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I patrimoni separati nel diritto privato italiano

Profili civilistici dei patrimoni separat

3. I patrimoni separati nel diritto privato italiano

Benché fosse diffusa l’idea che per patrimonio separato dovesse intendersi il «patrimonio giuridicamente distinto dal restante patrimonio della persona, capace di propri rapporti e di propri debiti, ed insensibile alle fluttuazioni ed alle vicende di cui è colpito il patrimonio che gli sta a lato o nel cui seno egli vive» (225), e nonostante le risalenti

L’autonomia designerebbe lo stato del patrimonio temporaneamente senza titolare, senza qualificare l’eredità quale persona giuridica: ogni persona giuridica ha un patrimonio autonomo (da quello di ciascun associato), ma non ogni patrimonio autonomo è, tuttavia, una persona giuridica.

(222) Secondo una concezione che, diversamente, avrebbe presupposto un soggetto davvero capace di esprimere un volere (al di fuori delle teoriche antropomorfiche dell’ente collettivo, evidentemente).

(223) Fu proprio dall’esclusione della personalità giuridica dell’eredità giacente che la dottrina trasse gli argomenti per la concettualizzazione dei diritti senza soggetto, cui s’ispirò il Brinz nel teorizzare, quale esplicazione del patrimonio adespota, l’ammissibilità di «patrimoni allo scopo» (Zweckvermögen) quale plausibile alternativa alla finzione della personalità giuridica.

Una questione non dissimile da quella sottesa alla eredità giacente s’è riproposta anche in materia societaria, poiché la società per azioni acquista la personalità giuridica solo con l’iscrizione nell’apposito registro (art. 2331 c.c.), mentre il 3° comma dell’art. 2342 c.c. prescrive che le azioni corrispondenti ai conferimenti in natura debbano ciononostante essere integralmente liberate già al momento della sottoscrizione. Sul tema, ZACCARIA, «Diritti soggettivi senza soggetto» e soggettività

giuridica, in Studium iuris, 1996, p. 784, che osserva come «quanto più la soggettività giuridica si

espande, quanto più il numero dei soggetti di diritto aumenta, tanto meno spazio rimane per una ipotetica categoria dei “diritti soggettivi senza soggetto”».

(224) Così, applicandosi all’amministratore della eredità condizionata la disciplina prevista per il curatore dell’eredità giacente (art. 644 c.c.), nella Cass., 28.1.1983, n. 808, in Mass. Foro it., 1983: «l’eredità condizionata non è una persona giuridica, ma un patrimonio separato sino a che la disposizione non prenda efficacia a seguito dell’avverarsi della condizione, con la conseguenza che l’amministratore di detta eredità non assume la veste di rappresentante di un altro soggetto, ma è titolare del solo potere di gestire e conservare quel patrimonio separato; pertanto, l’atto di disposizione, posto in essere da tale amministratore senza autorizzazione, od in base ad autorizzazione nulla, non può essere regolato dalla disciplina propria del rapporto di rappresentanza, ma configura un atto esorbitante dai compiti conferiti dalla legge all’amministratore stesso, come tale viziato da nullità e non mera annullabilità su istanza dell’interessato».

(225) FERRARA, Trattato di diritto civile italiano, I, 1, Roma, 1921, p. 875 (il corsivo è dell’A.). Nel senso che di «patrimoni separati parla la dottrina, tutte le volte che nel seno del patrimonio generale d’ogni subietto di diritti ha l’impressione dell’esistenza di nuclei minori, distinti, dotati d’una certa autonomia, suscettibili d’interferenze fra loro e con il patrimonio generale suddetto, costituiti da un certo numero di diritti e di beni specificatamente determinati, in relazione a

applicazioni (non solo giurisprudenziali (226) ma anche) legislative, quali i lasciti e le donazioni conseguiti dalle società di mutuo soccorso (art. 8, legge 14 aprile 1886, n. 3818) (227), la dottrina italiana del secolo scorso dedicò scarse attenzioni al tema, nonostante se ne intuissero, già al tempo, le notevoli implicazioni teoriche e pratiche (228).

Negli ultimi anni, l’interesse per i patrimoni separati è sensibilmente accresciuto, in corrispondenza delle novelle legislative (229) che li hanno adottati quale tecnica di localizzazione della responsabilità equipollente, quoad effectum, alla finzione della personalità giuridica.

una data finalità e in funzione di certi caratteri atti a determinane la accennata autonomia», VOCINO, voce Patrimoni separati, in Dizionario pratico del diritto privato, fondato da Scialoja, V, 1, Milano, 1939, p. 231.

(226) Tra le pronunce più risalenti, v’è quella sui terreni affidati alla gestione dei delegati tecnici nominati ai sensi degli artt. 15 e 16 della legge 16 giugno 1927, n. 1766 sul riordinamento degli usi civici, in cui la Cassazione rinvenne un patrimonio separato da quello comunale (Cass., 14 agosto 1951, n. 2517, in Foro it., 1952, I, 1372, sulle indennità dovute ai possessori di buona fede di terreni già appartenuti ad un’università agraria). Nel caso di specie, posto che i beni d’uso civico comunque appartenevano al Comune, e che la loro gestione fu peraltro affidata ad un terzo nominato dal Ministero dell’agricoltura, si trattò di stabilire se quest’ultimo fosse legittimato passivo della domanda di rimborso per le migliorie apportate dai possessori di buona fede che dovettero reintegrare al demanio le terre occupate sine titulo. Fu a tal proposito che il S.C. incluse i terreni destinati a coltura agraria ex art. 15, legge n. 1766/1927 nel novero dei patrimoni separati all’epoca già censiti nell’ordinamento: poiché il fallimento (art. 43, r.d. 16 marzo 1942, n. 267) e l’eredità giacente (art. 528 c.c.) stavano in giudizio per mezzo del curatore, allo stesso modo il delegato tecnico ben avrebbe potuto resistere alla domanda degli attori, in ciò ravvisandosi una sostituzione processuale, con conseguente formazione del giudicato non soltanto nei confronti del gestore, ma anche nei riguardi del titolare del diritto sostanziale controverso (Cass., 14 agosto 1951, n. 2517, cit., nella parte motiva in cui si legge che «la spiegazione di questa deviazione dalla regola generale consacrata nell’art. 2909, secondo il quale le sentenze fanno stato nei confronti delle parti e non dei terzi, sta nel fatto che l’amministratore agisce in nome della massa; onde la titolarità attiva e passiva dei diritti ed obblighi della massa, si ripercuote nella sfera giuridica del soggetto giuridico, nel cui interesse s’è svolta la gestione»). Pur perseverando nell’impropria sinonimia tra separazione ed autonomia patrimoniale, nell’occasione la Cassazione definì il patrimonio separato come compendio sottratto all’amministrazione del titolare ed affidata alla gestione d’un amministratore che avrebbe perciò agito e resistito in giudizio in suo nome, di modo che, cessata la separatio bonorum, gli atti o fatti del gestore avrebbero dispiegato i loro effetti sul titolare del patrimonio.

(227) Questo, per esteso, il testo della norma di legge (in Gazz. Uff., 29 aprile, n. 100) in tema di costituzione legale delle società di mutuo soccorso: «I lasciti o le donazioni che una società avesse conseguito o conseguisse per un fine determinato ed avente carattere di perpetuità, saranno tenuti distinti dal patrimonio sociale, e le rendite derivanti da essi dovranno essere erogate in conformità della destinazione fissata dal testatore o dal donatore».

(228) PINO, Il patrimonio separato, Padova, 1950, p. 1.

(229) Da ultimo il nuovo Codice delle Assicurazioni privare (art. 117, d.lgs. 7.9.2005, n. 209), ma si veda pure la separazione patrimoniale introdotta in materia di servizi di investimento nel Testo Unico della finanza, nonché in materia di fondi pensione e di cartolarizzazione dei crediti, del patrimonio immobiliare pubblico e dei crediti di imposta o contributivi.

La maggior diffusione del dispositivo segregativo ha inizio nella prima metà degli anni ottanta, con la legge istitutiva dei fondi comuni di investimento mobiliare (230). In quel sistema, ciascun fondo avrebbe costituito un patrimonio distinto a tutti gli effetti sia dal patrimonio della società di gestione, sia da quelli dei singoli partecipanti, nonché da ogni altro fondo in gestione, con preclusione dell’azione esecutiva dei creditori della società gerente, non di quella dei creditori di ciascun partecipante, limitatamente alla corrispondente quota di partecipazione (art. 3, 2° comma, della l. 23 marzo 1983, n. 77). Il principio fu quindi esteso a tutte le gestioni patrimoniali dalla disciplina dell’intermediazione mobiliare (art. 8, 2° comma, legge 2 gennaio 1991, n. 1) (231), mentre nell’art. 22, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.) fu sostanzialmente trasfuso il principio di separazione patrimoniale in materia già introdotto dall’art. 19, d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415 (decreto Eurosim): nell’impedire la confusione di patrimoni, il principio di separatezza avrebbe ovviato agli inconvenienti delle deroghe alla spendita del nome altrui (232), atteso che, quand’anche avesse contrattato in nome proprio (come suggerito dalle tecniche di contrattazione dei mercati regolamentati), l’intermediario comunque avrebbe scontato la carente legittimazione all’acquisto degli strumenti finanziari o delle liquidità di pertinenza dell’investitore.

Il disvalore sociale per la confusione dei patrimoni per legge separati è nella sanzione penale comminata dall’art. 168, T.U.F. all’intermediario che, confondendoli col proprio, distogliesse i patrimoni dei risparmiatori dal vincolo di scopo loro impresso (233).

Diversa è la sanzione, propriamente civilistica, della decadenza dal beneficio della responsabilità limitata, in cui incorra il debitore che allo stesso modo abusi della separazione patrimoniale, e segnatamente il socio accomandante che s’ingerisca nell’amministrazione sociale (art. 2320 c.c.) o l’erede beneficiato che non osservi i termini d’inventario (art. 485,

(230) Sul tema, MANES, La segregazione patrimoniale nelle operazioni finanziarie, in Contr.

e impr., 2001, p. 1362 ss.

(231) La norma così statuiva: «Il patrimonio conferito in gestione dai singoli costituisce patrimonio distinto a tutti gli effetti da quello della società e da quello degli altri clienti. Sul patrimonio conferito in gestione non sono ammesse azioni dei creditori della società o nell’interesse degli stessi. Le azioni dei creditori sono ammesse nei limiti del patrimonio di loro proprietà».

(232) Ed in questo senso, valga rammentare che ai sensi dell’art. 21 del T.U.F. le banche e le società di gestione del risparmio possono agire in nome proprio, e per conto del cliente, solo previo consenso scritto, mentre per l’art. 8, l. 2 gennaio 1991, n. 1, le S.I.M. avrebbero potuto agire esclusivamente «in nome e per conto» di terzi (in modo da prefigurare un tipico mandato con rappresentanza).

(233) Alla lettera, la norma del Testo unico della finanza così dispone: «Salvo che il fatto costituisca reato più grave, chi, nell’esercizio di servizi di investimento o di gestione collettiva del risparmio, ovvero nella custodia degli strumenti finanziari e delle disponibilità liquide di un OICR, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, viola le disposizioni concernenti la separazione

ultimo comma, c.c.), che disponga dei beni ereditari senza autorizzazione giudiziaria (art. 493 c.c.) o che in mala fede ne ometta la denuncia (art. 494 c.c.).

La localizzazione della responsabilità della legislazione speciale è la medesima, divenuta di diritto comune, della destinazione atipica dell’art. 2645 ter, assai prossima al modello del trust «autodichiarato» (234). Ed è, altresì, la medesima impiegata dagli estensori del Codice delle Assicurazioni private (d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209, pubblicato in G.U. n. 239 del 13 ottobre 2005 – Suppl. Ordinario n. 163), questa volta a tutela del credito indennitario, tanto nel ramo danni, quanto nel ramo vita. L’identità strutturale e funzionale è in ciò, che i premi pagati all’intermediario e le somme destinate ai risarcimenti o ai pagamenti dovuti dalle imprese di assicurazione compongono un patrimonio «autonomo», siccome versato in apposito conto separato, che potrà essere intestato anche all’intermediario ma solo espressamente in tale qualità (art. 117, comma 1º, T.U.A.); che su quel patrimonio potranno ammettersi soltanto azioni, sequestri o pignoramenti degli assicurati o di altre compagnie creditrici (ovvero di loro creditori o aventi causa, ma nei limiti di quanto spettante al singolo assicurato o impresa assicuratrice) (art. 117, comma 2º), con l’esclusione della compensazione legale e/o giudiziale e finanche convenzionale con i crediti del depositario (comma 3º) (235).

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