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Il trust di common law

2. La costituzione del fondo segregato

L’intesa fiduciaria che connota il trust è altro dall’accordo dell’art. 1321 c.c.: la riprova può desumersi dalla Convenzione di Roma sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, dal cui campo d’applicazione furono espressamente esclusi il trust ed i rapporti che ne fossero derivati tra il disponente, il trustee ed il beneficiario (art. 1, comma 2, lett. g).

Le moderne dottrine non negano un’ascendenza contrattuale al trust, specie nelle forme più involute di interposizione reale di persona prossime al mandato ben noto ai civil

lawyers, ma è nella unilateralità che rinvengono la costante del negozio istitutivo (451), che è atto recettizio, passibile del rifiuto del trustee, quando non si tratti di trust auto dichiarato, nel qual caso efficace benché i beneficiari non ne avessero avuta conoscenza (452), sulla falsariga di quanto disposto per l’obbligazione del fideiussore (art. 1936, comma 2, c.c.).

E’ proprio sul piano formale che permane, quale portato storico del dualismo tra le fonti di common law e d’equity, la genesi strutturalmente complessa della figura: nel trust costituito inter vivos all’atto istitutivo si aggiunge quello traslativo (453) dei beni dal disponente al trustee (454), sulla falsariga di quel che avviene, a ben vedere, nel collegamento funzionale tra atto di fondazione ed atto di dotazione (455).

ed è tutelata nell’ambito di un ordinamento distinto dallo ius civile, ma ad esso non contrapposto» (LUPOI, Il trust nell’ordinamento giuridico italiano, in Vita not., 1992, 973).

(451) MANES, L’atto istitutivo di trust fonte di obbligazioni, in FRANZONI (a cura di) Le

obbligazioni, III, 1, Torino, 2005, p. 704.

(452) Nella casistica di common law, tuttavia, la mancata comunicazione al beneficiario ha implicato, talvolta, una declaratoria di nullità per simulazione, accertato che il trust fu istituito al solo scopo d’opporre la segregazione patrimoniale ai creditori del disponente.

(453) Assente, invece, nel trust autodichiarato ed in quello testamentario.

(454) Poiché non è la contestualità a connotarli, l’atto istitutivo e quello traslativo potrebbero anche non coincidere, potendo il negozio dispositivo precedere o seguire quello istitutivo così da assumere, nella seconda ipotesi, una fisionomia non dissimile da quella del contratto definitivo che dia concreta attuazione al programma divisato in quello preliminare (nel caso di specie, nell’atto istitutivo). In questo senso, si osservi come la soggezione all’imposta fissa di registro ex art. 11 della Tariffa, parte I, del d.p.r. 26.4.1986, n. 131 sia giustificata proprio dalla mera natura programmatica dello strumento istitutivo, mentre l’assenza della liberalità tipica della donazione comporta la soggezione alla stessa imposta fissa di registro ma, come si dirà a breve nel testo, non anche l’astrazione causale dell’atto dispositivo.

(455) Sul quale convengono le magistrature civili (Cass. 27 febbraio 1997, n. 1806, in

Arch.civ., 1998, 72) ed amministrative (Cons. Stato , 3 febbraio 1996, n. 97, in Foro amm., 1996,

Talvolta i nostri giudici hanno qualificato il trust quale fatto giuridico di separazione patrimoniale, a condizione che il disponente non si identificasse col trustee (456): altro dall’identità soggettiva tra disponente e beneficiario, giudicata ammissibile in quanto la titolarità formale del trustee avrebbe escluso una interposizione fittizia di persona, sarebbe stata l’identità tra disponente e trustee (trust c.d. autodichiarato), che avrebbe arrecato, invece, un ingiusto pregiudizio alla massa dei creditori (457).

Può tuttavia ritenersi ammissibile il trust «autodichiarato», altrimenti detto «statico» o «unilaterale», perché a diversa conclusione non conduce la lettera dell’art. 2 della Convenzione dell’Aja (458), né il sistema positivo che ammette, oltre alla fiducia c.d. statica, la costituzione unilaterale di patrimoni separati tanto nel diritto di famiglia (art. 167 c.c.), quanto in quello successorio (art. 490 c.c.) e societario (art. 2447 ter c.c.). D’altra parte, l’ordinamento inglese consente l’istituzione del trust con attribuzione traslativa al trustee, ma parimenti consente, dagli inizi del secolo decimonono, il trust c.d. autodichiarato, privo d’alterità soggettiva tra disponente e trustee (declaration of trust) (459).

Quanto a struttura e funzioni, la declaration of trust è dunque analoga alla deliberazione costitutiva dell’art. 2447 ter, ma soprattutto all’atto di destinazione dell’art. 2645 ter, per il quale è peraltro richiesta la forma solenne ad transcriptionem, mentre l’atto istitutivo (inter vivos) del trust è a forma libera, da provarsi per iscritto solo quando avente ad oggetto beni immobili. In ogni caso, la volontà del disponente, al pari di quella del fideiussore (art. 1937 c.c.), deve desumersi in modo espresso ed inequivoco, non ammettendosi sovrapposizioni con la causa donandi.

3. I soggetti

L’unico soggetto indispensabile alla configurazione di un trust permane il trustee:

fondazione, GALGANO, voce Fondazione: I) Diritto civile, in Enc. giur. Treccani, LXIV, Roma 1989, p. 2, nel presupposto che l’atto di dotazione (essendone privo, diversamente dall’istituzione di erede e dal legato) ripeta il proprio requisito causale nell’atto di fondazione.

(456) Condizione, questa, sempre richiesta nel progetto di fiducie francese.

(457) Trib. Napoli, 1 ottobre 2003, in Giur. merito, 2004, 469. Si trattava, nel caso di specie, d’un trust autodichiarato costituito con la finalità di reperire risorse destinate all’educazione dei discendenti del disponente. Si sarebbe sostanzialmente trattato, perciò, di un duplicato del fondo patrimoniale che può essere costituito dal singolo coniuge e dallo stesso amministrato, destinandone i frutti ai bisogni del nucleo familiare.

(458) Bartoli, Il trust auto-dichiarato nella Convenzione de L’aja sui trust, in Trusts e attività

fiduciarie, 2005, 364, dov’è concluso che l’art. 2, § 1, Conv., alludendo ad un disponente e ad un trustee, non implichi che costoro debbano essere soggetti distinti, limitandosi il testo convenzionale a

stabilire che, per aversi un trust, occorra una fattispecie in cui qualcuno svolga il ruolo di disponente e qualcuno (non necessariamente altro dal disponente) quello del trustee.

non il settlor (persona fisica o giuridica), come nell’ipotesi del trust giudizialmente dichiarato (constructive trust, resulting trust ed implied trust); non anche un beneficiario (persona fisica o giuridica) ben determinato, che manca tanto nei charitable trusts, in tutto assimilabili alle nostre fondazioni (460), quanto nei trusts discrezionali, ove la scelta del beneficiario è di volta in volta rimessa al trustee.

Posto che la destinazione dell’art. 2645 ter richieda un beneficiario determinato, lo scopo di pubblica utilità non riferibile a soggetti individuati richiederebbe, necessariamente, la costituzione d’un trust (461), poiché altro sarebbe l’erezione d’una fondazione, quand’anche fiduciaria: la duplicazione delle soggettività è una tecnica di specializzazione della responsabilità affatto distinta, sebbene equipollente quoad effectum, dalla separazione patrimoniale.

Tra le previsioni del deed of trust potrebbe figurare il protector, persona fisica o giuridica dotata di poteri di controllo e di veto sugli atti gestori del trustee. Nel diritto dei

trust, quale legge straniera richiamata dal trust interno, il disponente è privo di

legittimazione attiva nei confronti del gestore, diversamente da quanto accadrebbe nella separazione patrimoniale dell’art. 2645 ter, che pure prefigurerebbe un «frammento di trust» (di diritto interno) (462).

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