Profili civilistici dei patrimoni separat
12. Il patrimonio destinato allo specifico affare quale paradigma di patrimonio separato
I patrimoni destinati allo specifico affare dimostrano che il patrimonio può scindersi in masse distinte, senza che ne muti la titolarità o appartenenza, smentendo il dogma
senso, la responsabilità degli amministratori per il danno arrecato ai creditori che fecero affidamento sull’integrità del patrimonio della società loro debitrice (Cass. 22 ottobre 1998, n. 10488, in Giust.
civ., 1999, I, p. 75; in Danno e resp., 1999, p. 341; in Resp. civ. e prev., 1999, p. 1318, dove si legge
che la responsabilità dell’amministratore sorge se ed in quanto abbia (colposamente) cagionato una diminuzione del patrimonio sociale di entità tale da renderlo inidoneo per difetto ad assolvere la funzione di garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c. In senso conforme, v. anche il Trib. Monza, 13 gennaio 2000, in Giur. milanese, 2000, p. 250).
(365) MIRAGLIA, voce Responsabilità patrimoniale, in Enc. giur. Treccani, XXVII, Roma, 1991, 7.
(366) Ne prende atto ROPPO, La responsabilità patrimoniale del debitore, in Tratt. di dir. priv. diretto da Rescigno, XIX, Torino, 1997, 499.
Ad opposta conclusione pare conduca, invece, l’art. 388 c.p., in materia d’atti simulati o fraudolenti commessi da chi intenda sottrarsi all’adempimento di obblighi civili per i quali sia emessa una sentenza di condanna. D’altra parte, come è tenuto ad assicurare la possibilità della esecuzione coattiva della prestazione in obligatione, così il debitore potrebbe ritenersi parimenti tenuto a garantire la destinazione dei propri beni all’espropriazione forzata, se non fosse, però, che una argomentazione di tal fatta condurrebbe inevitabilmente a prefigurare quali elementi costitutivi dell’obbligazione tanto il dovere di prestazione, quanto quello di conservazione della garanzia patrimoniale, con conseguente identità dei concetti di debito e responsabilità (Schuld und Haftung).
giusnaturalistico della sua universalità ed indivisibilità (367). Ed infatti, se ogni persona giuridica ha un patrimonio autonomo, e se non ogni patrimonio autonomo è persona giuridica (368), la separazione patrimoniale dell’era contemporanea elide l’esigenza di configurare un patrimonio adespota per giustificare la deroga all’art. 2740 c.c. a soggettività invariata nel presupposto che, comunque, il patrimonio non concreti un centro di imputazione di rapporti giuridici a sé stante, necessitando d’un referente soggettivo (369).
La delibera dell’art. 2447 ter c.c. non sovverte la concezione soggettivista del patrimonio di civil law che ancora conserva gli attributi romanistici della pienezza ed esclusività poiché, diversamente dalla trust property, non vi sarebbe dissociazione alcuna tra proprietà formale e proprietà sostanziale (370), trattandosi d’affidamento a sé stesso ma, questa volta, sempre con godimento nell’interesse proprio, talché l’unico elemento d’estrinseca coesione delle masse separate sia davvero la titolarità della medesima società commerciale.
Poiché chi amministra il patrimonio destinato allo specifico affare sono i medesimi organi gestori societari, è definitivamente superata l’illazione per la quale per patrimonio separato debba intendersi il solo nucleo patrimoniale sottratto all’amministrazione del
(367) Realizzato (o divenuto impossibile) l’affare, gli amministratori o il consiglio di gestione redigono un rendiconto finale che, accompagnato da una relazione dei sindaci e del revisore contabile, è depositato presso l’ufficio del registro delle imprese: la riprova che il patrimonio destinato appartenga alla società è nel fatto che, integralmente liquidate le passività dell’affare, le attività sopravanzate si confondano col patrimonio sociale di derivazione, come accade per l’eredità accetta con beneficio di inventario, una volta soddisfatte le pretese dei creditori ereditari e legatari.
(368) Questa la conclusione cui giunse FERRARA sr., La teoria della persona giuridica, in Riv.
dir. civ., 1911, p. 680, nella sua critica al saggio di Bonelli pubblicato nella stessa rivista l’anno
precedente.
(369) E’ proprio questo l’impianto concettuale sul quale il diritto romano fondò la categoria delle res nullius e quella delle res extra commercium, insuscettibili d’appartenere ad alcuno in ragione della peculiare destinazione (si pensi ai beni del demanio). Ed a logiche del tutto analoghe doveva rispondere, evidentemente, anche la categoria delle res communes omnium, ove furono inclusi quei beni che, appartenendo a tutti, in sostanza non appartenevano ad alcuno ma non, questa volta, per l’intrinseca loro natura, bensì per l’assenza d’un interesse del singolo a riservarne a sé il dominio o il godimento esclusivo.
A ben vedere, l’accostamento delle res nullius ai patrimoni adespoti della dottrina pandettistica tedesca evidenzia come gli aspetti più controversi in materia non concernano i profili descrittivi, bensì quelli attinenti alla titolarità che ben presto da criterio di classificazione dei beni diverrà lo statuto giuridico della responsabilità patrimoniale del debitore.
(370) Sebbene non manchino precedenti in cui è contestata sia la dissociazione tra proprietà formale e proprietà sostanziale (equitable ownership), sia la contestuale sussistenza di plurimi diritti reali a diverso contenuto, risolvendosi l’intero fenomeno in una piena attribuzione traslativa, con obbligazione dell’avente causa in favore del terzo (se non dello stesso dante causa): cfr. Trib. Velletri, 29 giugno 2005, in motivazione.
titolare per essere affidato alla gestione di un terzo (371). Parimenti, i patrimoni degli artt. 2447 bis-2447 decies c.c. hanno disatteso l’assunto per cui il patrimonio separato consti di beni (o rapporti) per legge destinati alla realizzazione d’uno scopo sì particolare, ma che necessariamente risponda, tuttavia, ad interessi estranei alla sfera soggettiva del titolare o conferente (372).
Limitare la responsabilità dell’art. 2740 c.c. altro non significa se non sottrarre uno o più beni del debitore all’azione esecutiva di un creditore ovvero d’una categoria omogenea di creditori (373). Per questo la Riforma societaria indirettamente ha corretto, in assenza di definizione legislativa (374), la classica nozione dottrinale di patrimonio (375), concepito quale complesso unitario di beni e rapporti imputati al medesimo soggetto (376), in funzione della
(371) Su questi aspetti, specie con riguardo alle dottrine germaniche, PINO, Il patrimonio
separato, Padova, 1950, p. 11 ss.
(372) FERRARA, La teoria della persona giuridica, in Riv. dir. comm., 1911, p. 676.
(373) NICOLÒ, Tutela dei diritti, in Comm. cod. civ. a cura di Scialoja e Branca, sub artt. 2740- 2899, Bologna-Roma, 1945, p. 11.
(374) Una singolare costante delle codificazioni dell’era moderna ispiratesi al Code Napoléon è l’assenza d’una formula che descriva o definisca il concetto giuridico di patrimonio. In questo senso, non fece eccezione il legislatore italiano del 1942, che non fornì alcuna nozione di patrimonio, e tanto meno di patrimonio separato, benché già ne fossero espressione gli istituti della dote, del patrimonio familiare e dell’eredità beneficiata.
Pur non fornendone alcuna espressa nozione o organica disciplina, il codice civile del 1942 fa comunque largo impiego del concetto giuridico di patrimonio. Senza alcuna pretesa di completezza, ne recano espressa menzione le norme che disciplinano le persone giuridiche del primo libro (artt. 16, 1° e 2° comma, 24, ultimo comma, 28 e 30 c.c., mentre analoga previsione era contenuta nel secondo comma dell’art. 33 c.c., relativo alla registrazione della persona giuridica nell’apposito registro, abrogato dall’art. 11, 1° comma, lett. d), del D.P.R. 10 febbraio 2000, n. 361), il regime dei beni dell’assente (art. 48 c.c.) e dello scomparso (artt. 51 e 56 c.c.), l’amministrazione dei beni del minore (art. 334 c.c.). Il medesimo concetto compare altresì nel diritto di famiglia, quanto alla comunione legale tra coniugi (art. 192 c.c.), in materia successoria, quanto alla separazione del patrimonio dell’erede da quello del defunto (artt. 490 e 514 c.c.), ed è il referente primario del rimedio revocatorio dell’art. 2901 c.c. Alla gestione di «patrimoni» mobiliari (ora, giusta l’art. 24 t.u.f., gestione di portafogli di investimento) alludeva l’art. 8 della legge 2 gennaio 1991, n. 1. In materia societaria, il concetto di patrimonio ricorre, in particolare, negli artt. 2325 e 2447 bis c.c., relativi alla responsabilità della società di capitali ed ai cespiti che la stessa dedichi a specifici affari. In termini di patrimonialità sono invece aggettivati il fondo costituito dai coniugi per soddisfare i bisogni della famiglia (art. 167 c.c.), la prestazione dedotta in obbligazione a norma dell’art. 1174 c.c. ed il rapporto giuridico che il contratto costituisce, regola ed estingue ai sensi dell’art. 1321 c.c. E’ parimenti patrimoniale anche il danno ingiusto dell’art. 2043 c.c., così da contrapporlo a quello risarcibile a norma dell’art. 2059 c.c., nonché la responsabilità dell’art. 2740 c.c.
(375) Sulla nozione di patrimonio quale «costruzione intellettuale dei giuristi» GAMBARO,
Segregazione e unità del patrimonio, in Trusts e attività fiduciarie, 2000, p. 155.
(376) Benché la divergente rappresentazione quale complesso di beni (e non già di diritti) abbia condotto a qualificarlo quale oggetto di diritto, il patrimonio è dunque contraddistinto, in tutte le definizioni dottrinarie succedutesi nel corso degli anni, dal duplice requisito della riferibilità ad un medesimo soggetto di diritto e della suscettibilità di stima economica, rappresentandone gli elementi quali valori di scambio o valori d’uso. Cfr., TRIMARCHI, voce Patrimonio (nozione), in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 273; DURANTE, voce Patrimonio, in Enc. giur., XXII, Roma, 1990, p. 1.
par condicio creditorum (art. 2741 c.c.) (377): il correttivo è nel criterio di imputazione, non più quello (soggettivo) connesso alla mera titolarità, bensì quello (oggettivo) della devoluzione di scopo, così che l’unitarietà divenga un attributo solo estrinseco al patrimonio della società.
In passato s’osservò come l’attribuzione d’una personalità giuridica al patrimonio separato non avrebbe sollevato l’interprete dalla più grave questione di riconoscerne l’effettiva titolarità di diritti e doveri (378). A questo riguardo s’osservi, ora, che la responsabilità della società è responsabilità limitata in senso proprio, quando circoscritta ai beni e rapporti descritti nella delibera costitutiva dell’art. 2447 ter, lett. b), non irresponsabilità per i debiti del patrimonio destinato allo specifico affare. Per questo, in un sistema che definisce l’imprenditore (art. 2082 c.c.) ma non anche l’impresa, può dirsi che i patrimoni destinati allo specifico affare traggano legittimazione proprio dalla riserva di legge del capoverso dell’art. 2740 c.c. (379).
(377) L’indivisibilità del patrimonio strumentale alla par condicio creditorum in dottrina è stata auspicata per «ragioni di certezza del diritto, in quanto non sarebbe chiaro o accertabile con facilità se un bene rientri o meno nel patrimonio per così dire ordinario o generale, ovvero in un patrimonio speciale; per ragioni di tutela del creditore e dei terzi, che potrebbero vedersi opporre limiti, vincoli, ostacoli, alle loro azioni esecutive per soddisfare i propri interessi; per ragioni di circolazione giuridica dei beni, in quanto i vincoli sono mal tollerati perché ostacolano il traffico giuridico e rendono frastagliato e impacciato il mercato»: così ALPA, I principi generali, nel Trattato
di diritto privato a cura di Iudica e Zatti, Milano, 1993, 286 ss.
(378) VOCINO, voce Patrimoni separati, in Dizionario pratico del diritto privato, fondato da Scialoja, V, 1, Milano, 1939, p. 232.
(379) Ed in questa prospettiva, l’unipersonalità della S.p.A. ha reso ineludibile una riflessione critica sul dogma d’alterità della società di capitali rispetto alle persone dei soci che sola oramai varrebbe, sul piano delle convenzioni semantiche, a distinguere l’autonomia dalla separazione dei patrimoni.