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Genesi ed esegesi della teorica dei patrimoni separat

Profili civilistici dei patrimoni separat

1. Genesi ed esegesi della teorica dei patrimoni separat

Come tutte le compilazioni di derivazione francese, anche il nostro codice civile non descrive né regola il patrimonio. Manca, allo stesso modo, una esaustiva nozione di separazione patrimoniale, che neppure compare nelle legislazioni speciali dove ne sono peraltro compiutamente descritti quei medesimi effetti (di indisponibilità, impignorabilità ed insequestrabilità) che parimenti compaiono nelle fattispecie già codificate nel 1942 (203).

A quelle anomie ha storicamente supplito il formante dottrinario, che ha definito il patrimonio quale complesso dei rapporti giuridici di una persona, suscettibili di valutazione economica (204), risentendo non poco, quanto alla nozione di separazione patrimoniale, della

(203) E segnatamente: nel patrimonio familiare (art. 167, nella formula abrogata dalla Riforma del 1975); nell’accettazione con beneficio di inventario (art. 490); nella limitazione imposta all’azione esecutiva dei creditori del mandatario sui beni che lo stesso avesse in nome proprio acquistati per conto del mandante (art. 1707); nel sequestro e nella pignorabilità della rendita vitalizia (art. 1881); nell’intangibilità delle somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario (art. 1923); nei fondi speciali per la previdenza e l’assistenza (art. 2117).

(204) FERRARA, Trattato di diritto civile italiano, I, 1, Roma, 1921, p. 865; DUSI, Istituzioni di

diritto civile, I, Torino, 1930, p. 108; DONADIO, I patrimoni separati, Città di Castello, 1941, p. 1; MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, I, Milano, 1947, p. 222: «Gli elementi costitutivi del patrimonio e il patrimonio esso medesimo hanno come caratteristica di essere atti a soddisfare

bisogni (economici) e di essere valutabili, in base al comune misuratore dei valori economici, che è

la moneta (o danaro)» (il corsivo è dell’A.); TRIMARCHI, voce Patrimonio (nozione), in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 273, dove il patrimonio è definito come una «entità composita, risultante da elementi suscettibili di valutazione economica»; DURANTE, voce Patrimonio, in Enc. giur., XXII, Roma, 1990, p. 1: «Il termine patrimonio (dal giustinianeo patrimonium) designa un’entità composita, formata dall’insieme delle situazioni soggettive suscettibili di valutazione economica (intesa come estimabilità pecuniaria)».

Quella nozione compare, informandone i contenuti, nel diritto delle obbligazioni e dei contratti: ha carattere patrimoniale, infatti, la prestazione dedotta in obbligazione (art. 1174 c.c.), come ogni rapporto giuridico che il contratto costituisca, regoli o estingua (art. 1321 c.c.); è risarcibile la deminutio patrimonii che configuri un danno ingiusto (art. 2043 c.c.), mentre il patrimonio del debitore, che dell’adempimento risponde con tutti i suoi beni, offre una generica garanzia del credito (art. 2740 c.c.).

compenetrazione dei concetti di assolutezza della proprietà e d’unitarietà del patrimonio così qualificato: ed infatti, l’una e l’altro furono concepiti quale emanazione della persona, talché non potessero scindersi né duplicarsi poiché, diversamente, la titolarità d’una pluralità di patrimoni sarebbe equivalsa, per una sorta di regola transitiva, all’implicita ammissione di proprietà a contenuto variabile.

Con minor approssimazione, quella accezione unitaria del patrimonio emerse nelle dottrine d’oltralpe che appunto lo intesero quale «émanation de la personnalité et

l’expression de la puissance juridique dont une personne se trouve investie comme telle»

(205), col duplice corollario della sua indivisibilità ed intrasmissibilità inter vivos (206). L’idea incontrastata, anche nelle coeve dottrine italiane, fu che ogni persona, naturale o morale, non avesse che un solo patrimonio, qualunque fosse stato lo scopo di destinazione dei singoli beni che l’avessero composto (207).

Anche il libro secondo del codice civile è ordinato sul medesimo concetto di patrimonio (solo nella successione mortis causa il patrimonio diverrebbe trasmissibile uno actu, secondo le comuni concezioni radicate sull’attributo d’unitarietà ed inscindibilità) che parimenti figura nel diritto societario, sovente aggettivato in termini d’autonomia, dov’è assurto a referente della costruzione dogmatica della personalità giuridica. La medesima nozione di patrimonio compare, infine, anche in altri comparti dell’ordinamento giuridico, specie con riguardo alla potestà punitiva dello Stato: così è nei delitti contro il patrimonio, sui quali SGUBBI, voce Patrimonio (reati), in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, 331 ss.

(205) AUBRY e RAU, Cours de droit civil français, Paris, 1917, t. IX, 337 ss.

Sul tema, da ultimo, anche MANES, Fondazione fiduciaria e patrimoni allo scopo, Padova, 2005, 163.

(206) Invero, una successione inter vivos è ben configurabile nella fusione di società, giacché la società risultante dalla fusione (o la incorporante) assume i diritti e gli obblighi delle società partecipanti alla fusione, proseguendone tutti i rapporti, anche processuali, antecedenti la fusione (art. 2504 bis).

(207) Il principio già fu accolto dai giuristi italiani di fine Ottocento. A questo proposito, nell’annotare l’App. Bologna, 8 giugno 1988, in Foro it., 1888, I, 940, il Vivante scriveva: «Frequentemente la parte di patrimonio, che s’impegna nel commercio, si presenta come distinta per segni esteriori da quella che si destina ai bisogni domestici: l’opificio, il magazzino, la bottega, specialmente quando vengono esercitati col mezzo di un rappresentante, restano spiccatamente divisi dalla casa, dal podere, ove il commerciante risiede colla sua famiglia. Da quest’apparente separazione qualche giureconsulto fu indotto a considerare il patrimonio commerciale come una unità legalmente distinta dal resto del patrimonio. Ma è una opinione anti-giuridica, perché una persona non ha che un solo patrimonio, qualunque sia lo scopo cui destina i beni che lo compongono. Non vi ha nessun testo di legge che riconosca un patrimonio commerciale destinato a fini speciali, mentre ve ne hanno parecchi che riconoscono la giuridica unità del patrimonio di un commerciante. Basti ricordare che tutti i suoi beni formano la comune garanzia dè suoi creditori (art. 1949 cod. civ.); che il commerciante deve comprendere nell’inventario tutti i suoi beni, siano mobili o immobili, siano crediti civili o commerciali (art. 22 cod. comm.); che il fallimento li colpisce tutti, senza distinzione (art. 686 e ss. cod. comm.); che le azioni giudiziarie, ancorché concernano gli affari conclusi da un’agenzia, possono sempre proporsi al foro del principale».

Nella fattispecie, già l’annotatore contestò l’autonomia del complesso aziendale dell’attuale art. 2555 c.c., ancora oggi escluso dal novero dei patrimoni separati: v. BIGLIAZZI GERI, voce

Le dottrine che in tal modo identificarono la persona con le vicende patrimoniali che l’avessero riguardata diedero veste giuridica al pensiero filosofico che nel XVIII secolo (208) considerò la proprietà un diritto originario ed innato, in quanto immediata esplicazione del sommo diritto di libertà. In buona sostanza, l’unitarietà del patrimonio corrispose all’unitarietà del diritto dell’art. 544 code Napoléon, poi trasfusa nel nostro art. 832 c.c.: emancipata dal dominium eminens (la proprietà del sovrano) e dal dominium directum (la proprietà dell’aristocrazia feudale), la proprietà borghese (dominium utile) non avrebbe più tollerato né subito i pesi d’un tempo, così imponendo il numero chiuso dei diritti reali minori e relegando la proprietà fiduciaria, in quanto goduta solo per soddisfare un interesse altrui, alle sole ipotesi d’enumerazione tassativa (209).

Sennonché, già la lettera del code civil smentì quelle dottrine che, proprio in terra francese, informarono il patrimonio ai canoni di unità ed indivisibilità: l’eredità accettata col beneficio dell’inventario avrebbe implicato l’alterità, rispetto a quello dell’erede, del patrimonio ereditario, mentre agli averi dell’assente non poteva darsi qualifica altra da quella di patrimonio separato. Quell’incoerenza sistematica non sopì, tuttavia, il dibattito dottrinario che i giuristi italiani proseguirono ed approfondirono tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del secolo scorso (210), talvolta suffragando quel dogmatismo che avrebbe poi condizionato le successive generazioni, motivandone le diffidenze (e finanche la profonda avversione) nei confronti dei vincoli reali di destinazione, ed in specie nei riguardi del trust.

Quella corrispondenza biunivoca tra unicità del patrimonio ed unicità della persona (211) avrebbe preluso, evidentemente, ad un trattamento equanime dei creditori nella fase

aziendali non è previsto «ai fini di conservazione ed in vista della realizzazione di un particolare scopo, cui quel patrimonio sia destinato, ma secondo scelte rimesse (nel quadro dell’organizzazione dell’attività di impresa e nella prospettiva della massima realizzazione di un utile) alla libera determinazione dell’imprenditore».

(208) Così nelle concezioni antropocentriche del razionalismo illuminista e dell’idealismo romantico tedesco. Cfr. KANT, La metafisica dei costumi, I, Introduzione alla dottrina del diritto, nell’edizione a cura di Vidari, Bari, 2001.

(209) Ed i casi sono quelli della società e della fondazione fiduciaria, ed in specie delle società di gestione dei fondi comuni di investimento mobiliare.

(210) Oltre a Vivante, nella nota all’App. Bologna, 8 giugno 1988, cit. supra, cfr. BIANCHI,

Corso di codice civile italiano, IX, 1, Torino, 1895, 7, dove il patrimonio è definito «una universalità

giuridica, emanante dalla personalità stessa di colui al quale i beni appartengono». In senso critico FERRARA, La teoria della persona giuridica, in Riv. dir. civ., 1911, 665, che stigmatizzò «i giuristi imbevuti delle idee del diritto naturale, che faceva la proprietà un lato esteriore della personalità, e quindi indissolubile intrasmissibile ed unica, come unica è la persona», che perciò «furono portati a ripetere gli stessi concetti in materia giuridica», concludendo che altro dal patrimonio fosse, invero, la capacità patrimoniale.

(211) Sulla storiografia giuridica dell’unitarietà quale elemento estrinseco al patrimonio, derivante dall’appartenenza delle cose, dunque dalla titolarità dei diritti, ad un unico soggetto, IAMICELI, Unità e separazione dei patrimoni, Padova, 2003, 3 ss.

esecutiva, secondo il regime codificato dapprima nell’art. 1949 c.c. del 1865 (212), quindi nel vigente art. 2741 c.c. che assicura la miglior giustizia distributiva, per la identità del patrimonio sul quale possa soddisfarsi la pluralità dei creditori. In questa prospettiva la vis eversiva del patrimonio separato ne suggerì il numero chiuso, a tutela dell’affidamento del terzo, ma pure dell’assolutezza del diritto di proprietà, dacché non si comprese che la separazione, in funzione dello scopo di destinazione, sarebbe coincisa con la massima espressione d’esercizio di quel diritto reale, non prefigurandone una menomazione (213).

Sul diverso versante della soggettività, l’inammissibilità del patrimonio adespota ha imposto la personificazione del patrimonio destinato, quale tecnica di specializzazione della responsabilità che avrebbe preservato la coerenza d’un sistema positivo retto dal dogma d’universalità. Si comprende, dunque, perché proprio il legislatore d’oltralpe differì la ratifica della XV Convenzione de l’Aja, preferendole l’introduzione della società unipersonale a responsabilità limitata. Del pari s’intuisce come l’imminente Novella sulla

fiducie, che pure costituirebbe, nel corpo del libro terzo del Code civil, un patrimoine d’affectation (patrimonio destinato), inaugurerà, proprio in terra francese, una nuova

stagione del diritto dei patrimoni separati d’area continentale.

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