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l’origine dei capitanei urbani e rurali (1045-1111)

1.2 Un primo tentativo di formalizzazione: l’epoca dei presuli filoromani (1085-1101)

1.2.2 La leadership del presule

Il potere arcivescovile si fondava sulle relazioni costituite sia dalla rete socio- economica della stirpe del singolo presule sia dalla connessione con le coniurationes, gruppi che erano riusciti a creare legami tra personaggi di varia estrazione sociale112. Questa fitta

maglia di interazioni con soggetti e coalizioni, i quali detenevano una qualche potestà nel plurale spazio politico post-imperiale, fu alla base del potere arcivescovile. Un’autorità fondata su un precario equilibrio; in sostanza, sulla capacità del singolo arcivescovo di assicurarsi l’appoggio della cittadinanza. Il nuovo regime permise, però, agli arcivescovi filoromani (Anselmo III, Arnolfo III e Anselmo IV) di avere un’autorità maggiore rispetto ai loro predecessori. Si può, quindi, affermare che l’arcivescovo, in questa fase, fosse una creatura totalmente urbana, figlia dell’esigenza della cittadinanza di rispecchiarsi nel proprio pastore, non solo sul piano religioso ma anche in quello politico.

legio, licet paulo post cesserit relicto Mediolanensibus campo. Fit strages inmensa nobilium equitum et duarum urbium lacrimabile detrimentum. Implevit denique dies illa veteris idioma vocabuli: dicebatur enim antiquitus campus in quo conflixerant Mortuus».

110 Vedi capitolo 2°, pp. 121-126.

111 Per l’identità, costruita nell’alto Medioevo tra l’arcivescovo di Milano e la tradizione ambrosiana vedi

AMBROSIONI, Milano e la nuova coscienza cittadina, pp. 193-195.

112 La Pataria, la coniuratio che conosciamo meglio, ebbe tra i suoi fautori una varietà di personaggi

appartenenti a ogni grado sociale: vi appartennero Anselmo da Baggio, proveniente da una delle più importanti famiglie della città, Landolfo ed Erlembaldo, nati, probabilmente, in una famiglia aristocratica ma meno ricca e autorevole dei da Baggio, Nazario, proveniente da una famiglia di monetieri, i Rozonidi, che avrebbero aspirato a entrare nell’aristocrazia, e infine Arialdo, originario di una famiglia del territorio ma non di nobile stirpe.

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Il cronista Arnolfo, membro della pars ecclesiae e quindi sostenitore del nuovo regime, scrive che «ipsi vero episcopi suis plane vacent negotiis, providentes bona non tantum coram Deo, set etiam coram omnibus hominibus, ne dicatur de illis: ruina populi sacerdotes mali»113. La posizione del passo all’interno dell’opera, un inciso dopo il racconto

dell’euforia della popolazione urbana successiva alla morte di Erlembaldo, fa ipotizzare che questo brano esprima il pensiero di Arnolfo per quanto riguarda il tipo di regime da costituire dopo la disgregazione di quello della Pataria: un invito al futuro presule a prendersi carico del peso politico della città. Questo invito fu disatteso da Tedaldo ma non dai suoi successori; infatti, il programma politico di Arnolfo, probabilmente, coincise con il pensiero di coloro che avevano osteggiato Tedaldo durante il suo episcopato.

I presuli filoromani, fin dalla loro elezione, evidenziarono un supporto consistente da parte della popolazione. Non sappiamo quale procedura sia stata utilizzata per l’elezione di Anselmo III, avvenuta il 1° luglio 1086, ma il riconoscimento da parte di Urbano II della canonicità dell’elezione si può collegare a una decisione presa dalla popolazione cittadina, senza nessun diretto intervento dello scomunicato Enrico IV114. Con la nomina di Arnolfo

III vi fu, invece, una definitiva rottura dello schema classico: dai cataloghi episcopali si può constatare come tra la morte di Anselmo III e la nomina di Arnolfo siano passati solo due giorni115. Il breve lasso di tempo fa escludere la possibilità di un intervento del sovrano e,

quindi, l’elezione sarebbe stata gestita interamente all’interno della compagine urbana116. La

presenza di una fonte narrativa permette di essere più precisi per quanto riguarda l’elezione di Anselmo da Bovisio. L’interferenza imperiale è da escludere e tutta l’operazione si rachiuse all’interno di una dinamica prettamente locale: la controversia tra i nomi di Anselmo da Bovisio e Landolfo da Baggio ebbe la sua origine nei due schieramenti in cui si era divisa l’élite cittadina in quel momento117.

La natura cittadina della selezione degli arcivescovi fu, da una parte, conseguenza degli attributi locali dell’autorità ma, dall’altra, diede la possibilità all’arcivescovo di affermare il proprio potere con maggiore forza rispetto ai suoi predecessori. Segno del rafforzarsi dei legami politici tra arcivescovo e cittadinanza è la morte all’interno delle mura cittadine di un presule per la prima volta dopo quasi mezzo secolo: infatti Guido da Velate, Gotofredo da Castiglione, Attone e Tedaldo da Landriano erano tutti deceduti fuori città a

113 ARNOLFO, lib. IV, cap. 12, p. 155.

114 SAVIO, Gli antichi vescovi. Milano, p. 44; LUCIONI, Anselmo IV, p. 50, nota 26. 115 SAVIO, Gli antichi vescovi. Milano, pp. 42-43.

116 LUCIONI, Anselmo IV, pp. 46-47.

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causa dell’occupazione dello spazio politico urbano da parte di forze a loro ostili118. Invece,

Anselmo III morì all’interno delle mura milanesi.

Più difficile ricostruire la concreta giurisdizione dell’arcivescovo: è impossibile conoscere il reale potere di Anselmo III e di Arnolfo III, a causa dell’esiguo numero di documenti giuntici sul loro episcopato119. Qualche ipotesi si può proporre per quanto

riguarda il periodo di Anselmo IV, grazie alle due sentenze emesse dall’arcivescovo in diatribe cittadine, entrambe riguardo problemi della medesima natura.

La prima, datata 2 febbraio 1099, vide la risoluzione del contrasto tra i vicini di S. Protaso ad monachos e il monastero di S. Simpliciano da cui dipendeva la chiesa120. La

controversia sorse dalla decisione dei parrocchiani di nominare un preposito alla guida di un gruppo di religiosi insediatosi nella chiesa, ledendo le prerogative di nomina e di autorità sui chierici che l’abate riteneva di possedere. La comunità monastica aveva consentito alla nomina del sacerdote solo per scongiurare tumulti pubblici; in riferimento a questi fatti, Anselmo, all’interno dell’arenga del documento, dichiarò che il compito del vescovo fosse quello di vigilare che la città potesse vivere in tranquillità e che i conflitti nati nel seno della Chiesa non portassero divisioni nei fedeli, salvaguardando invece la pace cittadina:

Ut tita civitas in tranquillitate conquiescat […] his talibus contentionibus abbas et vicini tam graviter dissentientes, ut Dei ecclesia

118 Guido da Velate sarebbe morto vicino a Bergoglio nel 1071 dopo che un tentativo di rientrare in

possesso della carica episcopale era finito con l’esilio nel monastero locale. Gotofredo da Castiglione non riuscì più a rientrare a Milano e, perso l’appoggio di Enrico IV con la nomina di Tedaldo da Landriano, non ebbe più il supporto delle forze imperiali concludendo la propria vita nel 1075 probabilmente nel castello natio di Castiglione. Della vita di Attone successiva alla fuga da Milano nel 1072 non sappiamo praticamente nulla, se non il rifugio a Roma da papa Gregorio VII; è probabile che fosse morto nella città prima del pontefice, intorno al 1080. Ariberto da Intimiano aveva rischiato di morire anch’egli fuori dalla città poiché in esilio a Monza fino a pochi giorni prima della morte: la concordia cittadina seguita al giuramento del 1044 gli permise di entrare in città poco prima della fine.

119 La mancanza di fonti per questi episcopati dipende da un buco nelle fonti cronachistiche tra gli anni

Ottanta e Novanta dell’XI secolo; infatti, sia Arnolfo che Landolfo Seniore giunsero con una narrazione sistematica alla morte di Erlembaldo sebbene sia stata scritta, in parte, anche la storia dell’arcivescovo Tedaldo da Landriano. Dopo il 1085, però, non vi sono più riferimenti nella narrativa fino all’excursus sul 1096 presente nel capitolo 40 di Landolfo Iuniore; per altro, una semplice citazione dello scrittore a fatti antecedenti all’episcopato di Anselmo IV. Solo dal 1097, con l’elezione del da Bovisio, il racconto ritorna a essere sistematico. Dal punto di vista dei documenti d’archivio la situazione è quella tipica degli arcivescovati dell’XI secolo, con una quasi totale mancanza di atti del presule: per Anselmo III ci rimane un solo diploma con il quale accordò la donazione all’abbazia di Cluny della chiesa di S. Maria di Calvenzano (GIULINI, vol. II, pp. 595-596), la sottoscrizione a un livello del monastero Nuovo di Milano nel 1091 (Gli atti privati, IV, n. 764, pp. 390-391) e la memoria di una donazione effettuata dallo stesso Anselmo alla chiesa di S. Eustorgio (Pergamene milanesi, VII, n. 26, p. 46). Su Arnolfo III, oltre al patto con la chiesa di Cremona del 1097 che si analizzerà più avanti, vi è solo il privilegio concesso il 2 novembre 1095 a tre uomini milanesi che vollero condurre vita comune nell’isolata chiesetta di S. Gemolo in Valganna (M. FRECCHIAMI, Il privilegio di

Arnolfo III alla chiesa di S. Gemolo nell’anno 1095, «Archivio storico della badia di S. Gemolo», 3 (1973),

pp. 22-23).

120 F. UGHELLI, Italia sacra sive de episcopis Italiae, a cura di N. Coleti, Venezia 1719, vol. IV, coll.

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vacillanter inquietaretur omnisque civitas perturbaretur, emolliti tandem nostris crebris admonitionibus omnem causam nostro nostrique cleri iudicio terminari statuerunt.

La sentenza fu favorevole all’abate di S. Simpliciano, cassando l’elezione del preposito. Tuttavia, egli tutelò anche i fedeli, i quali videro concretizzarsi una delle loro richieste: al fianco della comunità canonicale, infatti, venne mantenuto anche un gruppo di monaci121.

La seconda, datata 15 marzo 1099, fu la diatriba tra il monastero femminile di S. Maria Aurona e i propri vicini per la pretesa di questi ultimi di utilizzare la chiesa e il cimitero monastico122. Anche in questo caso la sentenza fu un compromesso: alla badessa

venne riservato l’utilizzo delle strutture monastiche ma avrebbe dovuto costruire, a proprie spese, una nuova cappella e un cimitero in un terreno attiguo alle proprietà del cenobio. Quest’ultima sentenza venne accompagnata da un gesto di forte impatto visivo: il documento testimonia come lo stesso arcivescovo, con il pastorale, tracciò sul terreno il perimetro degli edifici che avrebbero dovuto essere costruiti.

L’azione dell’arcivescovo, però, non si limitò alla salvaguardia della pace cittadina ma tese a rafforzare la propria immagine come fulcro del sistema cittadino, sostenendo alcune iniziative dei laici. Annamaria Ambrosioni ha constatato come, verso la fine dell’XI secolo, buona parte delle basiliche cittadine abbia subito una ristrutturazione verso lo stile romanico123. Un’epigrafe commemorativa apposta sul muro esterno della basilica di S.

Ambrogio documenta la volontà arcivescovile di esaltare questa ricostruzione, in particolare nella chiesa dedicata al patrono cittadino, imponendo per la festa dei santi Gervaso e Protaso una pace di sedici giorni124. Lo scopo sarebbe stato quello di commemorare solennemente

la festa dei santi ma soprattutto «favorire, con una più ampia partecipazione alla festa, anche un consistente afflusso di merci e mercanti nella città»125.

Infine, il potere arcivescovile è testimoniato dai rapporti con le altre forze politiche affermatesi all’interno dell’arcidiocesi milanese: poiché numerose sedi suffraganee erano ancora in mano a vescovi di fede imperiale, venne convocato una sinodo nell’aprile del

121 Gli atti privati, IV, n. 896, pp. 636-638 (19 ottobre 1100); il documento testimonia la presenza di una

canonica e di alcuni monaci nella chiesa di SS. Protaso e Gervaso.

122 A. DE CAPITANI D’ARZAGO, La chiesa romanica di S. Maria di Aurona in Milano da una

planimetria inedita del secolo XVI, «Archivio storico lombardo», 71 (1944), pp. 3-66, p. 33, nota 61.

123 AMBROSIONI, Gli arcivescovi di Milano e la nuova coscienza cittadina.

124 V. FORCELLA, Iscrizioni delle chiese e degli altri edifici di Milano dal secolo VIII ai giorni nostri,

Milano 1890, vol. III, n. 276, p. 217.

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1098126. Il documento, scaturito da questa riunione, già nei contenuti formali, ci appare

differente rispetto alle semplici riunioni provinciali, rimandando chiaramente a un modello pontificio127. Pochi vescovi intervenuti erano inseriti nella gerarchia dell’arcidiocesi di

Milano128; infatti, «l’assemblea dà piuttosto l’impressione di essere stata un’occasione di

incontro per i vescovi gravitanti nell’area di influenza milanese e in quella matildica che riconoscevano Urbano II come pontefice al di là di rigide appartenenze a circoscrizioni ecclesiastiche, da ritenere in quel frangente del tutto superflue»129.

Si può, quindi, affermare che, con Anselmo IV, la carica arcivescovile fosse di nuovo al centro della politica cittadina, sia interna sia esterna, e che «[l’arcivescovo] scelse di muoversi lungo una linea di azione ispirata alla ricerca del consenso negli ambienti tanto ecclesiastici quanto laici della città, impegnandosi a eliminare qualsiasi causa di disordine, che, pur originatosi nell’ambito ecclesiale, di fatto coinvolgesse tutta la società cittadina»130.

1.2.3 Coalizioni d’interesse, consoli e commune consilio

La centralità dell’arcivescovo nel sistema cittadino non ci deve far dimenticare come la pluralità fosse divenuta una caratteristica peculiare dello spazio politico milanese. Le vicissitudini di Arnolfo III e la politica di concordia portata avanti da Anselmo IV testimoniano come il potere episcopale fosse legato all’accettazione e al supporto della cittadinanza131. Le basi di questo appoggio si legavano alla volontà di una specifica

coalizione d’interesse, erede della pars ecclesiae degli anni Settanta, e capace, adattandosi alle varie esigenze, di dominare lo spazio politico almeno fino agli anni Venti del XII secolo. L’identificazione di questo gruppo è possibile grazie alla cronaca di Landolfo Iuniore; infatti, tale coalizione fu il maggiore avversario politico dello scrittore e dello zio, prete

126 Per i partecipanti e le decisioni prese all’interno della sinodo vedi LUCIONI, Anselmo IV, pp. 141-

162.

127 LUCIONI, Anselmo IV, pp. 197-200; il documento conclusivo della sinodo, datato 7 aprile 1098, ha

la presenza di una rota come i documenti pontifici

128 L’elenco dei presenti e degli assenti descrive gli schieramenti papali e imperiali al 1098: gli unici

suffraganei dell’arcidiocesi presenti erano Arimanno da Gavardo, vescovo di Brescia, Guido da Tortona e Azzone di Aqui, tutti e tre eletti ma non ordinati; inoltre, Arimanno non era ancora riuscito a entrare in possesso della propria diocesi. Non si sa nulla delle diocesi di Lodi, Ventimiglia, Ivrea e Torino; erano vacanti le sedi di Cremona, Savona e Genova. Furono condannati come usurpatori della propria diocesi, per cui identificabili come fautori di Enrico IV i vescovi di Brescia, Bergamo, Vercelli, Novara, Alba, Asti, Albenga. Guido da Tortona, pur imperiale, accettò di sottoporsi al giudizio del pontefice. Parteciparono presuli delle sedi di Aquileia e Ravenna, fedeli al pontefice quali Como, Mantova, Reggio e Piacenza. Per approfondimenti vedi LUCIONI, Anselmo IV, pp. 146-154.

129 LUCIONI, Anselmo IV, p. 152.

130 Ibidem, p. 141.

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Liprando132. L’obiettivo di questo raggruppamento dal punto di vista religioso, nel quale è

più facile riscontrare un percorso comune, fu l’introduzione dei dettami della Riforma papale all’interno della compagine ambrosiana pur salvaguardando quelle prerogative costituitesi nei secoli precedenti, parte fondamentale dell’honor cittadino133. Non conosciamo il

momento di costituzione del gruppo – certamente fondato dopo la morte di Erlembaldo, con la quale si poteva fare riferimento alla Riforma senza essere considerati patarini – ma la sua prima azione fu, probabilmente, la legazione del 1077. Questo gruppo uscì dall’anonimato solo durante la seconda venuta in città di papa Urbano II, nel settembre/ottobre del 1096, nella quale si possono delineare alcuni tra maggiori rappresentanti della coalizione134: dopo

la predica pubblica del pontefice, nella quale si era fatto riferimento all’importanza dei laici nel controllo della giusta condotta dei sacerdoti, alcuni personaggi approfittarono degli effetti di queste parole sulla popolazione per scacciare, grazie all’appoggio della comunità dei vicini, i sacerdoti in varie chiese. L’azione dei fedeli testimonia come i sobillatori avessero l’appoggio di una buona parte della cittadinanza. L’occupazione delle chiese era parte di un’operazione di più ampio respiro volta ad allontanare Arnolfo III, arcivescovo probabilmente troppo vicino alle idee radicali della Pataria e, quindi, ostacolo alla politica di concordia cittadina instauratasi dopo il 1088135.

Grazie alla narrazione di Landolfo possiamo conoscere il nome di alcuni di questi personaggi e ricostruirne in parte la storia: Albino da Magenta, Giovanni Aculeo da

132 A.M. RAPETTI, Liprando, «DBI», 75 (2005), pp. 249-252.

133 Nel testo si è ipotizzato che il gruppo di Nazario Muricola fosse il risultato di una divisione nella

Pataria dovuta alla differente posizione verso le prerogative romane; da una parte, i moderati, volti ad alcuni patti con i governanti delle città e fedeli alla politica di Urbano II, dall’altra i rigoristi, guidati da Liprando, che seguirono la linea intransigente di Gregorio VII. Questa visione, alla base del testo di Gabriella Rossetti sulla chiesa di Milano (G. ROSSETTI, Contributo allo studio dell’origine e della diffusione del culto dei santi in

territorio milanese in Contributi dell’Istituto di storia medieovale, Milano 1972, vol. II, pp. 573-607, pp. 595-

599), faceva riferimento alla tesi di Piero Zerbi sull’esistenza di una serie di «Patarie» che si sarebbero susseguite fino alla metà del XII secolo (P. ZERBI, Alcuni risultati e prospettive di ricerca sulla storia religiosa

di Milano dalla fine del secolo XI al 1144 in Problemi di storia religiosa lombarda, Como 1972, pp. 17-26).

La tesi è ormai stata superata grazie alle interpretazioni di Alfredo Lucioni il quale ritiene anacronistico rimandare tutto alla Pataria – egli parla di «patarinizzazione» della storia milanese – in un’epoca in cui le dinamiche divennero ben più complesso: la Pataria lasciò tracce profonde della storia di Milano ma «lo scenario della società urbana milanese nell’ultimo decennio dell’XI secolo è in realtà assai più mosso e per orientarsi in esso è necessario prendere atto del rimescolamento di posizioni che stava avvenendo» (LUCIONI, Anselmo

IV, p. 20). Si deve, quindi, essere chiari fin da ora per quando riguarda la nomenclatura dei gruppi che si

citeranno: i forti rimescolamenti della posizione politiche non permettono di inquadrare un gruppo coeso per lunghi anni. Le continue trasformazioni e adattamenti ai cambiamenti delle configurazioni portarono le coalizioni a essere molto fluide sia negli aderenti che negli obiettivi politici. Caso emblematico è proprio il

leader della «turba connexionis Nazarii», Nazario Muricola, il quale cambiò posizione più volte durante questi

anni. È proprio da ricollegare a questa capacità di interpretare i mutamenti degli assetti politici la sua lunga presenza ai vertici dello spazio politico. Si dovrebbe chiarire ogni volta l’appartenenza delle coalizioni d’interesse e gli obiettivi politici, soprattutto in quei momenti in cui la documentazione espone più chiaramente le forze in campo; questi saranno gli unici casi in cui sarà possibile presentare in modo esaustivo lo spazio politico della città.

134 LANDOLFO IUNIORE, cap. 40, pp. 37-38.

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Vimercate, Mainfredo da Limito e, infine, il leader Nazario Muricola. La loro posizione fu, subito, sanata da Anselmo IV ed ebbero tutti una carica rilevante nelle gerarchie ecclesiastiche e un proprio ruolo nel regime arcivescovile136: Albino divenne sacerdote della

chiesa di S. Giovanni in Conca e fu l’unico ecclesiastico non ordinario a firmare i diplomi arcivescovili dell’8 aprile 1098 e 15 marzo 1099, Giovanni Aculeo divenne sacerdote e fece parte della spedizione per recuperare il vicario durante la preparazione della crociata, Nazario Muricola fece una lunghissima carriera di successo, arrivando a ricoprire per più di vent’anni la carica di primicerio dei decumani137. Landolfo Iuniore identifica il gruppo come

una specifica coalizione d’interesse: la «turba connexionis Nazarii», ossia un gruppo di persone accomunate da un comune scopo capeggiate da Nazario, «insomma un gruppo organizzato e ben identificabile, in grado di incidere fortemente sugli assetti della società ecclesiastica ambrosiana»138. Quali differenze vi furono tra le coniurationes degli anni

Cinquanta e Sessanta e questo raggruppamento? Difficile poter dare una risposta esaustiva poiché non sappiamo nulla delle dinamiche interne del gruppo; si deve constatare, però, come vi fosse una differente continuità nell’azione politica. Se le coniurationes non furono capaci di egemonizzarre a proprio favore lo spazio urbano per un periodo prolungato, la turba di Nazario riuscì a essere il cuore dell’autorità cittadina per un periodo di tempo molto lungo, poiché le prime incrinature del loro dominio si possono intravedere, solo, nel biennio 1123-1124. La continuità politica non si deve solo a una maggiore capacità di coinvolgimento nella realtà politica o alle forti relazioni con la popolazione, ma, anche, alle

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