Profili civilistici dei patrimoni separat
4. La tipicità dei patrimoni separat
Poiché la localizzazione della responsabilità avrebbe infranto il dogma illuminista dell’universalità del patrimonio, s’è ritenuto, in dottrina (236) ed in giurisprudenza (237), che
patrimoniale arrecando danno agli investitori, è punito con l’arresto da sei mesi a tre anni e con l’ammenda da lire dieci milioni a lire duecento milioni».
(234) Sull’identità strutturale e funzionale tra le fattispecie dell’art. 2447 bis c.c. ed il trust c.d. autodichiarato, PARTISANI, Trust interno e responsabilità civile del disponente, in Resp. civ., 2005, p. 548.
(235) In argomento, PARTISANI, I patrimoni separati nell’assicurazione della responsabilità
civile, in Resp. civ., 2006, p. 267 ss.
(236) FERRARA, Trattato di diritto civile italiano, I, 1, Roma, 1921, pp. 875 e 876, dove si legge che «Il soggetto patrimoniale non può scindere in più parti separate la generalità del suo patrimonio, con l’effetto di localizzare nelle diverse masse i debiti o sottrarli alla responsabilità generale per le obbligazioni che gli incombono. E’ possibile invero che la persona fisica o giuridica destini una parte del suo patrimonio ad un certo fine, tenendolo materialmente distinto dal restante patrimonio, amministrandolo separatamente con distinta contabilità. Si hanno così fondi patrimoniali, come sarebbero i fondi di riserva nelle società commerciali, i fondi per le pensioni per gli impiegati, le diverse aziende che il commerciante può gestire, anche separatamente dal patrimonio individuale, le stationes fisci. Ma in tutti questi casi si tratta di una divisione puramente interna che ha valore tecnico amministrativo, ma il fondo non ha autonomia di fronte al complesso patrimoniale di cui fa parte e di cui subisce le vicende, salvo che non assurga esso stesso ad un ente morale della natura delle fondazioni», onde la conclusione che «Quando si abbia un patrimonio separato, decide il diritto obbiettivo che ha solo la forza di crearlo» (il corsivo è dell’a.).
la costituzione del patrimonio separato, quale complesso di beni o rapporti giuridici (attivi e passivi) destinati ad uno scopo particolarmente determinato (238), dovesse soggiacere al medesimo principio di tassatività dei diritti reali.
In rapporto all’autonomia contrattuale, quell’enumerazione tassativa avrebbe tratto giustificazione, oltre che dal divieto di limitazioni convenzionali della responsabilità (art. 2740, comma 2), dall’astrattezza causale dell’atto destinatorio (art. 1325, n. 2) (239), quale atto traslativo atipico (240), specie quando la destinazione patrimoniale avesse assunto la caratteristica fisionomia fiduciaria.
L’esegeta paventava l’implicita attribuzione d’un diritto potestativo al debitore, che gli avrebbe consentito di manipolare a piacimento ora l’an, ora il quantum della esposizione alle azioni esecutive dei suoi creditori (241), tanto più ove l’argine eretto a presidio di quell’arbitrio non fosse scorto nella restrizione, sub specie nullità, imposta all’autonomia privata dall’art. 2740 c.c., ma nella revocatoria dell’atto di separazione patrimoniale (242).
Non prefigura un patrimonio separato il complesso di beni o rapporti destinato al godimento puro e semplice (243), atteso che «lo scopo di godimento non si aggiunge a ciò che è già della natura stessa dei singoli beni e non potrebbe perciò dare al patrimonio, di cui
(237) Cass., 28 aprile 2004, n. 8090, in Assicurazioni, 2004, II, 183. Il numerus clausus dei patrimoni separati fu enunciato in un caso in cui si trattava di qualificare le riserve tecniche che figurano nella contabilità delle imprese di assicurazione, per legge destinate alla soddisfazione degli assicurati, decidendosi che le stesse invero non costituissero «patrimoni separati, ma semplici poste contabili facenti parte del passivo dell’impresa, mentre la garanzia effettiva dell’adempimento delle obbligazioni è fornita non dalle riserve, ma dalle attività patrimoniali dell’impresa».
(238) PINO, Il patrimonio separato, Padova, 1950, p. 7.
(239) LA PORTA, Destinazione di beni allo scopo e causa negoziale, Napoli, 1994, p. 10, alla nota 9: «la dottrina è sempre ricorsa a strumenti diversi per la spiegazione del fenomeno destinatario (modus, fiducia, erezione della persona giuridica) proprio perché non è mai riuscita a ricostruire un negozio tipicamente connotato dalla causa di destinazione. Ciò perché non era neppure possibile dar vita a forme di separazione patrimoniale mediante un atto di autonomia privata ad hoc».
(240) In questo senso la giurisprudenza nega che l’art. 2645 ter abbia introdotto nell’ordinamento un nuovo tipo di atto ad effetti reali: cfr. Trib. Trieste, 7 aprile 2006, in Foro it., I, c. 1935.
(241) BIGLIAZZI GERI, voce Patrimonio autonomo e separato, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 292.
(242) GAMBARO, Segregazione e unità del patrimonio, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, p. 156.
(243) Nel diritto societario, i patrimoni dell’art. 2447 bis sono destinati alla realizzazione dello specifico affare così come, nel diritto di famiglia, il fondo patrimoniale è destinato a soddisfare i bisogni del nucleo familiare, mentre il trust consentirebbe innumerevoli applicazioni, al pari dei patrimoni a destinazione atipica dell’art. 2645 ter c.c.: pur non surrogandosi al soggetto, solo lo scopo estrinseco alla massa destinata esplicherebbe l’effetto d’aggregarla ed unificarla in modo da consentirle l’imputazione di diritti e l’assunzione di debiti in proprio, conformandola ad una nuova accezione di patrimonio.
fanno parte, alcuna caratteristica particolare» (244). Ed è parimenti l’assenza d’uno specifico scopo (rectius, affare), diverso dalla miglior realizzazione d’un utile d’impresa, quel che non ha consentito l’inclusione dell’azienda nel novero dei patrimoni separati (245).
La sola devoluzione ad uno scopo estrinseco tuttavia non modificherebbe, ipso facto, la responsabilità patrimoniale del debitore, né limitandola (art. 2740 c.c.), né assoggettandola a legittime cause di prelazione (art. 2741 c.c.), occorrendo qualcosa in più, e segnatamente una deroga espressa alle norme di diritto comune, ove la separazione dei patrimoni fosse intesa quale strumento d’eccezione, della quale la legge soltanto possa disporre, «essendo diretto ad interrompere la normale corrispondenza tra soggettività e unicità del patrimonio, per destinare una parte di questo al soddisfacimento di alcuni creditori, determinando in tal modo la insensibilità dei beni separati alla sorte giuridica degli altri, in deroga ai principi fissati dagli artt. 2740 e 2741 c.c.» (246).
Si comprende, pertanto, perché la destinazione di scopo e la separazione patrimoniale non sempre convergano, in assenza d’apposita previsione di legge, che pure assuma le fattezze della clausola elastica o generale, quale sarebbe, ora, quella dell’art. 2645 ter c.c. Prova ne sia il regime delle pertinenze, destinate in modo durevole a servizio o ornamento d’altra cosa (art. 817 c.c.): il vincolo di destinazione (reale) ne informa la legge di circolazione (art. 818 c.c.), ma non vale a separarle dal restante patrimonio, né a sottrarle alla responsabilità illimitata dell’art. 2740 c.c.
La separazione patrimoniale è, dunque, un effetto necessitato dalla destinazione ad uno scopo talvolta espressamente codificato (247), talaltra dal legislatore devoluto alla tipicità
(244) Cass., 10 luglio 1979, n. 3969, in Vita not., 1979, 654 ss., in parte motiva, dove il fondamento teorico del patrimonio separato fu colto in «una esigenza concettuale, prima che giuridica, potendosi giustificare una rilevanza giuridica del patrimonio in sé, separata dal soggetto cui i singoli beni appartengono, solo se vi sia l’elemento unificante della destinazione ad uno scopo, il che i tedeschi esprimono bene parlando a questo proposito di Zweckvermögen, cioè di patrimonio di destinazione».
(245) BIGLIAZZI GERI, voce Patrimonio autonomo e separato, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 290 ss.
(246) Cass., 28 aprile 2004, n. 8090, in Assicurazioni, 2004, II, 183.
In dottrina, quanto alla tassatività dei patrimoni separati, motivata «sulla base dell’argomento di policy per cui non si potrebbe ammettere che sia lo stesso titolare a manipolare a suo piacimento ed a danno dei creditori il modo ed il quantum della propria esposizione alle azioni esecutive di questi ultimi, giacché ciò equivarrebbe a riconoscergli un largo tasso di arbitrio nell’adempimento delle sue obbligazioni», si vedano, invece, le riflessioni critiche di GAMBARO, Segregazione e unità
del patrimonio, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, p. 156.
(247) PUGLIATTI, Gli istituti del diritto civile, Milano, 1942, p. 302: «E’ ovvio che la separazione ha luogo per il conseguimento di determinate finalità, che il legislatore lascia chiaramente trasparire volta per volta, e che tali finalità, così come sono realizzate nella concreta disciplina legislativa, costituiscano la base, la misura ed il limite della separazione».
sociale, sebbene nel limite del capoverso dell’art. 1322 c.c. (248), talché sui beni o rapporti destinati possa costituirsi un vncolo reale che, limitando le facoltà dell’art. 832 c.c., ne assicuri la indisponibilità, da parte del titolare-debitore (249), ed impignorabilità, da parte della classe creditoria non qualificata (250).