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l’origine dei capitanei urbani e rurali (1045-1111)

1.3 L’ascesa di un nuovo regime: le trasformazioni durante l’episcopato di Grossolano (1100-1111)

1.3.4 La riconfigurazione di un nuovo assetto politico: la deposizione di Grossolano

Landolfo narra come si fosse costituito un gruppo di opposizione all’arcivescovo che, non potendo agire in città, decise di occupare le fortezze arcivescovili, così che l’autorità e i proventi del presule diminuissero201. Di tale gruppo fecero parte Andrea Dalvultum

primicerio, Guglielmo abate di S. Ambrogio e Ottone Visconti, quest’ultimo rappresentante del gruppo degli imperiali più radicali, tanto da morire, qualche anno dopo, a Roma durante la spedizione di Enrico V202. Non si conoscono i castelli occupati dalla parte di Liprando ma

le fortezze dovettero rimanere a lungo nelle loro mani se ancora tra il 1107 e il 1110 un passo di Landolfo testimonia che Grossolano non avesse accesso ad alcuni castelli di sua proprietà come quello di Arona203. Le spiccate qualità politiche, che abbiamo sottolineato già per il

periodo della Pataria, furono uno dei motivi dell’ascesa dei capitanei nella gerarchia delle coalizioni d’interesse: ne è prova, poco dopo l’approvazione della decisione di inviare la questione della prova del fuoco al pontefice, l’affermazione di Amizzone da Landriano, relativamente a tale decisione: «E’ come cercare di far affogare una nutria»204. Queste parole

dovevano essere un detto utilizzato in quegli anni per rimandare a una cosa impossibile; come è impossibile che una nutria, animale per definizione acquatico, riesca ad affogare, allo stesso modo sarebbe stato irrealizzabile che Pasquale II, favorevole a Grossolano, al quale aveva inviato il pallio attraverso un suo legato, desse ragione a Liprando.

1.3.4 La riconfigurazione di un nuovo assetto politico: la deposizione di Grossolano

Nella sinodo romana del 1105, Grossolano uscì vincitore assoluto della diatriba con Liprando grazie al supporto di alcuni suffraganei e soprattutto del gruppo di cittadini

201 LANDOLFO IUNIORE, cap. 20, p. 29: «Grosulanus vero, gratia Guilielmi abbatis monasterii sancti

Ambrosii, et Andree Mediolanensis ecclesie primicerii, et Ottonis vicecomitis et alliorum multorum prudentum tum clericorum quam laycorum, nec sedem nex aliquam munitionem archiepiscopatus post legem ipsam, a presbitero factam, sive restitutionem, a synodo celebratam, habuit».

202 Sulla figura di Ottone Visconti vedi capitolo 5°, pp. 229-230.

203 LANDOLFO IUNIORE, cap. 25, p. 31: «Et cum apud ipsum magistrum et fratrem eius Rodulphum

studeremus, nuntiatum est illic, quod Grosulanus Aronam, arcem munitissimam archiepiscopatus, possidet. Quo audito, vicedominus vlade infremuit, quia propter eius absentiam dicebatus quod hic secundus casus Grosulano contigerit. Et ideo, prout dicitur, Mediolanum redire festinavit, ipsamque arcem et cetera, ad archiepiscopatum pertinentia, a iure et potestate Grosulani vacuam invenit». Uno dei castelli potrebbe essere, oltre Arona, quello di Lecco per la vicinanza al monastero di Civate che, come ho sottolineato, fu legato alla parte di Liprando. Altro dato a favore di un’occupazione da parte di questa pars del castello è la facilità con la quale il sacerdote poté rifugiarsi nei momenti di difficoltà in Valtellina; la strada lacustre verso le valli alpine era dominata da questa fortezza e sarebbe stato difficile per i seguaci di Liprando riuscire a rifugiarsi in quelle zone senza il favore di chi controllava Lecco.

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appartenente alla turba connexionis Nazarii205. Il primato dell’arcivescovo non ebbe una

corrispondenza diretta nel rapporto con gli altri poteri dopo il ritorno in città206: sebbene le

informazioni di Landolfo relative a un’immediata ripresa delle ostilità urbane tra i rappresentanti delle due coalizioni siano da considerare un modo di screditare la vittoria del gruppo avverso, una lettera di Landolfo da Baggio al pontefice testimonia come la violenza cittadina dovette, di nuovo, aver raggiunto un livello tale da ipotizzare uno sgretolamento degli assetti politici207. La risposta del pontefice sembrerebbe fare riferimento agli anni della

Pataria, poiché promise l’invio di una delegazione con lo scopo di negoziare un accordo di pace. Questa prospettiva non si avverò mai perché il sistema seguì delle dinamiche di autoregolamentazione: abbiamo la testimonianza, infatti, di un esilio da parte dei membri più rilevanti del gruppo di Liprando fino almeno al 1107208. In questo arco di tempo, le

205 LANDOLFO IUNIORE, cap. 20, p. 29: «Verumtamen nec papa nec eius sinodus ad hoc tunc respexit;

sed ipsum Grosulanum Azoni, Aquensi, et Arderico Laudensi atque Jordano de Clivi et ceteris Mediolanensibus tam clericis quam laycis, verum etiam episcopis eiusdem ecclesiae suffraganeis, volentibus habere eum in archiepiscopum, licet otiose, restituit». Azzone, vescovo di Aqui, fu uno dei maggiori sostenitori di Grossolano, anche dopo la deposizione dell’arcivescovo: non fu presente alla consacrazione di Giordano da Clivio e, inoltre, ci è pervenuta una sua lettera a Enrico V del 1112 nella quale auspica un ritorno dell’imperatore al fine di riappacificare la realtà della sua arcidiocesi; il riferimento sembra alludere che la causa dell’accendersi delle violenze sia stata la deposizione di Grossolano (vedi sotto, nota 228). Arderico, vescovo di Lodi, fu sostenitore di Grossolano e fautore dell’alleanza della propria pars con Milano; divenne vicario durante le assenze dell’arcivescovo tra il 1107 e il 1111. L’appoggio personale al presule milanese si evince dalla decisione di Arderico da Carimate, ex fedele all’arcivescovo ora leader della maggioranza che lo volle spodestarlo, di andare a consacrare, in assenza di Grossolano, alcuni ecclesiastici, tra cui il futuro presule Giordano da Clivio, dal vescovo di Genova e non dal vicario lodigiano (LANDOLFO IUNIORE, cap. 25, p. 31). Ancora più emblematica fu la scelta di non partecipare alla consacrazione di Giordano pur essendo come vicario, il più qualificato a far parte dei vescovi celebranti (LANDOLFO IUNIORE, cap. 32, p. 33: «Sed Astensis cum vidisset, episcopum Aquensem et Laudensem et ceteros sufraganeos et comprovinciales episcopos huic ordinationi et novitati abesse, innuit ordinationem Yordani differendam fore; et velut homo volens fugere, surexit in nocte, et cum suis rebus cepit abire»).

206 LANDOLFO IUNIORE, cap. 20, p. 29: «In qua predictus Landulphus de Vareglate, qui post ipsam

sinodum fuit Astensis episcopus, neque ante papam vel eius curiam vel synodum adversum Grosulanum verbum ignominiosum protulit». Il passo testimonia la speranza del gruppo di Liprando che Landolfo di Vergiate, tenuto in grande considerazione da papa Pasquale II, potesse parlare in loro favore durante la sinodo. Non sappiamo per quale motivo avessero questa aspettativa seppur la posizione del preposito di S. Nazaro, durante la sua legazione a Milano, fu probabilmente ambigua: egli avrebbe dichiarato, in un discorso al popolo, che la decisione di affidarsi a Roma avrebbe garantito una decisione equa, accennando a una possibile sua posizione contro Grossolano (LANDOLFO IUNIORE, cap. 19bis, p. 28). Non possiamo conoscere se queste parole siano state veramente pronunciate da Landolfo oppure siano un’invenzione dello Iuniore; nel caso fossero autentiche dovremmo inserirle in un piano della turba connexionis Nazarii volto a far considerare, dal gruppo opposto, la soluzione romana come la più auspicabile per avere una conclusione della vicenda a proprio favore.

207 LANDOLFO IUNIORE, cap. 21, p. 29. ROSSINI, Note alla «Historia Mediolanenses», p. 455:

Landolfo da Baggio, un tempo il leader della pars opposta ad Anselmo da Bovisio, lungo il corso del suo episcopato si avvicinò sempre più al presule tanto da divenire uno dei suoi sostenitori ecclesiastici più fedeli. Ritornato dalla spedizione in Oriente, probabilmente, pur non entrando mai nei grossoliniani, non fece parte, neanche, dei suoi maggiori oppositori.

208 LANDOLFO IUNIORE, cap. 22, p. 29: «Ego quoque in hoc regali et sacerdotali turbine, orescendo

tribulationes improperiorum, que fiebant et fiunt michi propter livorem sepe dicti presbiteri avunculi mei, salva eius reverentia, ipsius convictum vitavi; et Anselmo de Pusterla et Olrico vicedomino Mediolanensi adhesi, quibus duobus domi et foris, ut manifestum est, utilis et rectus fui. Cum Anselmo namque per annum et dimidium Turoni et Parisinis in scolis magistri Alfredi et Guilielmi legi, et legendo, scribendo multisque aliis modis Anselmo multam comoditatem dedi. Meus vero sepe dictus avunculus infra huius anni et dimidii spatium

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informazioni relative al governo della città sono nulle a causa della lontananza di Landolfo Iuniore; l’esilio dalla città non fu volontario ma imposto da una nuova coalizione d’interesse che si costituì tra il 1105 e il 1110. Appena rientrato in città, Landolfo descrive le forze che costituirono questo fronte: «Grosulanistas et in parte altera fictos et dolosos murmurare de reditu nostro, valde persensimus»209. Se con il termine grosulanistas è identificabile la turba

connexionis Nazarii, più difficile è identificare «in parte altera»; potrebbe coincidere con un gruppo cittadino, che Landolfo ebbe difficoltà a identificare con un nome specifico, il quale avrebbe rappresentato una posizione intermedia tra le partes, volta a affermare una concordia tra i gruppi cittadini. Non sappiamo chi facesse parte di questo raggruppamento ma, in questo periodo, cercarono un’alleanza con i fedeli del presule per uno scopo ben specifico: l’azione militare contro Lodi.

La costituzione di una «societas» con una delle partes della vicina città, quella capitana dal vescovo Arderico e dal fratello Gairardo, permise a Milano di interferire nelle lotte di potere in atto a Lodi210. Perciò, lo scopo dell’alleanza ambrosiana era quello di

allentare le diatribe interne per poter concentrare le proprie forze nello scontro per Lodi, conflitto che si sarebbe inquadrato in una lotta per l’egemonia della regione tra Milano e un’associazione composta da Lodi, Cremona e Pavia211: in questa prospettiva si può

comprendere l’allontanamento dalla città dei leaders di entrambe le coalizioni, alle quale, comunque, vennero date rassicurazioni riguardo ai propri interessi urbani212. Si dovrebbero

homines, qui non pro amore divine legis et ecclesiastice consuetudinis litigabant de sua lege et Grosulani restitutione, dimisit, et eorum civitatem exivit, atque Valtilinam vallem, a Mediolano ultra septuaginta miliaria remotam, habitavit».

209 LANDOLFO IUNIORE, cap. 20, p. 29.

210 LANDOLFO IUNIORE, cap. 24, p. 30. A. CARETTA, «Consules», «Potestates» e «Potestas»: note

sugli istituti comunali a Lodi nel XII secolo, «Archivio storico lodigiano», 26 (1978), pp. 5-54. La situazione

politica di Lodi non dovette essere troppo differente da quella di Milano; la documentazione presenta uno spazio politico diviso in due partes, una rappresentata dal vescovo e dai suoi sostenitori, l’altra dalla vassallità episcopale che aveva usurpato i beni concessi dal presule negli anni precedenti ad Arderico. Lo scontro si inasprì fortemente e l’intervento di Milano servì a rafforzare il peso del vescovo nello spazio cittadino; un’autorità, fino a quel momento, inferiore a quella dell’altra coalizione se troviamo spesso Arderico a Milano, molto probabilmente esiliato dai leaders del fronte opposto. È difficile, a causa della scarsa documentazione, comprendere la posizione dei due schieramenti rispetto alle lotte tra Impero e Papato; non conosciamo se questi raggruppamenti si fossero già affermati in epoche precedenti poiché le prime attestazioni di Arderico furono successive al sinodo del 1098.

211 BARNI, Milano verso l’egemonia, p. 285.

212 Le trattative avvenute tra le coalizioni e le rassicurazioni che il regime cittadino aveva proposto a

entrambi i gruppi sono testimoniate dal passo di Landolfo in cui Olrico da Corte, ancora uno dei maggiori sostenitori di Liprando, venne informato della conquista della rocca di Arona da parte di Grossolano; questa azione avrebbe violato i patti e quindi l’ecclesiastico sarebbe tornato infuriato in città per accusare il regime dell’infrazione. Giunto a Milano, però, venne informato che la notizia era falsa e che i patti erano ancora in vigore, perciò ritornò in esilio: LANDOLFO IUNIORE, cap. 25, p. 31.

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così leggere i continui riferimenti di Landolfo Iuniore a un rapporto diretto tra le forze cittadine e Grossolano213.

L’iniziativa politica segnò il mutamento avvenuto nella mentalità dei soggetti politici, in particolare di quelli non riconducibili all’amministrazione arcivescovile: tali organi, il cui operato ebbe l’unico scopo di ristabilire e conservare la pace urbana, avrebbero operato in modo autonomo rispetto alle volontà dell’arcivescovo se la presenza di quest’ultimo avesse provocato l’alterazione della concordia urbana. La nuova coalizione si sarebbe presentata come interprete della volontà della cittadinanza, in contrasto con la posizione dell’arcivescovo, visto oramai come uomo di parte. La Coniuratio, nome utilizzato da Landolfo Iuniore per identificare questa nuova coalizione, fondò la propria autorità sulle relazioni con buona parte dei soggetti politici cittadini. Per questo motivo non si deve considerare l’assetto di potere costituito dai suoi appartenenti come pienamente affermato nello spazio cittadino, sebbene fossero riusciti a conciliare le volontà di una serie di attori, sia interni all’amministrazione arcivescovile sia formalizzati alla sua ombra. Tuttavia, ci troviamo davanti al primo caso di coalizione d’interesse che sia riuscita a considerare la propria azione rappresentazione di tutta la cittadinanza, senza che questa condotta si basasse e avesse l’avvallo di una delle tradizionali fonti di autorità e legittimità. Le capacità, e le aspettative, acquisite da questa realtà cittadina si sarebbero espresse chiaramente nella deposizione di Grossolano.

La congiura attuata tra il novembre e il dicembre 1111 fu il risultato degli avvenimenti nei due anni precedenti che permisero il cambio di regime214; questo

cambiamento fu incarnato dall’arbitrato dei diciotto uomini sulla legittimità dell’elezione di Grossolano215. Il 1110 fu un anno fondamentale per vari motivi: da una parte Grossolano

venne obbligato non solo a continuare il proprio esilio ma a iniziare un pellegrinaggio verso la Terrasanta che lo avrebbe allontanato da Milano per un lungo tempo; dall’altra il rex Romanorum Enrico aveva annunciato, alla dieta di Ratisbona, la sua discesa in Italia prima della fine dell’anno216. La ricomparsa dell’imperatore, il cui imponente esercito venne

esaltato dalla cronachistica coeva, non solo imperiale, le vittorie conseguite, sia contro le città ribelli che contro il Papato, e la riappacificazione con Matilde di Canossa, segnarono

213 LANDOLFO IUNIORE, cap. 25, p. 31: «Et hii, qui in utraque dicebantur amici […] qui magis erant

in parte Grosulani prebuerunt Grosulano conscilium».

214 LANDOLFO IUNIORE, capp. 30-31, pp. 32-33.

215 ROSSINI, Nota alla «Historia Mediolanensis», pp. 473-376; DARTMANN, Politische interaktion,

pp. 94-96.

216 EKKEHARD VON AURA, Chronica, a cura di G.H. Pertz in MGH, Scriptores, VI, Hannover 1844,

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un nuovo capitolo nei rapporti tra le forze politiche attive nel Regno d’Italia217. Si analizzerà

successivamente la centralità di questa discesa per il ruolo di Milano nelle gerarchie del Regnum Italiae negli anni Dieci e Venti del XII secolo, qui ci si limita a osservare come la nuova posizione di Milano sul piano sovralocale avesse bisogno di una forte e unita rappresentanza e come questo potesse avvenire solo attraverso la costituzione di una configurazione politica che non provocasse un costante stato di tensione tra le forze cittadine.

La sistematica occupazione delle cariche ecclesiastiche attuata dalla Coniuratio, volta a contrastare e isolare i gruppi più radicali delle due partes, ebbe il suo apice nell’arbitrato del 1111218. La narrazione della vicenda testimonia come vi fosse un accordo

precedentemente stabilito tra le parti in causa: i due gruppi, che rappresentavano la maggioranza della popolazione (grossoliniani e la «pars altera»), decisero di risolvere definitivamente il problema delle lotte cittadine attraverso la deposizione di Grossolano e la nomina di un arcivescovo che potesse riprendere la politica di concordia dei presuli filoromani. I congiurati concordarono sulla necessità di trovare una soluzione, in particolare sulla contestazione della consacrazione di Grossolano, incentrata sul fatto che egli, già vescovo di Savona, non potesse essere anche arcivescovo di Milano. L’arbitrato, in realtà, fu solo l’azione pubblica di una decisione già presa in privato. Questo fatto è testimoniato dalla scelta degli arbitri: se nel gruppo dei Grossoliniani troviamo alcuni dei maggiori fautori dell’arcivescovo, dall’altra parte non vennero considerati i più grandi oppositori alla sua politica219. Il giuramento fu ancora una volta centrale per l’attuazione della prospettiva

217 Enrico V, già durante il primo viaggio, favorì la produzione di tutta una serie di testi che esaltassero

la potenza della sua discesa in Italia e la concordia portata nella caoitica realtà politica italiana: S. WEINFURTER, Reformidee und Königtum im spätsalischen Reich. Uberlegungen zu einer Neubewertung

Kaiser Heinrichs V in Reformidee und Reformpolitik im spätsalisch-frühstaufischen Reich, Mainz 1992, pp. 1-

45. Anche il vescovo di Aqui scrisse, nel 1112, una lettera all’imperatore nella quale venne evidenziata l’imponenza dell’esercito del sovrano; Codex Udalrici in Monumenta Bambergensia, a cura di P. Jaffé, Berlin 1869, pp. 1-469, n. 161, pp. 287-289: «Neque multum magno exercitu indigetis. Vestra est enim adhuc Longobardia; dum terror, quem ei incussistis, in corde eius vivit». Durante la discesa del 1110 Novara e Arezzo furono distrutte dall’esercito imperiale: F. OPLL, Stadt und Reich im XII Jahrhundert (1125-1190), Wien 1986, p. 192, 353; E. GOEZ, Zwischen Reichszugehörigkeit und Eigenständigkeit: Heinrich V. und Italien; ein

Werkstattbericht in Heinrich V. in seiner Zeit: Herrschen in einem europäischen Reich des Hochmittelalters,

Wien 2013, pp. 215-232, pp. 227-228.

218 I congiurati occupavano molti ruoli chiave nella gerarchia ecclesiastica: Arderico da Carimate era

arcidiacono, Anselmo della Pusterla vicedomino, Olrico da Corte arciprete.

219 Dalla parte dei grossoliniani sono citati Arderico da Carimate, Nazario Muricola e Ambrogio,

presbitero di S. Giovanni in Conca, la chiesa in cui l’arcivescovo aveva aspettato l’esito del giudizio della prova del 1103 e che aveva tra i suoi sacerdoti anche un altro sostenitore di quel gruppo, Albino da Magenta. Dall’altra parte abbiamo Anselmo della Pusterla, che aveva accompagnato prete Liprando nell’esilio in Valtellina nel 1105. Tuttavia, il fatto che avesse ricevuto da poco la carica di vicedomino, appartenuta fino a poco prima a Olrico da Corte, un altro fedelissimo dello zio di Landolfo, passato alla Coniuratio, fa ritenere che lo stesso Anselmo potesse aver cambiato atteggiamento. Una testimonianza della nuova posizione di Anselmo sarebbe la carriera successiva che lo avrebbe portato nel 1126 ad ascendere al soglio arcivescovile. La stessa ipotesi si può proporre per Guazzo Cumino e Amizzone della Sala, coloro che richiesero il giudicato: successivamente, infatti, occuparono una posizione rilevante nel capitolo cattedrale (capitolo 4°, p. 215). Mancano, invece, alcuni dei maggiori avversari dell’arcivescovo come prete Liprando, il quale però aveva una

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politica. In questo caso, l’attenzione deve essere posta su coloro che avrebbero dovuto difendere questo impegno: le forze nominate coincisero con quelle citate nel documento di istituzione della festa religiosa del 1105220. Da una parte troviamo gli ordinari tra cui

spiccava Olrico da Corte arciprete, uno dei maggiori sostenitori di Liprando ora alleato con la Coniuratio; dall’altra abbiamo nominati alcuni rappresentanti dell’autorità cittadina in particolare Giovanni Maineri, la cui famiglia parteciperà per decenni al regime urbano221.

La sottolineatura su alcuni nomi è sempre accompagnata con la formula «alii clerici, sacerdotes, milites et cives», prova della perdurante pluralità della configurazione politica222.

Un accordo stretto pubblicamente e con una viva partecipazione ai processi decisionali di buona parte dei soggetti politici: tale modalità era divenuta alternativa alle tradizionali autorità per rendere operativa una decisione di rilevanza cittadina. Non si trattò, però, di decisioni vincolanti per tutta la popolazione: Landolfo Iuniore narra, orgogliosamente, come egli si fosse rifiutato di prestare il giuramento. Contro la nomina del nuovo arcivescovo furono anche Andrea Dalvultum e prete Liprando, tra i maggiori oppositori di Grossolano223. Questa posizione del gruppo più oltranzista verso il savonese è

giustificata dal riconoscimento di coloro che operavano tale deposizione: la decisione non era stata presa dagli avversari di Grossolano ma dalla sua stessa coalizione, la quale stava scaricando il presule ormai troppo legato alla politica precedente del gruppo. Infatti, la linea

carica poco rilevante che lo avrebbe potuto escludere dalla selezione degli arbitri, e Andrea Dalvultum, che, invece, avendo l’onorifico compito di primicerio dei decumani, avrebbe potuto essere selezionato come arbitro.

220 LANDOLFO IUNIORE, cap. 30, p. 32: «[…]Volumus etiam, ut Landulphus Carogna, qui est

presbiter ordinarius et Enricus de Birago, qui est levita ordinarius, presbiter Johannes Actilens, presbiter Olricus de sancto Martino, Johannes etiam Manerius, Guazo Testaguadum et alii clerici et sacerdotes, milites et cives, quos non vocabimus, venient et iurent, tenere sententiam, quam nos decem et octo dabimus sine discordia et scismate de Grosulano tenendo sive dimittendo, sive de allia persona, quam nos concorditer eligemus».

221 Vedi capitolo 4°, p. 218.

222 La conferma di questa pluralità per quando riguarda il giuramento venne confermata in un patto

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