fino almeno al 1138, quando la morte di Anacleto II segnò la conclusione delle opposizioni a livello sovralocale.
Per analizzare meglio i mutamenti si deve prima, però, presentare una ricostruzione degli eventi112. L’inizio della congiura coincise con la convocazione di Anselmo V da parte
della concio per riferire sulla scomunica comminata ad alcuni ecclesiastici cittadini113.
Nazario Muricola fu il primo a prendere la parola nell’assemblea: il suo discorso non trattò la vicenda degli scomunicati e la lunghezza della sua arringa iniziò a infastidire la folla; a questo punto Stefano Guandeca, arciprete di S. Maria Maggiore e collega del Muricola, attirò l’attenzione dell’emiciclo, annoiato dalla lunga orazione, accusando il presule di non essere degno della carica arcivescovile. Anselmo e la pars Chunradii furono presi alla sprovvista e non riuscirono a elaborare una risposta adeguata; Stefano, intanto, giurò quanto affermato sui vangeli e richiese che il giudizio sull’arcivescovo fosse demandato ai vescovi di Novara e Alba. I consoli intervennero e, mediando tra le partes, giunsero al compromesso che la posizione di Anselmo sarebbe stata sottoposta al giudizio di un’assemblea generale, a cui avrebbero partecipato anche i suffraganei; la decisione sarebbe stata presa communi consilio. Il giorno stabilito l’arcivescovo comprese, subito, la natura del giudizio a causa della presenza di due soggetti identificati come i cistercensi e i
112 LANDOLFO IUNIORE, capp. 58-59, pp. 45-46. ZERBI, La Chiesa Ambrosiana, pp. 180-187,
113 La ricostruzione di Landolfo Iuniore testimonia il carattere composito che caratterizzò lo spazio
politico in questo periodo: infatti l’arcivescovo, uno delle istituzioni del sistema, può essere giudicato a partire dalla richiesta di uno dei soggetti politici cittadini, in questo caso l’arciprete Stefano Gaundeca. Il presule Anselmo non si oppose alla possibilità di essere valutato da un altro ente; avrebbe solo richiesto che il giudizio fosse emesso da un’assemblea allargata, comprendente almeno i suffraganei della metropoli. L’impressione nel resto del capitolo è che, a sentenziare sull’arcivescovo, sia stata una realtà composta da una serie di soggetti politici cittadini. Si suppone che, a livello teorico, questa assise dovesse rappresentare tutto lo spazio politico cittadino e quindi vedesse riunite tutte le realtà che composero tale sistema; in questo caso, però, sarebbe stato escluso l’arcivescovo perché parte in causa della questione. È possibile che questa modalità di agire non fosse dissimile da quella presente nel documento su Lodi del 1117; si potrebbe anche identificare in ciò la modalità di azione in commune consilio testimoniata nei documenti dell’arcivescovo Anselmo IV. Si dovrebbe perciò ipotizzare che la iurisdictio, in particolare in questioni che riguardassero l’intero assetto cittadino, non fosse in mano a una sola istituzione o a un singolo ente ma appartenesse all’interno sistema cittadino, la civitas, la quale avrebbe espresso la propria volontà in commune consilio attraverso l’intervento di tutte i soggetti che componevano il proprio spazio politico. Questa considerazione mette in secondo piano uno dei problemi considerati centrali per queste realtà politiche cioè la loro legittimità, poiché, in questo caso, la possibilità di intervenire nel sistema urbano non avrebbe bisogno di una giustificazione ma sarebbe connaturata nel consenso implicito – non c’è nessun riferimento a un giuramento che legasse questi soggetti – che la partecipazione al concetto stesso di civitas avrebbe attribuito ai soggetti intervenuti. La consapevole determinazione di essere un corpo autonomo – in quest’ottica si dovrebbe considerare l’invio dei diplomi di Enrico V alle cittadinanze, stratagemma ideato dalla corte imperiale per rimandare all’intera civitas – avrebbe determinato la capacità di giudicare uno dei propri soggetti con delle modalità che rendessero esplicito che l’onere della sentenza non sarebbe spettato a una singola istituzione ma facesse riferimento all’intero spazio politico cittadino, alla civitas.
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vallombrosani, due ordini inseriti nello schieramento innocenziano114. Allora, Anselmo
utilizzò la sua ultima carta: la sommossa armata. I suoi avversari furono presi alla sprovvista e gli uomini del presule riuscirono a resistere per tutto il giorno. Tuttavia, i leaders della pars lotariana avevano previsto anche questa eventualità: non solo avevano portato dalla loro parte molti giudici ma avevano arruolato una serie di valenti condottieri. Le forze di Anselmo dovettero ritirarsi nella casa familiare dei da Pusterla; abbandonato dagli alleati, l’arcivescovo si ritirò, infine, in sant’Ambrogio, attorniato solo dalla plebe. Qui egli fu raggiunto da una delegazione dei consoli alla quale dichiarò la propria volontà di accettare il giudizio del consiglio; ma Giovanni da Rho, uno dei consoli, non aspettò la conclusione della legazione e, raggiunta l’assemblea, comunicò che l’arcivescovo non si sarebbe arreso alla loro decisione. Questa notizia coalizzò tutta la cittadinanza contro il presule e Anselmo V fu obbligato ad abbandonare la città. La vicenda si concluse con il vescovo di Alba, Robaldo, che rimase in città come vicario arcivescovile, primo passo per l’ascesa al soglio di Ambrogio.
La vicenda ci testimonia uno spazio politico cittadino più chiaro e formalizzato rispetto ai primi anni del XII secolo: tre enti ormai istituzionalizzati – arcivescovo, concio e consoli – inseriti in una configurazione comunque aperta a tutta un’altra serie di soggetti politici. Le istituzioni paiono avere ormai una loro posizione specifica nel sistema divenuto più stabile e regolato. Una sostanziale differenza si può riscontrare con gli eventi del 1103: in quel caso, la concio avrebbe eletto suoi rappresentanti temporanei per quel singolo provvedimento e, inoltre, sarebbero intervenuti i rei publiciae ministri, magistratura costituita ad hoc per l’evento. Nel 1135, invece, tutta la vicenda si racchiuse in enti ormai formalizzati. Inoltre, i consoli avrebbero acquisito un livello di indipendenza dalla struttura arcivescovile che gli permise di essere mediatori della vicenda. Eppure, la modalità di giudizio sui problemi concernenti l’intera cittadinanza non erano cambiata, in quanto relativa all’honor civitatis: operare in communi consilio rimaneva l’unica modalità con la quale le decisioni potevano vincolare l’intera cittadinanza. La rilevanza di questa modalità testimonia come le decisioni degli organi istituzionali non avessero un carattere coercitivo “a priori” ma come dovessero essere avallate tramite uno schema che coinvolgesse tutti i soggetti dello spazio cittadino; solo in questo caso, le decisioni potevano essere considerate vincolanti per
114 Per il ruolo ricoperto dai cistercensi e, in particolare, da Bernardo di Chiaravalle nell’espansione
dell’appoggio a Innocenzo II in Italia vedi P. ZERBI, I rapporti di S. Bernardo; A. AMBROSIONI, San
Bernardo, il papato e l’Italia in San Bernardo e l’Italia, Milano 1993, pp. 25-49; più specifico per l’area
milanese: P. ZERBI, San Bernardo di Clairvaux e Milano. Per i vallombrosani: F. SALVESTRINI, Il
monachesimo vallombrosano in Lombardia. Storia di una presenza e di una plurisecolare interazione in I Vallombrosani in Lombardia (XI-XVIII secolo), pp. 3-51.
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la cittadinanza. Se i decumani o i suffraganei facevano ormai da tempo parte dello spazio politico, possiamo trovare altre due forze testimoniate per la prima volta: gli ordini monastici, in questo caso le nuove realtà fedeli a Roma, e la plebs, con la quale si potrebbero identificare le vicinie, già presenti nel documento del 1119.
Il vero protagonista di tutto l’evento non sarebbe, però, nessuna istituzione ma la pars Lotharii che, con mezzi formali e non, avrebbe preparato ogni minimo dettaglio della congiura. Ogni particolare sarebbe stato organizzato per non dare scampo al presule: anche una scelta apparentemente di compromesso, come quella di rimandare la questione ai vescovi di Novara e Alba nascodeva un fine preciso. Era risaputo che i due episcopi patteggiavano su schieramenti differenti: Litifredo, vescovo di Novara, fu un fedele innocenziano fin dalla partecipazione alla sinodo di Pavia del 1128 mentre Robaldo fu un servitore di Anselmo V che lo aveva consigliato durante il viaggio romano del 1127. Ma l’episcopo di Alba aveva cambiato la propria posizione, divenendo alleato della pars innocenziana, come testimoniato dalla successiva carriera. È possibile che le trattative fossero avvenute in segreto e la pars Chunradi potesse ancora fidarsi di Robaldo, ritenendolo un buon candidato da contrapporre all’ostile Litifredo. La pars Lotharii avrebbe cercato di apparire garante di un compromesso tra le forze ma, in realtà, aveva già preparato il campo alla propria vittoria. La stessa assemblea generale sarebbe stata una trappola per l’arcivescovo per la presenza degli ordini monastici, fedeli a Innocenzo e con un buon seguito nella popolazione. La frase «Ordinarii itaque et decumani sacerdotes et ceteri faventes […] suas pecunias effuderunt et ipsas legis et morum peritis atque bellatoribus viris tribuerunt» prova che la pars si fosse preparata a utilizzare non solo le norme giudiziarie ma anche mezzi bellici per completare la congiura. Inoltre, il passo identifica le forze e i soggetti cittadini dietro la congiura: Nazario Muricola e Stefano Guandeca ebbero un ruolo fondamentale come i «ceteri faventes», da identificare nelle famiglie favorevoli al gruppo lotariano come i da Rho e i da Settala. Gli ordinari non ci appaiono attivi nella congiura eppure dando uno sguardo alla legazione al concilio di Pisa nel 1136, che ufficializzò la deposizione di Anselmo V, troviamo ad accompagnare Robaldo, l’arciprete Tedaldo da Landriano e il diacono Anselmo da Rho115, entrambi parte dell’ordine maggiore.
La congiura è un ottimo esempio per capire lo spazio politico cittadino: un sistema con una serie di istituzioni ai vertici di una realtà che rimase prettamente plurale. La
115 LANDOLFO IUNIORE, cap. 60, p. 46: «Interim Innocentius papa Pisis sinodum celebravit, in qua,
Ribaldo episcopo Albanense representante, Tebaldus de Landriano archipresbiter ecclesie Mediolanensis, Amizo de la Sala archidiaconus, Anselmus de Rode levita ordinarius et allii plures eiusdem ecclesie ordinarii, Innocentio pape fidelitatem juraverunt»
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costituzione di una giurisdizione interna più chiara non condusse a un annullamento dell’autorità degli altri soggetti politici; lo scontro tra schieramenti non fu circoscritto al solo mondo istituzionale, sebbene le partes fossero capaci di utilizzare questi enti a proprio favore. La lotta politica continuò a poter utilizzare tutta una serie di metodologie diverse, alcune al di fuori dell’ambito formale. La novità di questo periodo non sarebbe, perciò, l’avvenuta istituzionalizzazione del sistema ma la creazione di altri centri di potere, la concio e il consolato, che si affiancarono all’apparato vescovile al vertice dello spazio politico. Gli anni Quaranta e Cinquanta videro queste istituzioni, soprattutto il consolato, aumentare il proprio peso nel regime cittadino.