Profili civilistici dei patrimoni separat
2. Il patrimonio adespota
Quanto all’altra area di derivazione romanistica, risale alla pandettistica tedesca la teorizzazione dei patrimoni di scopo (Zweckvermögentheorie), anch’essi in origine concepiti non già quali nuove soggettività giuridiche (surrogate proprio dallo scopo), bensì in funzione della ammissibilità di diritti (almeno medio tempore) senza soggetto (214).
Ai fini della limitazione di responsabilità funzionale alla devoluzione allo scopo, il dogma d’universalità avrebbe imposto, nell’impossibilità di scindere il patrimonio, la duplicazione dei soggetti. Sennonché, negando l’esistenza di soggetti diversi dall’uomo non
(212) Sulla falsariga dell’art. 2094 code Napoléon.
(213) IAMICELI, Unità e separazione dei patrimoni, Padova, 2003, 70: «Almeno sul piano teorico non vi è infatti contraddizione tra il riconoscimento del diritto di proprietà come diritto pieno ed esclusivo e l’ammissione di forme di separazione che, nell’imporre certi vincoli a carico del diritto, concorrono tuttavia a realizzare gli obiettivi del proprietario, secondo le preferenze da questi espresse».
(214) La paternità del patrimonio allo scopo (o Zweckvermögen) è attribuita, quale portato dell’elaborazione teorica dei patrimoni adespoti, a BRINZ, Lehrbuch der Pandekten, Band I, Erlangen, 1884, § 59, p. 222. Sulla teorizzazione, da parte della dottrina italiana, del patrimonio senza soggetto, si veda BOLLINO, Aspetti civilistici dei fondi di garanzia, in Giur. comm., 1983, I, p. 532. Sul tema, ancheORESTANO, Diritti soggettivi e diritti senza soggetto, in Jus, 1960, p. 149 ss.; nonché ZACCARIA, «Diritti soggettivi senza soggetto» e soggettività giuridica, in Studium iuris, 1996, p. 784 ss.
si sarebbe data ragione di diritti (transitoriamente o durevolmente) privi d’un (soggetto) titolare, specie nel caso della fondazione. Per questo il patrimonio non fu più riferito ad un soggetto (pertinere ad aliquem), ma al vincolo di scopo appostogli (pertinere ad aliquid), cosicché la titolarità, attiva e passiva, del rapporto giuridico non fosse più individuata nella persona, bensì nel patrimonio «senza investito» (215).
L’aporia del patrimonio adespota derivava dalla concezione razionalista del diritto soggettivo che, nei secoli XVIII e XIX, strutturò l’intero sistema civilistico proprio in funzione dell’individuo, tant’è che ogni situazione giuridica fu riferita al «soggetto», come suo predicato o attributo. Nella Pandettistica tedesca, il diritto soggettivo fu concepito come potere della volontà, consolidando il primato dell’individuo (e dei suoi predicati) nel sistema del diritto privato, nonostante qualche inconveniente sistematico, quanto al rapporto tra diritto oggettivo e diritto soggettivo, alle facoltà dell’incapace di intendere e di volere e, non da ultimo, alla controversa configurabilità di diritti senza soggetto (216).
La signoria del volere s’impose, in definitiva, sulla vis coesiva dello scopo, quale centro d’imputazione alternativo alle soggettività. Si comprende, dunque, perché i rapporti giuridici ancora sorgano e si svolgano, almeno di regola, tra soggetti, non tra patrimoni, talché la figura del patrimonio adespota assuma un ruolo marginale nel sistema positivo, in quanto circoscritto a funzioni liquidatorio-conservative (217).
Benché l’accettazione retroagisca al momento dell’apertura della successione (art. 459 c.c.), escludendo soluzioni di continuità nella titolarità del patrimonio del defunto, è plausibile che, almeno medio tempore, la eredità giacente prefiguri un patrimonio adespota (218) (219): la disciplina concerne la conservazione ed amministrazione dell’asse ereditario, in
(215) BONELLI, La teoria della persona giuridica, in Riv. dir. civ., 1910, 598 ss.
(216) Quell’impostazione non troverebbe conferme, a ben vedere, nemmeno nell’esclusione del diritto del concepito a «non nascere», che il S.C. non ha motivato col sol fatto che si sarebbe trattato, altrimenti, d’un diritto adespota (considerando che, ai sensi dell’art. 1 c.c., la capacità giuridica si acquista solamente al momento della nascita e che i diritti per legge riconosciuti al concepito – cfr. artt. 462, 687, 715 c.c. - siano condizionati proprio all’evento della nascita), rilevandone, piuttosto, la estinzione contestuale all’evento della nascita (Cass., 29 luglio 2004, n. 14488, in Giur. it., 2005, 2068, nel presupposto testé enunciato).
(217) Il patrimonio adespota è coerente con la trasferibilità del diritto (reale) già addotta per escluderne il soggetto (specie dante causa) dagli elementi strutturali essenziali (PERLINGIERI, in
Comm. a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma, sub artt. 1230-1259, p. 29 ss.), mentre alla
oggettivazione dell’obbligazione, emancipata sia dalla persona del debitore, nei limiti della fungibilità dell’art. 1180 c.c., sia dalla identità del creditore, com’è nella circolazione dei titoli al portatore, corrisponderebbe un’evoluzione dell’intuitus personae in intuitus paecuniae (D’AMELIO,
Della responsabilità patrimoniale, delle cause di prelazione e della conservazione della garanzia patrimoniale, in Comm. al cod. civ. diretto da D’Amelio, Firenze, 1943, 431).
attesa della definitiva sua devoluzione all’avente titolo (220), cui i pandettisti, ovviando all’antinomia di predicato senza soggetto, riconobbero una personalità giuridica.
Quella personificazione, già avversata dal Savigny, fu contestata anche dalle dottrine successive (221), perché incompatibile col diritto subiettivo concepito quale potestà del volere
(219) WINDSCHEID, Diritto delle pandette, nella traduzione italiana di FADDA e BENSA, I, Torino, 1930, § 49, p. 145: «è un fatto, che si trovano diritti, i quali non sono collegati ad un uomo, come a loro soggetto. L’applicazione precipua di questo rapporto è, che esistono diritti i quali hanno la destinazione di servire ad un certo scopo, p. es. allo scopo dello Stato, allo scopo di curare e guarire ammalati, ecc. E’ d’importanza più subordinata il poter esservi diritti in aspettativa, che sopraggiunga un uomo come loro soggetto; il caso principale, che appartiene a questo punto è quello, in cui il chiamato alla successione di un defunto non ha ancora acquistata l’eredità»; DUSI, La eredità
giacente, Torino, 1891, 116, dove si ammette l’esistenza di patrimoni «in stato di pura
conservazione, i quali, non perdendo mai il loro carattere semplicemente obiettivo, riuniscono in sé e fanno vivere temporaneamente speciali rapporti giuridici, anche nella mancanza provvisoria d’un subietto. Questi patrimoni, quantunque siano privi di personalità giuridica, pure, come quelli, che riuniscono in sé la somma dei diritti e delle obbligazioni che testé aveano per subietto una persona fisica, hanno un’individualità giuridica loro propria di fronte ad altri subietti e ad altri patrimoni. A tal classe di patrimoni appartengono quello del prigioniero di guerra in diritto romano, e quello dell’eredità giacente in diritto romano e moderno»; BIGLIAZZI GERI, Patrimonio autonomo e
separato, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, 282, dove si legge, proprio a proposito dell’eredità
giacente, d’una autonomia o separazione dipendente «dall’attuale, anche se provvisoria, mancanza di collegamento di un determinato nucleo patrimoniale con un qualsiasi soggetto».
Sul tema dei patrimoni senza soggetto merita d’esser qui ricordato il celebre saggio di ORESTANO, Diritti soggettivi e diritti senza soggetto, in Jus, 1960, 149 ss.
(220) Cass., 22 febbraio 2001, n. 2611, in Riv. notariato, 2003, 1045.
(221) Il diritto ereditario è interamente ordinato dalla destinazione dei beni del de cuius agli scopi caratteristici della successione. Poiché fin quando non abbia accettato il chiamato ancora non è
dominus dell’eredità, è grazie al vincolo di destinazione allo scopo che i beni di quest’ultima non si
tramutano in res nullius ancorché, non appartenendo ancora ad alcuno, prefigurino un patrimonio adespota: essi non sono passibili né d’occupazione, quando beni mobili (art. 923 c.c.), né d’acquisizione al patrimonio dello Stato, quando immobili (art. 827 c.c.), ma soltanto d’una gestione, specie conservativa (art. 460 c.c.), ed amministrazione regolata dalla legge (NATOLI,
L’amministrazione dei beni ereditari, Milano, 1968, p. 88).
Quando si convenga che la retroattività dell’accettazione costituisca una finzione incapace di elidere il difetto di titolarità medio tempore, nell’aggregazione ed unità dell’asse ereditario alla titolarità vacante supplirebbe il vincolo di scopo, senza dar luogo a nuove soggettività giuridiche.
Quando l’essenza della successione mortis causa non fosse propriamente divisata nel subingresso d’un soggetto nell’altrui rapporto giuridico, bensì nel momento traslativo dell’art. 922 c.c., l’acquisto uno actu, e non tramite tante accettazioni quanti fossero i singoli beni che lo compongano, varrebbe a qualificare il patrimonio ereditario quale universitas iuris: la somma dei diritti (reali), dei crediti e dei debiti costituirebbero così l’oggetto unitario dell’acquisto dell’erede designato.
La particolare coesione dei beni ereditari promana dalla legge che, in attesa dell’accettazione, non intende distrarli né alla garanzia generica dei creditori (art. 2740 c.c.), né alle aspettative degli aventi diritto (eredi e legatari). Ed è per questo che il patrimonio ereditario è stato qualificato anche come patrimonio autonomo, destinato ad estinguersi (per confusione col patrimonio dell’erede) con l’accettazione pura e semplice ovvero a tramutarsi in patrimonio separato nell’eventualità dell’accettazione beneficiata (art. 484 c.c.) (CARIOTA-FERRARA, Le successioni per causa di morte, I, Parte generale, Napoli, 1958, p. 108, dove l’eredità è qualificata come patrimonio autonomo, non come universitas iuris).
(222), e perché se davvero si fosse trattato d’una persona ficta, la stessa sarebbe dovuta succedere al de cuius il che, all’evidenza, non poteva essere (223).
Al pari di quella sub condicione (art. 644 c.c.), anche l’eredità giacente appartiene,
lato sensu, al genere del patrimonio separato: il curatore non agisce quale organo o
rappresentante d’una persona giuridica, con la conseguente nullità, in luogo della mera annullabilità su istanza dell’interessato, dell’atto esorbitante dalle potestà amministrativo- gestorie conferitegli per legge (224).