l’origine dei capitanei urbani e rurali (1045-1111)
1.1 Il periodo della frammentazione: l’assenza di un modello alternativo (1045-1085)
1.1.2 Primi segni della rottura: i rapporti tra i capitanei urbani e gl
arcivescovi Guido da Velate (1045-1069) e Gotofredo da Castiglione (1070-1075)
La disgregazione dell’apparato imperiale ebbe i suoi primi effetti in quel gruppo sociale che aveva dominato il sistema politico precedente. Infatti, i capitanei, pur non professando una politica di stampo cetuale come narratoci da Landolfo Seniore, furono alla base della rilevanza politica di Ariberto da Intimiano20. La differente autorità di Ariberto
rispetto ai suoi predecessori sarebbe il risultato proprio delle sue relazioni con i vassalli episcopali21. Sebbene il loro potere fosse già stato colpito dal regime imperiale, il dissolversi
dell’autorità pubblica ebbe conseguenze più gravi, comportando una profonda divisione in seno al gruppo.
La divaricazione si inserì in una tendenza generale dell’élite sociale italiana, causata dall’acutizzarsi delle tensioni interne alle grandi strutture di dominio22. Vi fu un crescente
scarto tra la volontà dei poteri pubblici e gli eterogenei soggetti – molto spesso clienti, vassalli o ufficiali dei stessi grandi signori - sottoposti alla loro amministrazione. Questi ultimi, fin dalla metà del X secolo e con più virulenza dopo la morte di Enrico III, tesero a potenziare le proprie prerogative locali, rendendosi indipendenti dalla giurisdizione del potere pubblico23. L’esito di questo movimento è esemplificato dalle parole di Alessio Fiore:
«Lo sfaldamento dei quadri territoriali precedenti, in favore di una realtà più piccola, non di rado ulteriormente frammentata al proprio interno e spesso geograficamente non compatta»24.
20 LANDOLFO SENIORE, lib. II, cap. 26, p. 63: «At postquam nescio quibus de malis cuius iam tantum
percrebrescentibus, honorificentiam atque suarum dignitatum magnificentiam duces novitiis capitaneis paulatim dederunt, maximis nudati honoribus, antiquorum et suorum parentum reverentiam obliti, in honoribus, cunctis annullati sunt».
21 VIOLANTE, La società milanese, pp. 186-196; KELLER, Signori e vassalli, pp. 244-251.
22 Fondamentale ancora oggi per comprendere le dinamiche politiche di questi anni: L. PROVERO,
L’Italia dei poteri locali, secoli X-XII, Roma 1998; disponibile oggi sullo stesso tema, seppur incentrato sul
mondo rurale: A. FIORE, Il mutamento signorile. Per queste tematiche si veda anche: M. NOBILI,
L’evoluzione delle dominazioni marchionali; L. PROVERO, Dai marchesi del Vasto ai primi marchesi di Saluzzo: sviluppi signorili entro quadri pubblici, Torino 1992 (Piemonte); G. SERGI, I confini del potere
(Lombardia occidentale); A. BEDINA, Signori e territori nel Regno italico (secoli VIII-XI), Milano 1997.
23 La ridefinizione delle strutture del Regno seguì gli scontri tra la dinastia degli Ottoni e alcune grandi
dinastie comitali, le quali appoggiarono candidati italiani alla corona del Regnum; per tali dinamiche nell’area milanese vedi A.M. RAPETTI, L’organizzazione distrettuale in Lombardia tra Impero e città (IX-XII secolo) in Contado e città in dialogo: comuni urbani e comunità rurali nella Lombardia medievale, Milano 2003, pp. 15-40.
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Queste dinamiche caratterizzarono anche l’area sottoposta all’influenza milanese25.
Le conseguenze sui capitanei, la cui autorità poggiava sia sulla città sia sul comitatus, furono rilevanti26. La “localizzazione” del potere politico, affermatasi in particolare in ambito
cittadino, condusse l’aristocrazia a un bivio: da una parte la completa integrazione nella cerchia urbana per alcuni capitanei, dall’altra la rottura delle relazioni con l’apparato cittadino e l’affermazione in un quadro locale e rurale per i rimanenti. Fu una scissione graduale, le cui prime avvisaglie, però, sono testimoniate nei rapporti tra il primo gruppo, i cosiddetti capitanei urbani, e gli arcivescovi Guido da Velate e Gotofredo da Castiglione27.
I primi riferimenti si possono già intravedere nella contestata nomina di Guido da Velate, successore di Ariberto. Alla morte dell’Intimiano, sebbene venga citata una civium universorum collectio, é probabile, come ipotizzato da Cinzio Violante, che la decisione dei candidati da presentare all’imperatore fosse stata presa all’interno del gruppo dei capitanei28.
Non ci deve quindi stupire che il 18 luglio 1045, all’annuncio di Enrico III, alla corte imperiale vi fosse un certo numero di capitanei milanesi29. L’imperatore non nominò
nessuno dei candidati e selezionò un chierico estraneo alla realtà milanese. La decisione aveva il preciso fine politico di indebolire il controllo dei capitanei sull’operato del presule30.
Perciò, fin da subito, Guido venne osteggiato dagli aristocratici cittadini come attestano alcuni atteggiamenti: per esempio gli ordinari abbandonarono il presule durante una cerimonia nel 104531. L’avversione non sarebbe da ricollegare solo alla reputazione di Guido
come uomo dell’imperatore: infatti, Arnolfo, che ci narra il punto di vista dei capitanei urbani, sottolinea come il nuovo presule fosse «idiotam et a rure venientem» evidenziando come questi fossero due elementi del dissidio32. Invero, Guido proveniva da una famiglia
25 F. OPLL, Le origini dell’egemonia territoriale milanese in Milano e il suo territorio in età comunale,
Spoleto 1989, vol. I, pp. 173-196.
26 Si ritiene che, fino all’XI secolo, la natura ambivalente della vassallità arcivescovile argomentata
nell’opera di Keller sia valida; per gli approfondimenti sul tema rimando alla seconda parte della tesi.
27 Guido da Velate fu arcivescovo di Milano dal 1045 al 1071 durante il periodo di maggior vigore della
Pataria di Arnolfo e Landolfo, a cui si oppose con forza. Per una biografia aggiornata: A.M. RAPETTI, Guido
da Velate, «DBI», 61 (2004), pp. 427-433. L’appartenenza di Guido al gruppo familiare dei da Velate è stata
contestata in KELLER, Signori e vassalli, pp. 51-52; A. CASTAGNETTI, I di Porta Romana, p. 36. Non si è certi neppure che la famiglia fosse di origine capitaneale (KELLER, Signori e vassalli, p. 51) come ipotizzato in CASTAGNETTI, I da Porta Romana, p. 38.
28 VIOLANTE, La Pataria, pp. 19-20; le modalità non sarebbero dissimili da quelle utilizzate nel 1018
per Ariberto da Intimiano, con l’unica differenza nel numero di candidati proposti all’imperatore: da uno nel 1018 ai quattro nel 1045.
29 LANDOLFO SENIORE, lib. III, cap. 2, p. 74: «Itaque ordinarii et capitanei ceterique per iussum
civitatis qui cum ipsis iverant, cum ante imperatoris praesentiam astitissent […]»; ARNOLFO, lib. III, cap. 1, p. 104: «Heinricus vero augustus iam dictum habens pre occulis Mediolanense discidium, neglecto nobili ac sapienti primi ordinis clero, idiotam et a rure venientem elegit antistitem, cui nomen fuerat Vuido».
30 VIOLANTE, La Pataria, pp. 32-33.
31 LANDOLFO SENIORE, lib. III, cap. 2, p. 75.
32 ARNOLFO, lib. III, cap. 1, p. 104: «In tantum enim illorum [ordinari] aima ira, odio ambitioneque
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insediata nell’area intorno a Varese, a circa cinquanta chilometri dalla città, poco integrata nel panorama cittadino.
La vicenda di Gotofredo da Castiglione è ancor più emblematica delle divisioni tra città e territorio. Eletto presule con una modalità inusuale, Gotofredo apparteneva a una delle famiglie più potenti del Seprio33. Il nuovo presule riuscì a riunire nell’ostilità verso la propria
elezione tutte le anime della cittadinanza, all’epoca attraversata dalle conflittualità patarine34. La controversia si concluse con l’assedio del castello di Castiglione, fortezza
principale della famiglia di Gotofredo, da parte dell’esercito milanese35. Il presule non fu
mai capace di imporre il proprio volere sulla città e perciò si era rifugiato, fin da subito, nelle campagne, dove tentò più volte di conquistare alcune fortezze arcivescovili e centri nevralgici del territorio come Velate, Brebbia e Lecco36; l’esercito milanese effettuò una
serie di campagne per evitare la perdita di questi luoghi strategici e nel 1071 riuscì ad assediare le forze di Gotofredo a Castiglione37. Due annotazioni relative all’assedio
forniscono una testimonianza dell’antitesi tra città e campagna. Arnolfo fa riferimento ad alcuni amici di Gotofredo che tentarono di rompere l’assedio; è probabile che costoro fossero originari del Seprio poiché inseriti nella rete sociale dei Castiglioni38. In un altro passo, si fa
ornati, prout gradus uniuscuiusque postulabat, cum ipso Guidone ante beatea Mariae altare seriatim venissent […] Omnes enim relicto solum archiepiscopo quasi daemones sancti sparsis thimatibus fugientes, populo spectante et mirante universo, durisque subsannationibus stridentes evanuerunt».
33 Gotofredo ottenne la propria investitura dopo una trattativa personale con il predecessore Guido, che
aveva progettato di ritirarsi. Il da Castiglione non era sconosciuto al presule poiché, oltre a far parte degli ordinari della cattedrale, era divenuto uno degli assistenti di Guido. La trattativa non fu esclusiva pertinenza dei due personaggi poiché intervenne anche l’imperatore: infatti, l’arcivescovo aveva rimandato a Enrico IV l’anello e il pastorale perciò Gotofredo dovette assicurarsi l’appoggio del sovrano prima della consacrazione. Rimase completamente fuori da queste interazioni la cittadinanza. La vicenda è narrata in ARNOLFO, lib. III, cap. 20, pp. 130-132.
34 ARNOLFO, lib. III, cap. 23, pp. 136-138: «Post hec reduentes ad urbem, iureiurando definiunt,
Gotefredum numquam recipiendum, imo alterum de catalogo maioris ecclesie communiter eligendum». Una ricostruzione dei rapporti tra la cittadinanza e Gotofredo da Castiglione nella quale si evidenzia una breve ma significativa concordia di tutte le coniurationes cittadine contro il presule, in A. LUCIONI, «Noviter fidelitatem
imperatori iuraverat…» (Landulphi Senioris Historia Mediolanensis, III, 29). Enrico IV o Erlembaldo?,
«Annali canossiani», 1 (1981), pp. 63-70.
35 ARNOLFO, lib. III, cap. 21, pp. 132-134: «Gotefredus autem pluribus iam coartatus obstaculis, cum
parte suorum aliqua suo se collegit in oppido, quod vulgo Castilio dicebatur, inexpugnabile revera presidium, menibus ac loci natura munitum. Ex eo sepius erumpentes, cum supra modum predis inhiarent ac cedibus, indignati Mediolanenses proponunt arcem illam protinus expugnare turritam».
36 ARNOLFO, lib. III, cap. 20, pp. 130-131: «Ubi vero Sancte Marie conscendit montem,
circumveniente ab urbe exercitu, noctu vix fuga lapsus evasit»; lib. IV, cap. 3, p. 142-143: «Exinde Gotefredus aliqua ecclesie studet occupare castella, uni eorum presidens, quod nominatur Brebia. Qui cum paulo ante Leucum invaderet, irruentibus ab urbe militibus violenter eicitur […]».
37 L’operazione contro Gotofredo testimonia due caratteristiche della cittadinanza milanese che
evidenziano la loro consapevolezza identitaria: per primo vediamo l’esercito cittadino distinto chiaramente da quello arcivescovile. Quest’ultimo si presenta come una forza privata del presule e non più rappresentante della città. Inoltre si attesta la consapevolezza dei cittadini di dover difendere da forze ostili l’ambito territoriale urbano, prova non solo di una capacità di autodeterminazione ma anche della costruzione di prerogative che superassero i confini delle mura cittadine.
38 ARNOLFO, lib. III, cap. 22, pp. 132-134: «Gotefredus autem tribus iam obsessus mensibus, ut vidit
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riferimento a un tentativo da parte dei milanesi di utilizzare le forze del comitatus per rendere più efficace l’assedio e poterlo prolungare39. Le vicende del blocco e l’azione degli amici di
Gotofredo fanno ritenere che l’arruolamento non sia andato a buon fine. Questa vicenda dimostra come il divario fosse aumentato negli anni Settanta: se nel caso di Guido la cittadinanza, alla fine, rimase fedele al presule, Gotofredo vide un’opposizione totale e continua.
Infine, vi è un’ultima prova di questa divisione nell’aristocrazia: la narrazione dell’esilio dei capitanei sia nel 1032-33sia nel 1040-1044 descrive l’intervento delle casate del Seprio e della Martesana in aiuto delle famiglie dell’élite cittadina40. Nei successivi esili
dell’aristocrazia non è più presente questo dato: tra il 1073 e il 1075 la coniuratio opposta al regime di Erlembaldo, con a capo le maggiori famiglie di capitanei urbani, fu costretta a uscire dalla città. Durante il racconto di questa vicenda, né Landolfo Seniore né Arnolfo nominarono alcun intervento o appoggio da parte dei capitanei rurali all’aristocrazia esiliata dalla città41. Questa è un’ulteriore prova della profonda divisione sociale e politica
costituitasi tra gli anni Quaranta e gli anni Settanta dell’XI secolo in seno al mondo aristocratico.