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L’equivalenza delle fonti dell’obbligazione nell’impignorabilità del trust fund

Il trust di common law

14. L’equivalenza delle fonti dell’obbligazione nell’impignorabilità del trust fund

L’art. 11 Conv. dispone a chiare lettere che «i creditori personali del trustee non possano sequestrare i beni del trust», soggiungendo che «i beni del trust siano separati dal patrimonio del trustee in caso di insolvenza di quest’ultimo o di sua bancarotta», senza tuttavia specificare alcunché né in merito agli effetti segregativi del trust autodichiarato, né in merito alla persistenza degli stessi nell’eventualità in cui il credito personale del trustee origini dal fatto illecito dell’art. 2043 c.c.

Se si conviene che le norme della Convenzione dell’Aja abbiano valore di diritto sostanziale uniforme, posto che «le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge» (art. 2740, 2° comma c.c.) deve allora concludersi che l’effetto segregativo del trust domestico autodichiarato produca gli effetti dell’art. 11 Conv. in quanto eccezione legislativa al principio per cui «il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri» (art. 2740, 1° comma, c.c.). D’altra parte, né l’art. 2740 c.c., né l’art. 2043 c.c. potrebbero ostare al riconoscimento del trust interno autodichiarato ed all’opponibilità erga omnes dell’effetto prodotto, non trattandosi né di norme imperative o di applicazione necessaria, né di principi d’ordine pubblico del foro (artt. 15, 16 e 18, Conv.) (543).

qualitativa che rappresenta un punto di equilibrio tra tutela del credito e interesse della collettività alla rilevanza di destinazioni qualificate del patrimonio».

(542) Sulla contrarietà all’ordine pubblico di consimile contratto, GALGANO, Diritto civile e

commerciale, II, 1, Padova, 1993, p. 288.

(543) Sulla inderogabilità dell’art. 2043 c.c., siccome norma d’ordine pubblico, quale espressione d’una «visione statalista dell’illecito civile» oramai definitivamente superata, MONATERI, La responsabilità civile, in Tratt. di dir. civ. diretto da Sacco, 3, Torino, 1998, p. 678, in nota 24, con riguardo alla possibile estensione delle clausole d’esonero dell’art. 1229 c.c. anche all’ambito extracontrattaule. Contra, PACCHIONI, Corso di diritto civile italiano, 2, IV, Padova, 1940, p. 182 ss.; CASTRONOVO, Problema e sistema nel danno da prodotti, Milano, 1979, p. 535; nonché, nella più risalente giurisprudenza, Cass. Torino, 8.6.1912, in Riv. dir. comm., 1913, II, 417, nel senso che le obbligazioni ex delicto «non possono venire in prevenzione sottoposte a limitazioni di responsabilità, perché ciò sarebbe contrario alla legge generale e all’ordine pubblico». Sulla imperatività degli artt. 2043-2059 c.c. in funzione dell’art. 1229 c.c., v. anche PONZANELLI, Le

A veder bene, l’inopponibilità dello scopo divisato dal disponente-trustee alle obbligazioni da fatto illecito è sorretta da evidenti esigenze di coerenza sistematica. Ed allora, se il fine ultimo è quello di favorire una reductio ad unum di istituti contigui, tale inopponibilità sarebbe ridimensionata proprio nelle premesse da cui muove se solo si convenisse che l’esegesi letterale dell’art. 170 c.c. potrebbe non giustificare la prevalenza della fonte involontaria sulla destinazione del patrimonio separato. Ed infatti, se per l’art. 170 c.c. «l’esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può avere luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia», ai fini d’una precettività della norma ridotta alle sole obbligazioni ex contractu la locuzione «debiti contratti» risulterebbe affatto inconferente allorché fosse riferita ad ogni specie di obbligazione, a prescindere dalla volontarietà o meno della fonte. In proposito è noto come in materia di competenza territoriale il diritto processuale civile preveda, quale foro facoltativo, quello del luogo in cui l’obbligazione è sorta (forum contractus) ovvero in cui debba essere adempiuta (forum solutionis). In questo senso, l’art. 20 c.p.c. non distingue tra le diverse fonti dell’obbligazione, tant’è che lo si applica indistintamente alle obbligazioni da contratto ed a quelle da fatto illecito, così come s’era soliti fare sotto la vigenza dell’art. 91 c.p.c. del 1865, che tuttavia adottava il criterio di collegamento del luogo in cui l’obbligazione «fu contratta» (544). Quanto alle mutazioni nel lessico legislativo, nella Relazione ministeriale al progetto definitivo del nuovo codice di diritto processuale civile si precisava che «l’espressione contrarre una obbligazione non contiene alcun accenno specifico a questa o a quella fonte di obbligazione, ma indica solamente il sorgere del vincolo nel soggetto passivo, qualunque sia la ragione per cui il vincolo sorge». Se così è potrebbe allora concludersi che l’obbligazione da fatto illecito priva di connessioni con i bisogni del nucleo familiare non possa soddisfarsi sul fondo patrimoniale, dovendosi estendere la locuzione «debito contratto» dell’art. 170 c.c. ad ogni specie d’obbligazione, a prescindere dalla volontarietà della fonte.

problema dell’astratta configurabilità d’un patto di tal fatta, ribadendosi che la responsabilità aquiliana insorge «solo tra soggetti terzi, non identificati o identificabili: i quali, quindi, si trovano nella completa impossibilità di prevedere una pattizia esclusione, o limitazione, delle conseguenze risarcitorie di un fatto illecito».

(544) CHIOVENDA, Principii, Napoli, 1923, § 30, p. 544: «il nome tradizionale di forum

contractus designa oggi un istituto più comprensivo dell’antico: perché esso abbraccia ogni azione

relativa ad una obbligazione, comunque sorta, non solo ex contractu. Questa almeno è l’opinione dominante nei più recenti interpreti e nelle più recenti sentenze, cioè che rientrino qui anche le obbligazioni non contrattuali, e in particolare quelle nascenti da delitto o quasi delitto. Il nostro art. 91 comprende dunque tanto il forum contractus, quanto il forum commissi delicti».

Orbene, se agli effetti dell’art. 170 c.c. a nulla varrà distinguere tra fonte volontaria ed involontaria dell’obbligazione (art. 1173 c.c.), l’opponibilità del vincolo di scopo alle sole obbligazioni da contratto assunte nella realizzazione dello specifico affare (art. 2447

quinquies, 3° comma) potrebbe allora prefigurare una limitazione di ius singulare, come tale

insuscettibile d’applicazione analogica (art. 14 disp. prel.) alle altre fattispecie di patrimoni separati. Se così fosse, le affinità strutturali e funzionali tra fondo patrimoniale e trust interno autodichiarato legittimerebbero la peculiare allocazione del rischio d’insolvenza del patrimonio personale del trustee-disponente, che dovrebbe gravare, dunque, sul credito da fatto illecito in alcun modo connesso al vincolo di scopo impresso sul fondo fiduciario.

CAPITOLO III

Sezione III

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