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I patrimoni destinati nella riforma fallimentare

Il patrimonio destinato allo specifico affare nella legge fallimentare S OMMARIO : 1 I patrimoni destinati nella riforma fallimentare 2 L’insolvenza del

1. I patrimoni destinati nella riforma fallimentare

A completamento dell’iter avviato dal decreto «competitività» del marzo 2005, attuando la delega dell’art. 1, commi 5 e 6, della l. 14 maggio 2005, n. 80 (128) il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 (in Gazz. Ufficiale del 16 gennaio 2006 – Suppl. Ordinario n. 13) ha riformato la disciplina delle procedure concorsuali: la tecnica impiegata è stata quella della novellazione (con parziale abrogazione, com’è avvenuto per l’amministrazione controllata) del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, di cui permangono affatto immutati gli effetti del fallimento nei confronti dei creditori, nonché la disciplina del concordato e dei reati fallimentari.

Nello statuto dell’imprenditore commerciale, il diritto (speciale) del fallimento e delle altre procedure concorsuali storicamente s’è posto quale naturale appendice della normativa codicistica delle società. Quel nesso di complementarietà, che già contraddistinse l’impianto originario del 1942, è ora implementato proprio dal d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 che ha sanato le anomie della disciplina societaria sulle insolvenze dei patrimoni destinati allo specifico affare.

Disattendendo la legge delega (art. 4, comma 4, lett. b), l. 3 ottobre 2001, n. 366), il d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6 (almeno espressamente) non previde alcunché circa l’insolvenza del patrimonio destinato, ed in specie sulla possibile sua propagazione alla società in bonis quale alternativa all’autonoma fallibilità delle masse separate. Parimenti incerte permanevano anche le sorti dei patrimoni destinati capienti, dovendosi stabilire quali effetti sui medesimi e sui finanziamenti dell’art. 2447 bis, lett. b), c.c. avrebbe verosimilmente spiegato il fallimento della società non più annoverato tra le cause di scioglimento dell’ente

(128) Legge di conversione, con modificazioni, del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. A tal riguardo, LO CASCIO, I principi della legge delega della riforma fallimentare, in

in dissesto (art. 2484 c.c.) (129) ed incluso, invece, tra quelle di cessazione del vincolo di destinazione allo specifico affare (art. 2447 novies, ultimo comma, c.c.) (130).

Orbene, tra i principi e criteri direttivi della delega per la riforma fallimentare figurava, sebbene in seno alla sola modifica degli effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti, la previsione d’apposita disciplina delle insolvenze correlate ai patrimoni destinati dell’art. 2447 bis c.c. (131) cui, questa volta, il legislatore delegato ha puntualmente provveduto: introducendo gli artt. 67 bis e 72 ter, l. fall. concernenti, nell’ordine, la revocabilità degli atti incidenti sul patrimonio destinato e gli effetti prodotti dal fallimento della società sui contratti di finanziamento destinato allo specifico affare; e riscrivendo, soprattutto, il Capo XI, Titolo II, della nuova legge fallimentare, ora rubricato «Dei patrimoni destinati ad uno specifico affare» (artt. 155-156).

Il d.lgs. 9 gennaio 2006, n. 5 ha profondamente innovato la ratio della legge fallimentare che, come s’è letto nella Relazione ministeriale, ora non persegue finalità eminentemente sanzionatorio-liquidative (come attesta anche l’esdebitazione del debitore persona fisica, che viene liberato, ricorrendone i presupposti di legge, dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti) (132), privilegiando piuttosto le tutele della

(129) E ciò diversamente dal previgente art. 2448 c.c., che ora invece disciplina gli effetti della pubblicazione degli atti societari nel registro delle imprese.

(130) PARTISANI, I patrimoni destinati ad uno specifico affare nella legge delle insolvenze, in

Contratto e impresa, 2006, 1559 ss.;

(131) Così nell’art. 1, comma 6°, lett. a), n. 7, della l. 14 maggio 2005, n. 80. Nella relazione generale sullo schema di disegno di legge recante la «Delega al Governo per la riforma organica della disciplina della crisi dell’impresa e dell’insolvenza» si leggeva, invece, che la nuova disciplina societaria avrebbe reso necessaria la regolazione dell’insolvenza dei patrimoni destinati ad uno specifico affare, in quanto non prevista dal codice civile.

(132) Il Capo X del decreto delegato di riforma del fallimento ha modificato il Titolo II, Capo IX del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, sostituendolo col nuovo Capo IX, intestato «Della esdebitazione» (art. 142-144). La declaratoria d’inesigibilità del credito potrà pronunciarsi quando il debitore:

1) abbia cooperato con gli organi della procedura, fornendo tutte le informazioni e la documentazione utile all’accertamento del passivo e adoperandosi per il proficuo svolgimento delle operazioni; 2) non abbia in alcun modo ritardato o contribuito a ritardare lo svolgimento della procedura; 3) non abbia violato le disposizioni di cui all’art. 48, l. fall.; 4) non abbia beneficiato di altra esdebitazione nei dieci anni precedenti la richiesta; 5) non abbia distratto l’attivo o esposto passività insussistenti, cagionato o aggravato il dissesto rendendo gravemente difficoltosa la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari o fatto ricorso abusivo al credito; 6) non sia stato condannato con sentenza passata in giudicato per bancarotta fraudolenta o per delitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercio, e altri delitti compiuti in connessione con l’esercizio dell’attività d’impresa, salvo che per tali reati sia intervenuta la riabilitazione. Il procedimento d’esdebitazione resterà comunque sospeso in attesa dell’esito (pregiudiziale) del processo penale eventualmente pendente per uno di tali reati.

L’esdebitazione non può essere concessa qualora non siano stati soddisfatti, neppure in parte, i creditori concorsuali. Ne restano inoltre esclusi: a) gli obblighi di mantenimento e alimentari e comunque le obbligazioni derivanti da rapporti non compresi nel fallimento ai sensi dell’art. 46, l.

capacità produttiva dell’impresa (e segnatamente del complesso aziendale e dei livelli occupazionali). Nell’era della globalizzazione, il legislatore delegato ha dunque congegnato un sistema concorsuale che, diversamente da quello risalente alla prima metà del secolo scorso, meglio s’attaglia alla crisi dell’impresa moderna, ora ancor più affrancata dalle sorti dell’imprenditore. La conclusione è corretta, e solo apparentemente contraddetta dal fatto che, contrariamente a quanto auspicato in dottrina, non abbia condotto, come si vedrà più oltre, all’autonoma fallibilità del patrimonio destinato allo specifico affare (art. 2447 bis c.c.) (133).

Tra gli effetti indotti dalla libertà di stabilimento delle imprese v’è l’evoluzione del mercato comunitario (anche) in «mercato delle regole» (law shopping) (134). In questo senso, se il diritto societario ha dapprima forgiato i patrimoni destinati allo specifico affare come istituti quoad effectum equipollenti alla società unipersonale (tanto da prefigurare una sorta di scissione o gruppo endosocietario), il diritto fallimentare ne ha successivamente consolidato la maggior concorrenzialità oltreconfine, poiché l’insolvenza della massa separata non solo non ne consente l’autonoma (o collaterale) fallibilità, ma nemmeno si propaga alla società in bonis che l’avesse costituita.

fall.; b) i debiti per il risarcimento dei danni da fatto illecito extracontrattuale nonché le sanzioni penali ed amministrative di carattere pecuniario che non siano accessorie a debiti estinti.

Sono fatti poi salvi i diritti vantati dai creditori nei confronti di coobbligati, dei fideiussori del debitore e degli obbligati in via di regresso.

L’istituto è mutuato dalla legge tedesca sull’insolvenza del 5 ottobre 1994 (Insolvenzordnung), in vigore dal 1° gennaio 1999, dove la liberazione dai debiti residui (Restschuldbefreiung) (§§ 286-303) non ha natura concordataria (diversamente dall’approvazione del piano di regolazione dei debiti del § 308), ed è concesso dal giudice su istanza del debitore persona fisica (§ 287), quando non ricorra alcuno dei motivi di diniego del § 290.

(133) Nel senso della «oggettivazione» del concorso fallimentare funzionale alla progressiva sua privatizzazione nonché all’affrancazione delle sorti dell’impresa da quelle dell’imprenditore, qui s’osservi come per l’art. 2, lett. a) del disegno di legge di riforma (Schema del d.d.l. di Riforma delle procedure concorsuali redatto dalla Commissione istituita con d.m. 27 febbraio 2004 dal Ministro della Giustizia di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, che si legge per esteso in JORIO e FORTUNATO, La riforma delle procedure concorsuali. I progetti, Milano, 2004, 35 ss.) ai fini della legge fallimentare dovesse considerarsi debitore anche il patrimonio destinato allo specifico affare, nei limiti della compatibilità delle discipline concorsuali e societarie.

(134) Sul tema, PERRONE, Dalla libertà di stabilimento alla competizione fra gli ordinamenti?

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