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l’origine dei capitanei urbani e rurali (1045-1111)

1.3 L’ascesa di un nuovo regime: le trasformazioni durante l’episcopato di Grossolano (1100-1111)

1.3.1 Il rafforzamento dei soggetti politici cittadin

Negli anni della Pataria, le coniurationes si scontrarono per l’autorità cittadina ma senza riuscire a egemonizzare lo spazio urbano a proprio favore; nessuno di questi raggruppamenti fu in grado di formalizzare la propria azione nella politica milanese. Agli inizi del XII secolo la realtà era ben diversa: le molteplici forze urbane erano inserite in una gerarchia di potere che, sebbene influenzata dai cambiamenti nelle dinamiche politiche, era fondata su un preciso apparato istituzionale174. Tuttavia, il regime si presentava fragile e legato al

mutamento dei vertici politici. Perciò, la negoziazione era ancora alla base dell'interazione tra le varie unità politiche, segno evidente dell’assenza di una iurisdictio accettata aprioristicamente da tutte le forze in campo175. De facto, non si era troppo lontani dalle

dinamiche della legazione di Pier Damiani nel 1059 e, infatti, come in quel caso, le difficoltà si presentarono su argomenti non negoziati durante le trattative precedenti all’azione giuridica176.

La prova del fuoco di Liprando nel 1103 ne è un chiaro esempio: nelle contrattazioni intercorse tra le varie autorità è probabile non si fosse discusso quando il giudizio sarebbe stato da considerare favorevole e in quali casi contrario. Inizialmente, soprattutto i membri della coalizione di Liprando, ritennero che la prova fosse stata superata perché il sacerdote era riuscito a sopravvivere; invece, in un secondo tempo, il gruppo avverso considerò la prova non superata a causa di alcune ferite e scottature che segnavano il corpo di Liprando dopo la prova177.

Altra caratteristica in comune con il periodo precedente fu l’accentuarsi della doppia natura, pubblica e privata, delle azioni politiche: per esempio l’elezione di Grossolano178,

avvenuta grazie all’alleanza tra il vicario e la turba connexionis Nazarii, era già stata determinata in precedenza179. Inoltre, la conclusione della prima diatriba tra Grossolano e

174 DARTMANN, Politische interaktion, p. 99-100

175 Ibidem, p. 97. 176 Ibidem, pp. 44-59.

177 La prova viene descritta in LANDOLFO IUNIORE, capp. 16-18, pp. 27-28.

178 LANDOLFO IUNIORE, cap. 7, p. 23 «Primicerio igitur ipse Grosulanus et ordinariis maioris

Mediolanensis ecclesie inquit, ut se praesente eligerent sibi et populo archiepiscopum convenientem, priusquam rediret ad episcopatum Saonensem. Tunc primicerius, habito conscilio cum nobilibus, clericis et viris Mediolani, coram populo et ipso alterum de duobus Landulfis, Mediolanensis ecclesie ordinariis, videlicet

de Badaglo et de Vareglate, a Yerosolimis redeuntibus, ellegit. Sed Grosulanus

de absenti persona electionem fieri prohibuit. Pars itaque cleri et populi ad nutum Arialdi, abatis monasterii sancti Dyonisii, clamavit et laudavit Grosulanum sibi in archiepiscopum. Ipse vero, statim ut vidit se a quadam magna multitudine vulgi et nobilium conclamatum et ab abate illo plaudatum, archiepiscopalem sedem ascendit et sedit. Et sedens, illum Arialdum abatem de abatia in abatiam maiorem videlicet Clavatensem, transtulit».

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Liprando avvenne in un luogo privato180: Arialdo, abate di S. Dionigi, convocò Liprando in

una stanza del palazzo arcivescovile e ottenne, lì, la sottomissione del sacerdote181. Solo in

un secondo momento si svolse l’azione pubblica, segno del patto avvenuto tra le coalizioni182.

Infine, ricomparvero le riunioni di parte volte ad assicurarsi il favore dei propri sostenitori: Grossolano proclamò l’apertura di una sinodo davanti a una folla di suoi partigiani convocati nella cattedrale; invece, Liprando pose il proprio quartier generale nella chiesa di S. Paolo in Compito dalla quale, dopo un infuocato discorso, i suoi fautori aizzarono scontri in città183.

Se il linguaggio, molto spesso, rimase simile a quello utilizzato mezzo secolo prima, l’assetto politico era ben diverso. Per chiarire il significato di questa affermazione, verrà

180 LANDOLFO IUNIORE, cap. 9, p. 24: «Et carta sigillata et inlesa sibi redita, Arialdus, abas monasterii

Dionisii, seorsum presbiterum fecit et in cameram duxit, atque inter multa blanda presbitero ait, ut manum obedientiae Grosulano daret. Sed presbiter ipse, exaltando et reiterando vocem, inquit: “Manum obedientie? manum obedientie? Per viventem in saecula, nec minimum digitum manus mee darem pro hac re”. Quod cum audisset conventus clericorum, qui adhuc aderat in palatio, ait intra se: “hoc conscilium non est in scilentio”. Et cum abas et presbiter cameram exissent, et archiepiscopus signum dissolvendi conscilium dedisset, presbiter sibi scilentium indixit et audientiam habuit, dicens: “Ne scandalum in me faciatis, scitote, ego.... in meo officio, secundum quod ipse servaverit me in suo”. Et talli tenore prebuit manum Grosulano».

181 Arialdo, prima abate di S. Dionigi e successivamente di S. Pietro di Civate, fu uno dei maggiori

collaboratori di Anselmo IV e di Grossolano. Varie sono le prove del legame: egli sottoscrisse gran parte degli atti di Anselmo IV e intervenne insieme al presule, a quello di Brescia e di Genova, e altri sei chierici milanesi, alla conferma dei privilegi rilasciati da Armanno da Gavardo e da Urbano II ai canonici bresciani di S. Pietro in Oliveto nel 1101: S. Pietro in Oliveto, n. 2. La fiducia riposta da Anselmo IV in Arialdo è testimoniata dalla traslazione delle reliquie del leader della Pataria Arialdo dal monastero di S. Celso a quello di S. Dionigi, dove erano state già deposte nel 1095/1096 quelle di Erlembaldo; l’obiettivo era quello di controllare un culto che sarebbe potuto divenire sovversivo ora che alcuni personaggi che si ricollegavano con quella realtà religiosa si ponevano contro l’arcivescovo (C. VIOLANTE, Riflessione storiche sul seppellimento e la traslazione di

Arialdo e di Erlembaldo capi della pataria milanese in Pascua mediaevalia. Studies voor Prof. Dr. J.M. De Smet, Leuven 1983, pp. 66-74). Arialdo risultò fondamentale nell’elezione di Grossolano perché permise di

superare lo stallo seguito all’opposizione del vicario alla nomina di Landolfo da Baggio o Landolfo da Vergiate, proposti da Andrea Dalvultum, poiché ancora in ritorno da Gerusalemme. L’acclamazione di Grossolano gli conseguì una promozione con il passaggio all’abbazia di Civate, ubicata sulle rive del lago di Como, a poca distanza dal castello arcivescovile di Lecco. La nomina non fu solo un favore verso un proprio uomo ma fece riferimento all’appoggio di parte dei monaci alle politiche della parte opposta: sappiamo infatti che Arnolfo III, episcopo vicino alla parte patarina, morì in esilio proprio in questo monastero nel 1096 (LANDOLFO IUNIORE, cap. 40, p. 38: «Arnulfus de porta Horientali, tunc temporis senex Mediolanensis episcopus, in Clavatensi monastero fuit sepultus»); inoltre, in un periodo successivo, lo stesso prete Liprando, in una delle pellegrinazioni che caratterizzarono la sua vita negli anni Dieci del XII secolo, chiese di poter essere ospitato nel monastero e solo la volontà dell’abate, lo stesso Arialdo, evidentemente in opposizione con parte del proprio capitolo, non permise al sacerdote di fermarsi in questo monastero (LANDOLFO IUNIORE, c. 22, p. 15). È possibile, quindi, che l’obiettivo dello spostamento di sede fosse quello di mettere un uomo fidato al controllo di un ente problematico.

182 Gli stessi luoghi in cui avvennero le due azioni ci evidenziano la doppia realtà di questa discussione:

l’accusa di Grossolano verso Liprando avvenne in un luogo aperto, nel quale era riunito il «conscilium», invece le trattative tra Arialdo e Liprando ebbero luogo in una stanza del palazzo imperiale; questo spostamento aveva lo scopo di negoziare in segreto.

183 LANDOLFO IUNIORE, cap. 12, p. 25: «Grosulanus autem et eius turba ad hanc apostolicam

monitionem neque ad multas nobilium virorum preces, pro presbitero Liprando fusas, respexit; sed cupiens subvertere illum, sibi laboravit, ut episcopos et principes Langobardiae commoveret et cum ipsis sinodum celebraret»; cap. 15, p. 26: «Deinde in domo sua et sancti Pauli ecclesia presbiter iste siluit et quievit, donec pueri et puelle, mares et femine in proximo tempore clamaverunt: “Foras, foras, Grosulane"!».

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presentata la ricostruzione di uno degli scontri che coinvolsero i soggetti dello spazio politico184. All’alba del 1103, Grossolano, intimorito dalla forza delle opposizioni, convocò

il suo consiglio e tutti i suoi alleati ai quali comunicò la decisione di affidare ai «viros de populo» la comunicazione delle proprie volontà a prete Liprando, leader dello schieramento opposto. Così i suoi consiglieri più fedeli (consciliarii) andarono alla concio dove comunicarono la volontà dell’arcivescovo; l’assemblea selezionò alcuni uomini, i quali giunsero come legati alla casa di Liprando, accompagnati da una moltitudine di persone. Tale fu il preludio alla prova del fuoco, avvenuta, però, solo grazie all’intervento di Grossolano e dei «rei publicae ministri», che pagarono tutto il necessario per il rituale. Il giudizio poté avvenire solo dopo che tutte le parti ebbero giurato in pubblico di rispettare il verdetto e di permettere l’uscita dalla città del gruppo perdente. Nel giorno prestabilito, nella basilica di Sant’Ambrogio, non si riunirono solo prete Liprando e la folla venuta ad assistere alla prova ma anche Grossolano, il quale prima della prova si ritirò nella chiesa di S. Nazaro, Arialdo da Melegnano, procuratore dell’arcivescovo, e Bernardo, giudice di Asti. La descrizione di Landolfo Iuniore presenta il solo Arialdo come uomo della turba di Grossolano; invece, Bernardo sarebbe intervenuto in qualità di persona super partes. È probabile che fossero convenute, in quel luogo, anche le forze dei rei publicae ministri, il cui scopo era permettere l’allontanamento degli sconfitti senza scontri. L’impatto iniziale alla sopravvivenza di Liprando fu tale da costringere Grossolano ad allontanarsi dalla città ma, la ferma opposizione dei suffraganei, convocati per la sinodo e rimasti in città, che non vollero riconoscere il giudizio, permise alla coalizione fedele all’arcivescovo di ricompattarsi e di contrattaccare colpendo i seguaci di Liprando. Lo scontro venne fermato dall’intervento di Landolfo di Vergiate, preposito di S. Nazaro, appena ritornato dalla crociata, attraverso un accordo fondato sull’invio della questione al pontefice; nella sinodo romano del 1105 i suffraganei milanesi (Azzone, vescovo di Aqui, e Arderico, vescovo di Lodi) testimoniarono a favore di Grossolano, favorendo la sua vittoria e il ritorno a Milano.

La digressione evenemenziale ha avuto lo scopo di evidenziare la pluralità e la relativa formalità dei soggetti intervenuti in un singolo momento della vita politica cittadina.

L’amministrazione arcivescovile si era differenziata, con la formazione di un consiglio privato e di alcuni funzionari legati direttamente alla figura del presule; questi ultimi vennero nominati con il termine di consciliarii.

Indipendenti dalla struttura arcivescovile ci appaiono i suffraganei, che avevano sicuramente dei legami con il presule ma potevano agire con una certa autonomia nello

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spazio urbano. Tali prerogative di natura cittadina sarebbero da collegare alla loro presenza nelle decisioni prese communi consilio; se fosse così, i suffraganei non sarebbero stati considerati dalla cittadinanza un soggetto esterno, ma membri a pieno titolo della comunità milanese.

Le assemblee citate sono, almeno, due: la concio e il clerus et populus Mediolanensi. Inoltre la prima, evidentemente più formalizzata, fu in grado di selezionare al proprio interno funzionari che potessero effettuare determinati compiti.

Poi, vi sono i rei publicae ministri il cui nome antisonante testimonia la rilevanza generale della carica ma il cui legame diretto con la concio e i funzionari da lei selezionati non è possibile accertare185.

In ultimo vi fu l’autorità espressa da una singola persona, Landolfo da Vergiate, il cui potere farebbe riferimento all’essere preposito di S. Nazaro e, soprattutto, alla partecipazione alla crociata186.

Questa pluralità di poteri formalizzati delinea quella che è la maggiore differenza rispetto al periodo della Pataria: queste autorità si erano strutturate in realtà durevoli che ebbero un proprio ruolo continuo nella dialettica politica. Sebbene la gerarchia politica non fosse ancora stabile, a causa delle pulsioni di parte e delle spinte economiche e sociali, si può constatare come alcuni soggetti specifici fossero capaci di agire nel sistema politico anche nei momenti più critici, come quello di una vacanza arcivescovile. L’instabilità dei

185 Sia Tabacco che Rossini e Dartmann (TABACCO, Egemonie sociali, pp. 419-420; ROSSINI, Note

alla «Historia Mediolanensis», p. 444; DARTMANN, Politische interaktion, pp. 93-94) considerano i rei publicae ministri nominati all’interno della concio e suoi rappresentanti, seguendo l’idea di una città in cui si

fosse già affermato un organo assembleare le cui decisioni fossero vincolanti per tutta la popolazione. I ministri sarebbero, quindi, uno dei primi tentativi da parte di questa istituzione di contendere all’arcivescovo il governo della città. Si è, quindi, considerato questo soggetto come la prova della costituzione di un primo proto-comune nella realtà milanese (su questo punto Dartmann non segue l’idea degli altri due autori, pur non presentando una visione alternativa). Si ritiene, inece, che le relazioni tra la concio e i rei publicae ministri non siano esplicitati dalla fonte: Landolfo Iuniore utilizza un linguaggio politico preciso grazie alla sua ottima conoscenza degli assetti politici cittadini. Egli fa sì riferimento agli uomini nominati dalla concio ma per delinearli utilizza il termine «viros de populo» e poche righe sotto conferma l’utilizzo di tale nomenclatura rendendo ancora più esplicito il fatto che fossero nominati da quella che definisce «concio populi»: «Quapropter non solum viri, in concione electi […]» (LANDOLFO IUNIORE, cap. 15, p. 26). Il legame tra questi personaggi e la concio è evidente e confermato da Landolfo ogni qual volta vengano nominati; questi soggetti rappresentano un caso tipico di autorità costituitesi per uno scopo specifico. Segno di questa informalità è l’incapacità di Landolfo di poter assegnare un nome specifico a questa carica. Differente, da questo punto di vista, il caso dei rei publici

ministri: il termine appare già standardizzato e sarebbe prova di qualche grado di formalizzazione del soggetto.

Inoltre, non vi è nessun riferimento alla nomina da parte della concio a differenza dei viri precedentemente nominati. Concio e rei publice ministri sarebbero quindi due soggetti politici differenti dello spazio politico cittadino. Non possiamo dire molto di più di costoro perché non vennero più nominato in nessun altro passo dell’opera; si potrebbe ipotizzare un loro legame con quel gruppo che aveva chiesto una riconciliazione tra Grossolano e Liprando qualche mese prima.

186 A. BELLINI, Il beato Landolfo di Vergiate, «Archivio storico lombardo», 49 (1922), pp. 332-249; A.

LUCIONI, Landolfo da Vergiate, beato in Dizionario della Chiesa ambrosiana, Milano 1989, vol. III, pp. 1653-1654. Successivamente al sinodo romano del 1105 e grazie all’appoggio di papa Pasquale II divenne vescovo di Asti: R. BORDONE, Città e territorio nell’alto medioevo. La società astigiana dal dominio dei

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singoli regimi non permette di seguire analiticamente gli assetti di potere all’interno della città sebbene si possa delineare una tendenza generale: il rafforzamento dei soggetti esterni all’amministrazione arcivescovile. Queste realtà, di varia natura – assembleare, di gruppo, di coalizione – ed erroneamente considerate parte di un solo ente, quello comunale, legarono il proprio consolidamento all’appartenenza a uno dei vari gruppi di potere che si alternarono in città187. Inoltre, i periodi di esilio del presule permisero a questi organi di rafforzare la

propria posizione nello spazio politico cittadino, come testimoniato dalla capacità di coordinarsi con alcuni dei funzionari dell’arcivescovo o dalle trattative con i leader della pars opposta: non è un caso che, dietro alla collaborazione tra Olrico da Corte, fedele a Liprando, e Giordano da Clivio, uomo di Grossolano, vi sia una coalizione tesa a cercare una politica di compromesso tra le parti188; la stessa politica di concordia, evidentemente

suppletiva della funzione vescovile, dietro alla destituzione di Grossolano nel 1111.

Si deve, infine, ribadire un punto che potrebbe creare equivoci nella presentazione della tesi: questi soggetti non sono da identificare con il comune o con ipotetici proto- comuni. Principalmente perché la pluralità di questi soggetti non si raccolse mai in una singola istituzione. Questo non significa, però, che non fossero capaci di politiche che coinvolgessero tutta la città, ledendo anche i diritti di forze consolidate. Per esempio, si data al 1105, con Grossolano ancora a Roma, l’istituzione di una festa annuale con mercato, dopo la scoperta di alcune reliquie in S. Maria alla Porta, avvenuta con il coinvolgimento di tutti i soggetti dello spazio urbano; il documento è identico a quello prodotto da Anselmo IV nel 1098 per la festa di S. Protaso e Gervaso ma, questa volta, il protagonista non fu l’arcivescovo ma la città intera, identificata attraverso la pluralità del proprio sistema politico: «Ordinarii cardinales sancte Mediolanensis Ecclesie, necnon et primicerius cum universo sacerdotio et clero Mediolanensi omnisque populus et omnis ordo laycorum, in diocesi Mediolanensis ecclesie constitutis»189.

187 DARTMANN, Politische interaktion, pp. 99-100.

188 La difficoltà di identificare questo gruppo è riscontrabile in tutta l’opera di Landolfo Iuniore: a una

precisione per quanto riguarda la nomenclatura dei soggetti formalizzati si accompagna una grande indeterminatezza quando si fa riferimento alle coalizioni d’interesse. Le due partes di Grossolano e di Liprando sono descritte a lungo e ne vengono presentati vari personaggi; difficile, invece, identificare gli appartenenti a questo raggruppamento. La sfocata immagine descritta da Landolfo ci presenta un gruppo egemone e capace di interagire con un’autorità maggiore rispetti agli altri soggetti, soprattutto dopo il 1105. La sua forza nello spazio cittadino è enfatizzata durante gli eventi della deposizione di Grossolano nel 1111-1112.

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