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I capitanei e il Barbarossa: la divisione tra città e territorio (1155-1185)

3.2 I capitanei rurali: la sfida alla città

3.2.5 Un tentativo di opposizione ai tempi del Barbarossa: il caso di Belforte

I rapporti tra l’aristocrazia del Seprio e la dominante Milano cambiarono nella seconda metà del XII secolo: la discesa dell’imperatore Federico Barbarossa permise ai primi di prendersi una rivincita sulla città. Già dopo l’assedio nel 1158, i Sepriesi, insieme ai Martesani, scesero a patti con l’imperatore per uscire dall’orbita ambrosiana; inoltre, Federico investì il conte Goswin di Heinsberg del potere sulle due regioni94. La risposta

milanese non si fece attendere: nel 1160 dopo la battaglia di Carcano, dove i milanesi acquisirono un vantaggio strategico sulle forze imperiali, gli eserciti della città entrarono nel comitatus ribelle per riprenderne il controllo e punire coloro che avevano collaborato con la ribellione. Le istituzioni cittadine mandarono un contingente di cavalleria e di fanteria per presidiare le località di Appiano, sede pievana, Mozzate e Crenna; nello stesso tempo, l’arcivescovo partì con un centinaio di suoi cavalieri, avanguardia di un gruppo di militi più numeroso, verso Varese e lì lascio i milites come parte di un piano di riconquista del territorio che avrebbe compreso distaccamenti presso Arcisate, Induno e Biandronno95. Le istituzioni

93 Per le sentenze del consolato milanese nei riguardi degli enti ecclesiastici vedi G. PICASSO,

Monasteri e città; E. OCCHIPINTI, Monasteri e comuni.

94 Gesta Federici I imperatoris, p. 34: «postea ascendit Modoetiam et ibi moratus est plus octo diebus,

et ibi fecit concordiam cum Martensibus et Sepriensibus data eis maxima pecunia; et cis drelinquerunt Mediolanenses, quibus iuraverant et quibus innumerabilibus parentelis coniuncti sunt»; la carica di funzionario imperiale del conte Goswin si trova in OTTONIS ET RAHEWINI, p. 296: «Verum comes Gozwinus, qui tunc comitatum Sefrensem et Martusanum iussus a principe satis provide administrabat».

95 Gesta Federici I imperatoris, p. 47: «Post paucos dies consules Mediolani posuerunt milites centum

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cittadine si coordinarono tra loro per «multus Sepriensis oppresserunt». La ribalta milanese fu di breve durata poiché la città era fiaccata dagli scontri su più fronti e dalla superiorità numerica degli eserciti imperiali: testimonianza delle difficoltà milanesi è la mancata conquista del castello di Castiglione nel marzo 1161, fortezza posta sotto assedio dall’esercito cittadino ma abbandonata all’avvicinarsi dell’armata imperiale96. Nel maggio

1161, la situazione si capovolse definitivamente, grazie agli aiuti che il Barbarossa probabilmente era riuscito a inviare al conte Goswin; egli riuscì così, insieme alle forze sepriesi, a conquistare il castello di Biandronno, presidiato da qualche mese dalle truppe arcivescovili. Circa nello stesso periodo, la ribellione coinvolse gran parte delle forze locali: è probabile che l’arciprete Landolfo abbia consegnato le chiavi del castello di S. Maria di Velate agli uomini dell’imperatore proprio in quei giorni97. Dal 1162 al 1167 il Seprio fu

sottoposto al controllo imperiale da parte del conte Goswin, il quale attuò una politica favorevole all’élite locale: le vessazioni ai milanesi furono attuate in vari modi, per esempio sia proibendo loro di richiedere la restituzione dei prestiti contratti in passato con gli abitanti del Seprio sia imponendo ad alcuni prigionieri di annullare i crediti che avevano contratto con i Sepriesi98. Tale politica avvenne in collaborazione con l’élite aristocratica della regione

come testimoniato dalle vicende intorno al castello di Belforte99.

Tale fortificazione, situata nelle vicinanze di Varese, fu al centro del tentativo più esplicito dei Sepriesi non solo di emanciparsi dal potere milanese ma di rompere del tutto cone le testimonianze dell’antica sottomissione: l’élite locale tentò di creare una località alternativa che potesse sostituire nelle funzioni politiche, economiche e giudiziarie il luogo di Varese, considerato il centro di emanazione del dominio milanese. Infatti, Varese era divenuta, anche grazie al dominio diretto dell’arcivescovo milanese, la località principale di tutto l’Alto Seprio: prima del 1158, la maggior parte dei contratti rilevanti vennero firmati in questa località – un esempio è il primo atto dei consoli del Seprio - e vi era anche il palazzo

cum centum militibus; et tenuerunt Arsizate et Indunum et Blandronum et hiemaverunt ibi et multum Seprienses oppresserunt».

96 Gesta Federici I imperatoris, pp. 47-48: «Mense vero Martii ceperunt obsidere Castellionum et per

totam quadragesimam usque ad diem Veneris sancti obsiderunt illud, capere non potuerunt; et multa ibi expendiderunt, quibus cibaria quesisse debuerant».

97 Vedi sopra, nota 65.

98 Gesta Federici I imperatoris, p. 55-56: «Comes Gozonus in Seprio e Martexana secundum predictum

modum colligebat et peccunias creditas Sepriensibus et Martexanis exigi prohibebat et mutos Mediolanensium instrumenta reddere et debito finem facere captos coegit».

99 Sull’esperienza di Belforte è fondamentale il testo prodotto da Alfredo Lucioni: LUCIONI, “Tempore

Belforte”: genesi di un indicatore temporale nella storia varesina del XII secolo, in «Agorà», 2 (1998), pp. 7-

22. In corso di pubblicazione vi è anche un nuovo intervento dello studio, nel quale approfondisce l’analisi prodotta nel suo primo articolo: ID., Belforte: favole e storia di un castello nel medioevo varesino. Devo ringrazie Alfredo Lucioni per avermi permesso di leggere in anteprima l’elaborato; la quasi totalità delle informazioni in questo paragrafo sono da ricondurre alle sue deduzioni.

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del presule, centro del potere milanese100. Per questo motivo, il consolato rurale volle creare

un polo alternativo: il primo documento prodotto a Belforte fu un giudizio dei consoli del Seprio nel 1163 sulla questione che divideva l’arciprete di S. Maria al Monte ai vicini di Velate101. Seguirono altri sei documenti con la data topica riferita a Belforte tra cui un

secondo atto del consolato, il 20 maggio 1165, sempre in una controversia tra la chiesa e i vicini di Velate102.

Nel periodo tra il 1162 e il 1166 vennero prodotti, o almeno si sono conservati, solo documenti prodotti a Belforte; nello stesso periodo non furono scritti documenti a Varese e nelle sue vicinanze. La prova che i documenti di Belforte furono prodotti da un’élite il cui obiettivo era esautorare il potere cittadino è testimoniato sia dai giudizi sia dalle persone che parteciparono a queste sentenze. La causa del 1163 è in continuità con quel documento del consolato milanese del 1153, già citato: infatti, i vicini di Velate, beneficiari della sentenza milanese, portarono nel dibattimento, come prova a loro favore, l’atto dei consoli di Milano. Eloquente la formula con la quale i consoli del Seprio rigettarono la validità di tale documento: «predicti de Vellate portulerunt sentenciam a consulibus Mediolani datam et dederunt testes, quibus nulla est adibita fides». Sarebbe superfluo aggiungere che la sentenza milanese venne ribaltata, dando ragione alla canonica di Santa Maria. Passando, invece, ai personaggi intervenuti si possono constatare due caratteristiche: la prima è che tutti gli intervenuti continuarono a far parte, come già nel 1148, dell’aristocrazia locale, rappresentando quindi esclusivamente lo strato superiore della popolazione103; la seconda è

il perdurante legame con la curia imperiale. In una sentenza emessa a Monza il 9 febbraio 1164 dall’arcivescovo di Colonia, Rainaldo di Dassel, cancelliere d’Italia e vicario di Federico I, furono citati una serie di testimoni del Seprio; questi appartenevano a famiglie legate al gruppo riunito a Belforte. La presenza, nello stesso atto, del conte Goswin di Heisberg dimostra come il consolato avesse un rapporto di collaborazione con il funzionario imperiale104. Ulteriore testimonianza dell’atteggiamento antimilanese di questi aristocratici

100 Sul palazzo arcivescovile di Varese: M.TAMBORINI, Note sul palazzo arcivescovile di Varese nel

Medioevo, «Rivista della Società storica varesina», 31 (2014), pp. 61-76.

101 S. Maria Velate, I, n. 145, pp. 248-251.

102 Pergamene milanesi, IX, n. 76, pp. 123-125; n. 77, pp. 125-127; n. 78, pp. 127-128; n. 80, pp. 129-

130; S. Maria Velate, I, n. 154, pp. 264-265.

103 Alla sentenza consolare del 13 aprile 1162 (S. Maria Velate, I, n. 145, pp. 248-251) furono presenti

Guglielmo da Cardano, forse parente del Milone da Cardano ordinario della cattedrale e favorevole ai milanesi, testimonianto un caso di divisione familiare tra capitanei urbani e rurali; Enrico e Filippo de Cuvi appartenenti alla famiglia dei capitanei de Cuvio, originari della Valcuvia (L’archivio della chiesa plebana di S. Lorenzo

in Cuvio: gli atti 1174-1250, a cura di Peregalli–Ronchini, Cuvio 1989). Tedaldo de Castellonovo era figlio di

un Uberto autore di una donazione post mortem nel settembre 1157 rogata nell’attuale Castelnuovo Bozzente nella pieve di Appiano (Pergamene milanesi, XV, n. 26, pp. 51-52). Nella sentenza del 1165 (S. Maria Velate, I, n. 152, pp. 260-262) furono attivi Guarnerio da Castiglione e Ardizzone de Cuvio.

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è il già citato più volte, arbitrato del 1170 tra Milano e Como, quando l’esperienza di Belforte si era già conclusa e la città ambrosiana aveva ripreso il proprio controllo sulla regione. Il processo avrebbe dovuto segnare i confini tra i due territori e i Comaschi portarono a testimoniare gli eredi del conte di Castelseprio e alcuni uomini del Seprio, sempre membri delle casate di Belforte. Tale decisione aveva l’obiettivo di indebolire la posizione milanese ma il diploma imperiale del 1185 avrebbe distrutto le ultime speranze degli abitanti di Como e dei Sepriesi.

L’esperienza di Belforte si presenta come il tentativo da parte di una forza politica di scontrarsi con l’ambiente cittadino, annullando quella centralità socio-economica che era il motivo del successo della penetrazione urbana nel mondo rurale. Rispetto ad altri tentativi di questo genere, il caso di Belforte appare su un piano inferiore105: la “nuova città” non

105 Un’altra esperienza di costruzione di un nuovo insediamento demico, edificato con l’intento di

indebolire la città, riguarda la toscana Semifonte, voluta dal conte Alberto IV degli Alberti per contrastare, nella zona della Val d’Elsa, l’espansionismo di Firenze. Semifonte e Belforte ebbero solo in comune l’iniziativa in mano a forze fedeli all’Impero e il loro fallimento; tutte il resto testimonia le profonde differenze tra la realtà lombarda e quella toscana. Il primo dato è quello temporale: Belforte fu un’esperienza durata pochi anni, più o meno dal 1162 al 1168, e Milano, già nel 1170, aveva ripreso il controllo della valle di Varese. Semifonte, invece, riuscì a resistere per più di tre decenni dal 1177 al 1202 e la sua capitolazione avvenne dopo tre lunghi anni di assedio da parte delle forze fiorentine. La seconda differenza è l’attore principale di questa iniziativa: a Belforte fu l’aristocrazia locale, riunita nel consolato, senza nessun intervento della stirpe comitale, cioè un vasto gruppo di milites locali senza un leader chiaro; a Semifonte l’iniziativa fu in mano a uno dei personaggi più rilevanti della regione, membro di una delle famiglie comitali più ricche e importanti della Toscana di quel periodo, capaci di costruire forti relazioni con quello strato di milites rurali che compose il nucleo della resistenza alla città. In questo ambito, il caso di Semifonte potrebbe essere paragonato più a Biandrate, centro creato dagli omonimi conti aalla fine dell’XI secolo proprio per opporsi a Novara, che a Belforte: la stessa Biandrate venne infine distrutta, in questo caso dalle forze della Lega Lombarda, ma l’appoggio di Milano gli permise di resiste ben oltre la metà del XII secolo. Infine, a distinguere i due casi vi sarebbe l’obiettivo perseguito: i Sepriesi non tentarono mai di opporsi direttamente a Milano ma si limitarono a contrastare l’influenza che un centro filomilanese come Varese aveva acquisito nella zona; l’aristocrazia rurale non avrebbe potuto contrastare le forze milanesi, come ben evidenziato dalla rapida riconquista del controllo sull’area avvenuta nel 1170. Semifonte, invece, fu un tentativo di resistenza all’espansione fiorentina da parte di una di quelle grandi casate comitali che circondarono, con i loro beni e proprietà, il territorio della città; ci si trova di fronte a una sfida diretta al mondo cittadino e la conclusione fu un inevitabilmente intervento armato di Firenze e una distruzione della località. I due tentativi ebbero caratteristiche diverse perché si concretizzarono in contesti ben differenti: le dinastie comitali aveva un potere chiaramente opposto, da una parte i potenti Alberti e dall’altra i deboli da Castelseprio, con una conseguente diversità nelle capacità di organizzazione dei milites rurali. Anche le due città erano due mondi differenti: Milano era una delle più grandi città dell’epoca, aveva iniziato la propria politica d’espansione da più di un secolo e, sebbene indebolita dalle guerre contro il Barbarossa, riuscì velocemente a riprendersi grazie alle sue capacità economiche. Firenze, a metà del XII secolo, aveva da poco iniziato quell’ascesa politica che gli avrebbe permesso di affermarsi come città principale della Toscana; la civitas aveva anche tentato di opporsi alle forze imperiali ma fino alle sconfitte patite nel Nord Italia dal Barbarossa, la Toscana rimase una terra di dominio imperiale. Infine, non bisogna scordare una caratteristica che avrebbe reso più efficace l’azione degli Alberti rispetto a quella dei Sepriesi: la natura del territorio. Belforte era una fortificazione naturale costruita alla convergenza delle valli originate dai fiume Olona e Vellone. Eppure, l’arrivo degli eserciti milanesi sarebbe stato favorito dalla conformazione del territorio: sebbene Belforte distasse circa una cinquantina di chilometri da Milano e avesse un dislivello di più di trecento metri, la strada era caratterizzata da una leggera continua pendenza usuale nel passaggio dalla Pianura Padana settentrionale alle Prealpi. Questo continuo ma leggero dislivello avrebbe permesso all’esercito milanese di essere in poco tempo alle porte della valle di Varese; solo gli ultimi quindici chilometri presentano un profilo più frastagliato. I continui dislivelli che contraddistinguono ancora oggi l’area meridionale di Firenze, composta da ampie colline intervallate da piccole e impervie valli, avrebbero reso l’arrivo dei fiorentini molto più arduo, pur trovandosi Semifonte a solo trentacinque chilometri dalla città. Per la storia di

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fronteggiò direttamente il capoluogo ma una località che rappresentava il potere cittadino in sede regionale. Su questo livello, Belforte si può inserire nella categoria delle villanova, località create ex novo da una determinata autorità per assicurarsi il potere in un’area a discapito dei propri avversari106. Gli uomini di Belforte rappresentarono solo parte di un

sistema politico volto a esautorare i milanesi da qualsiasi ingerenza politica: insieme a loro vi erano gli antichi rappresentanti del potere comitale e il nuovo funzionario imperiale, i quali probabilmente cercarono di creare, o rafforzare, le proprie clientele locali. Il gruppo di Belforte, nelle varie istanze che costituirono l’opposizione a Milano, sarebbe da identificare con i capitanei rurali, decisi a prendersi una rivincita sui propri “cugini” rimasti fedeli al sistema cittadino.

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