Il patrimonio destinato allo specifico affare nella legge fallimentare S OMMARIO : 1 I patrimoni destinati nella riforma fallimentare 2 L’insolvenza del
3. L’insolvenza del patrimonio destinato della società fallita
Può altresì accadere che l’insolvenza investa il patrimonio destinato della società nel frattempo dichiarata fallita: anche in quest’ipotesi avrà luogo la liquidazione dell’art. 2487 c.c., poiché in tal senso né la legge societaria né quella fallimentare distinguono tra società in
bonis (154) e società insolvente (155), come si deduce dall’art. 156, l. fall. (successivo alla rettifica apportata dal d.lgs. n. 310 del 2004 all’art. 2447 novies, cpv., c.c.) che ora appunto concerne l’incapienza (e non, dunque, la mera inadempienza) del patrimonio destinato rilevata a seguito del fallimento della società o nel corso della gestione (separata) dal curatore che, previa autorizzazione del giudice delegato, provvederà a liquidarlo, a norma del Capo VIII, Titolo V del Libro V del Codice civile, ancora nei limiti, dunque, della medesima clausola di compatibilità dell’art. 2447 novies, 2° comma, c.c. (156).
Con la sentenza di fallimento cessa la destinazione di scopo del patrimonio separato insolvente (art. 2447 novies c.c.) (157) perciò sottratto all’amministrazione ed alla disponibilità della società fallita (art. 42 l. fall.): la regola assicura la gestione officiosa della liquidazione ed è indifferente alla collaterale insolvenza delle masse separate, applicandosi anche in caso di patrimonio destinato capiente (art. 155 l. fall.) (v. infra).
La legge fallimentare riconosce al patrimonio destinato allo specifico affare la capacità d’assumere debiti propri ma, pur non considerandolo un patrimonio adespota, non solo gli nega quella soggettività che altrimenti ne avrebbe consentita la collaterale fallibilità, ma altresì esclude la possibile formazione di distinte masse attive e passive nell’ambito della
fallimento, di soddisfarsi con preferenza sui legatari ed i creditori dell’erede: così, da ultimo, nella Cass. 28 dicembre 1998, n. 12846, in Giust. civ., 1999, I, 2367, con nota di COSSIGNANI, In tema di
fallimento dell’imprenditore defunto e ritirato dal commercio.
(154) Cui non si propaga, come s’è visto nel § che precede, l’insolvenza del compendio separato peraltro insuscettibile d’autonoma fallibilità.
(155) Diversamente dispose, invece, il capoverso dell’art. 205 dello schema del d.d.l. di riforma delle procedure concorsuali, a norma del quale quando il curatore della società fallita avesse riscontrato l’insolvenza del patrimonio destinato allo specifico affare, avrebbe presentato ricorso per l’apertura della procedura di liquidazione concorsuale.
(156) In definitiva, gli organi della procedura dovranno sempre liquidare il patrimonio destinato allo specifico affare secondo regole diverse da quelle concorsuali, quali sono quelle dell’art. 2487 c.c. Diversa soluzione fu peraltro divisata da MANFEROCE, Soggezione alle procedure
concorsuali dei patrimoni dedicati, cit., 1248; BOZZA, Patrimoni destinati, partecipazioni statali,
s.a.a., cit., 156, sebbene in assenza d’apposita norma derogatoria (poi introdotta, evidentemente,
proprio dall’ultima riforma del fallimento).
(157) L’effetto risolutivo del vincolo segregativo è consequenziale ma non anche contestuale alla sentenza dichiarativa di fallimento che muta la destinazione di scopo: non più la realizzazione dello specifico affare, ma l’estinzione delle correlative sue passività.
stessa procedura concorsuale (158), diversamente da quella giurisprudenza (peraltro definitivamente superata dalla novella dell’art. 46, n. 3, l. fall.) che assoggettò al fallimento del coniuge anche il fondo patrimoniale, pur acquisendolo all’attivo quale massa separata, siccome destinata a soddisfare soltanto i creditori per debiti contratti nell’interesse della famiglia (159).
La scelta legislativa in parte collide col complesso di tutele apprestate dal codice civile ai creditori del patrimonio destinato allo specifico affare cui è in tal modo riservato un trattamento deteriore, e perciò passibile di censure ex art. 3 Cost., se si considera che solo i creditori («generali») della società beneficiano della miglior giustizia distributiva della esecuzione collettiva: poiché il soggetto passivo dell’obbligazione non muta, permanendo la stessa società per azioni; poiché dell’effetto segregativo dovrebbero in egual misura beneficiare, oltre al debitore, tutte le classi creditorie; e poiché già la Relazione al decreto di riforma societaria sancì l’equipollenza tra il patrimonio destinato e l’alterità soggettiva delle società di capitali (passibili di fallimento), potrebbero qui mancare quelle situazioni oggettivamente distinte che legittimerebbero le suesposte differenziazioni di tutele normative. Sennonché, quand’anche il legislatore avesse ammesso la formazione di masse separate all’interno della stessa procedura concorsuale comunque sarebbe incorso, a ben vedere, nelle medesime paventate censure, per aver concesso ai creditori separati di società fallita una tutela disconosciuta ai creditori separati della società in bonis: esclusa l’autonoma fallibiltà del patrimonio destinato allo specifico affare, solo la regola accolta nell’art. 156 l. fall. avrebbe assicurato l’uniforme trattamento dei ceti creditori separati ed infranto, al contempo, il dogma d’universalità e concentrazione della procedura che avrebbe altrimenti imposto l’eguale apprensione alla massa (in regime di confusione o nel rispetto del vincolo segregativo) di tutti i beni del fallito.
Onde rimediare alla paventate diseguaglianze, e nei limiti della clausola di compatibilità degli artt. 155 e 156 l. fall. ed art. 2447 novies, cpv., c.c. in combinato
(158) Per ARLT, op. cit., 351, proprio l’ultimo comma dell’art. 2447 novies c.c. doveva intendersi nel senso che, in seno alla medesima procedura concorsuale, il patrimonio destinato e quello della società avrebbero costituito masse fallimentari separate (il che, ovviamente, nel presupposto della loro collaterale fallibilità).
(159) Trib. Catania, 31 maggio 1986, in Giur. comm., 1987, II, 627, con riguardo al fallimento di entrambi i coniugi; Trib. Ragusa, 8 marzo 1990, ivi, 1991, II, 61, nel caso di fallimento d’un solo coniuge. In senso difforme (ma affatto condivisibile), i motivi della Cass., 20 giugno 2000, n. 8379, in Giust. civ., 2000, I, 2584.
Principio non dissimile fu accolto per i clienti della società di intermediazione finanziaria soggetta a procedura concorsuale, aventi diritto alla restituzione degli strumenti finanziari e del
disposto, la conflittualità plurisoggettiva generata dall’insolvenza del patrimonio destinato comunque necessiterebbe d’una procedura analoga alla liquidazione concorsuale (e non già individuale) dell’eredità beneficiata (artt. 498 e ss. c.c.) (160), articolata nelle tre fasi della formazione dello stato passivo, della liquidazione dell’attivo e del pagamento regolato dallo stato di graduazione (161), dunque dal rispetto delle cause di prelazione e della soddisfazione proporzionale dei creditori chirografari.