• Non ci sono risultati.

I capitanei e il Barbarossa: la divisione tra città e territorio (1155-1185)

3.1 I capitanei cittadini: la fedeltà alla città

3.1.1 I capitanei urbani e l’honor civitatis

La guerra tra Milano e l’imperatore Federico I fu uno degli scontri più violenti avvenuti nell’Italia medievale: la prima fase di questo conflitto, caratterizzata da una lotta tra lo schieramento milanese e quello imperiale, durò dal 1154 fino al 1162. Gli eventi bellici si accompagnarono a una devastazione di gran parte della campagna milanese, più volte vittima delle continue razzie delle forze alleate al Barbarossa. Oltre alla devastazione del

4 MANARESI, n. 148, pp. 214-220.

5 Per le relazioni tra le due aristocrazie e i cambiamenti avvenuti nel XIII secolo a causa della

concorrenza popolare vedi GRILLO, Milano in età comunale, pp. 237-329.

6 Per un quadro generale dei sostenitori nel Regno Italico del Barbarossa vedi P. BREZZI, Gli alleati

italiani di Federico Barbarossa (feudatari e città) in Federico Barbarossa nel dibattito storiografico in Italia e in Germania, Bologna 1982, pp. 157-197. Per Milano i collaboratori del regime imperiale sono stati analizzati

in L. FASOLA, Una famiglia di sostenitori milanesi di Federico I. Per la storia dei rapporti dell’imperatore

con le forze sociaii e politiche della Lombardia, «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und

153

proprio territorio, Milano fu assediata per ben due volte da un imponente esercito, composto non solo dalle truppe tedesche ma anche da buona parte delle milizie cittadine della Longobardia e da corpi di spedizione provenienti dal resto del Regnum Italiae7. La rivalità

non si concluse con la caduta della città e la deportazione dei suoi abitanti in borghi esterni alle mura nel 1162; una nuova fase si aprì nel 1167 con la nascita della Lega Lombarda. Questa volta la città non subì direttamente il pericolo ma i suoi eserciti furono molto attivi in tutti i campi di battaglia, dalla piana di Montebello nel 1175 alle campagne di Legnano nel 11768.

Non fu certo la prima volta che le relazioni tra Milano e l’imperatore furono ai ferricorti. Precedentemente, Milano era stata cinta d’assedio almeno un’altra volta: Corrado II circondò la città con il proprio esercito tra il 1037 e il 1039. In quella occasione, l’imperatore fu chiamato in Italia per risolvere la ribellione della vassallità minore, i cosiddetti valvassori, ma, dopo una serie di vicende, l’operazione si concluse con l’assedio di Milano9. Il conflitto tra i milanesi e l’imperatore fu innescato dal trattamento che

quest’ultimo riservò all’arcivescovo Ariberto da Intimiano: la sua incarcerazione avrebbe fomentato la ribellione dei cittadini10. Infatti, con questo atto il sovrano offendeva l’honor

civitatis poiché la figura dell’arcivescovo era legata direttamente alla persona di Ambrogio, patrono della città e genesi dell’identità urbana11. Negli anni del Barbarossa, le motivazioni

furono le medesime; tuttavia, nel periodo precedente si erano aggiunte, come elemento da

7 Durante i numerosi eventi bellici avvenuti nel Nord Italia tra il 1154 e il 1162, le armate delle città

padane furono sempre presenti mentre gli eserciti di altre aree d’Italia, per esempio la Toscana, vennero citati solo in alcuni casi specifici, come durante il primo assedio di Milano nel 1158. La cronaca del canonico di Praga, Vincenzo, ci presenta un elenco di tutte le forze intervenute in quell’assedio, nelle quali inserisce anche gli uomini della marca di Tuscia; VINCENZO DA PRAGA, Annales, a cura di W. Wattenbach in MGH,

Scriptores, XVII, Hannover 1861, pp. 658-686, p. 673: «Plurime etiam civitates Tuscie et Romaniae, quaedam

cum militia, quaedam domno imperatori debitum offerentes affuerunt servicium, Lucenses scilicet, Pisani, Lunenses, de Aquispendentibus, Senenses, Biterbienses, Sutrinenses, Nepenses, Florentini, Anangientes, Tusculani, Tiburtini, de Orto, de Perusio; aliarum quoque civitatum Tuscie circa Romam adiacentium, plurima et fortis advenit militia».

8 Per i due eventi vedi P. GRILLO, Legnano 1176: una battaglia per la libertà, Roma-Bari 2012; per

Montebello, pp. 101-115; per Legnano, pp. 116-152.

9 Sulla ribellione dei valvassori vedi VIOLANTE, La società milanese, pp. 245-255.

10 Le motivazioni della serrata cittadina contro l’imperatore sono evidenti in alcuni passaggi dei cronisti

milanesi successivi: LANDOLFO SENIORE, lib. II, cap. 23-24, pp. 60-61 e ARNOLFO, lib. II, cap. 12, pp. 92-93.

11 Come ha mostrato bene Marco Navoni, durante l’Alto Medioevo l’identità di Milano si costituì

intorno alla figura di Ambrogio, non solo visto come il fondatore della Chiesa cittadina ma anche come contemporaneo centro catalizzatore della comunità urbana. La costruzione attualizzante del rapporto tra i cittadini e il proprio patrono ebbe come risultato una serie di corollari nei rapporti tra i milanesi e il successore di Ambrogio, cioè l’arcivescovo: il presule presentò, fino all’anno Mille, una formula che faceva riferimento alla provvisorietà della sua carica poiché la cattedra milanese sarebbe stata ancora occupata, non solo metaforicamente, dal santo fondatore. Questo spiegherebbe, inoltre, alcune formule utilizzate dai pontefici per riferirsi all’arcivescovo di Milano, come quella di “vicario di Ambrogio”; per queste deduzioni vedi M. NAVONI, “Comitur Ambrosii meriti urbs Mediolana”. L’identità ambrosiana della Chiesa e della città di

Milano nel primo Millennio in Milano allo specchio. Da Costantino al Barbarossa: da Costantino al Barbarossa. L’autopercezione di un capitale, Milano 2016, pp. 39-54.

154

difendere, anche le prerogative di controllo su tutto quel vasto territorio che era stato conquistato, tra cui anche le due città di Lodi e Como. Se i pochi discorsi tramandatici in difesa dell’identità ambrosiana furono enunciati da personaggi appartenenti al mondo degli iudices, come quello di Gerardo Cagapisto a Venezia nel 1177, l’intera cittadinanza partecipò alla salvaguardia del honor12. Come nel XI secolo, la cattura dell’arcivescovo sanò

le rivalità tra capitanei e valvassori portandoli a combattere fianco a fianco, la sfida di Federico I avrebbe coalizzato le forze cittadine. D’altronde non fu il primo momento nel quale i milanesi riuscirono ad agire in modo unitario: già durante gli anni di guerra contro Lodi e Como, le rivalità tra schieramenti cittadini furono sopite in favore di un’unità d’intenti. Alcuni atti, come l’allontanamento dalla città per un certo periodo dei leaders delle coalizioni rivali, avevano lo scopo di salvaguardare la riappacificazione interna13. Ciò non

vuol dire che non vi fosse una parte della cittadinanza favorevole all’imperatore; alcuni enti, come il monastero di S. Ambrogio, e importanti figure legate alla città, come il conte di Biandrate Guido III il Grande, se non favorevoli, furono almeno benevoli verso Federico I14.

Ma quali furono gli atteggiamenti dei capitanei urbani durante questi anni? Fin ad oggi, si è imposta una visione di questi rapporti coerente con quella riscontrabile nella successiva controversia tra Federico II e la seconda Lega Lombarda: l’aristocrazia si sarebbe divisa tra una parte rimasta legata alla città e un’altra fedele all’imperatore15. Tuttavia,

l’impressione proveniente dalla documentazione del XII secolo offre una realtà differente rispetto a quella del XIII secolo. Nel XI secolo, i capitanei ebbero legami con l’entourage

12 Per il discorso di Gerardo Cagapisto: ROMUALDO SALERNITANO, Chronicon, a cura di C.A.

Garufi in Rerum Italicarum Scriptores, Bologna 1975 (ed. or. Milano 1724), vol. VII, pp. 167-297, p. 276.

13 Per questi riferimenti vedi capitolo 1°, p. 92.

14 Per i rapporti tra Impero e monastero di Sant’Ambrogio vedi A. AMBROSIONI, Il monastero di S.

Ambrogio nel XII secolo tra autorità universali e forze locali in Milano, papato e impero in età medievale: raccolta di studi, Milano 2003, pp. 297-336 (ed. or. in Il monastero di S. Ambrogio nel Medioevo, Milano 1988, pp. 47-81), in particolare pp. 318-331; sui rapporti tra Milano e la casata dei conti di Biandrate vedi

capitolo 2°, pp. 105-106; per le relazioni tra Guido III il Grande e Federico I vedi ANDENNA, I conti di

Biandrate, pp. 66-80.

15 Sui rapporti tra l’aristocrazia e il Barbarossa vedi R. MANSELLI, La grande feudalità italiana tra

Federico Barbarossa e i Comuni in Popolo e Stato in Italia nell’età di Federico Barbarossa: Alessandria e la Lega Lombarda, Torino 1970, pp. 343-361; P. BREZZI, Gli alleati italiani; G. TABACCO, I rapporti tra Federico Barbarossa e l’aristocrazia italiana, «Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo», 96

(1990), pp. 61-83; R. BORDONE, L’aristocrazia territoriale tra impero e città in Le aristocrazie dai signori

rurali al patriziato, Roma-Bari 2004, 1-33. Si consideri che tutte queste analisi focalizzarono la propria

attenzione sulla grande aristocrazia funzionariale, un modello incarnato in area milanese dalla famiglia dei conti di Biandrate. Scarsi, invece, i riferimenti alle famiglie capitaneali, più integrate nel mondo cittadino delle casate comitali o marchionali, seppur, come si è mostrato per il caso di Milano, avessero anche loro un collegamento diretto con l’entourage imperiale. La quasi totale mancanza di studi sulle relazioni tra aristocrazia cittadina e Lega Lombarda, come sottolineato da Renato Bordone, avrebbe enfatizzato una posizione comune della nobiltà verso l’esperienza imperiale. Tale atteggiamento avrebbe molte somiglianze con quello tenuto dalle aristocrazie, in questo caso anche cittadine, durante gli scontri tra la Lega Lombarda e Federico II: un gruppo di nobili cittadini si alleò con l’aristocrazia rurale giurando fedeltà all’imperatore, un altro gruppo rimase in città e si coalizzò con la pars popolare nella lotta contro Federico II e i suoi alleati; per questa divisione in Milano vedi GRILLO, Milano in età comunale, 657-660.

155

imperiale e ancora nel XII secolo la corte imperiale avrebbe attirato la loro attenzione16. A

partire da questi dati, ci aspetteremmo una qualche visibilità dei capitanei milanesi nella documentazione del Barbarossa, più massiccia rispetto a quella degli anni precedenti. Invece, nessuna citazione si riscontra nel numeroso dossier imperiale; al contrario, una forte presenza di capitanei è testimoniata sul fronte opposto, come si mostrerà nei prossimi paragrafi. L’impressione è quella di un’aristocrazia fedele fino alla fine alla causa milanese.

Questo supporto alla realtà cittadina da parte dei capitanei urbani avrebbe motivazioni politiche ed economiche: come si è illustrato nel capitolo precedente, negli anni Cinquanta il consolato era divenuto un’istituzione e, di conseguenza, il suo bacino di reclutamento si era allargato rispetto a quello prettamente di parte che lo aveva caratterizzato ancora durante gli anni Quaranta. Entrare in questo sistema non voleva dire solo inserirsi in un organo politico ma anche in una realtà economica: gli enti cittadini furono capaci di drenare forti risorse dai cittadini e dal territorio e ridistribuirle, per la maggior parte, nei suoi rappresentanti17. Negli anni precedenti, Milano fu capace di raccogliere risorse non solo dal

proprio territorio ma anche dalle località sottoposte al suo dominio; tutti questi beni furono ridistribuiti in ambito cittadino, soprattutto tra coloro che ricoprirono i maggiori incarichi in questo sistema. I capitanei, che avevano per il loro prestigio un ruolo di rilevanza rispetto al resto della popolazione, avrebbero beneficiato, in modo particolare, di queste entrate. Un’altra fonte di risorse rilevante dei capitanei si legava alla politica espansionistica della città: durante le conquiste della prima parte del XII secolo, molte proprietà e diritti nelle zone annesse furono consegnati, o requisiti, dalle forze milanesi. Per esempio, il vescovo di Lodi Arderico ridistribuì molti beni, concessi in precedenza alla vassallità locale, all’aristocrazia milanese dopo la conquista di Lodi; lo stesso sarebbe successo con i territori meridionali della città di Como18. Le numerose proprietà milanesi devastate dagli uomini

del Barbarossa nel territorio del Seprio testimoniano la massiccia presenza della città in questi territori19. Le posizioni del Barbarossa, sia la politica volta alla requisizione di ogni

diritto di natura pubblica sia il disordine nelle proprietà causato dalle devastazioni dei suoi

16 Per alcuni esempi vedi capitolo 5°, pp. 228-231.

17 Vedi MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini, pp. 241-251.

18 Per alcuni esempi dell’espansione delle famiglie milanesi vedi i capitoli prosopografici.

19 Historia Frederici I, p. 57: «Milites vero imperatoris eiusque principum eorumque scutiferi per

Mediolanensem episcopatum atque comitatum seu per Martesanam et Seprium euntes et omnia csatra cunctasque villas expoliantes ac postea comburentes et penitus destruentes, totam fere Mediolanensium terram ita ceperant ac devasterant, quod Mediolanensium terram ita ceperant ac devastaverant, quod Mediolanenses pauca loca habebant, que omnino aut destructa aut devastata non forent»

156

eserciti, avrebbero portato i capitanei urbani a ostracizzare l’imperatore e a rimanere fedeli alla città20.

Un ultimo dato attesta come i capitanei fossero legati fortemente al concetto di honor civitatis. Sebbene l’identità milanese si fosse costruita intorno alla figura di Ambrogio, in tutti gli scontri con il Barbarossa abbiamo una singola citazione del patrono: in un passo, riportato nel cosiddetto “Anonimo milanese”, la sera prima della battaglia di Carcano, una delle poche vittorie milanesi della prima parte della guerra, il presule pronunciò un discorso nel quale fece riferimento alla protezione di Ambrogio sull’esercito riunito. A pronunciare questo sermone fu l’arcivescovo Oberto da Pirovano, attorniato dall’arciprete Milone da Cardano, dal diacono Galdino della Sala e dal custode del tesoro Algisio da Pirovano; tutti e quattro provenienti da famiglie capitaneali21.

Outline

Documenti correlati