Il patrimonio destinato allo specifico affare nella legge fallimentare S OMMARIO : 1 I patrimoni destinati nella riforma fallimentare 2 L’insolvenza del
4. La separazione patrimoniale perfetta nelle more fallimentar
Ai creditori separati che nelle more del fallimento della società non fossero stati integralmente soddisfatti dalla liquidazione del patrimonio destinato allo specifico affare non è consentito d’insinuarsi al passivo, con conseguente esdebitazione della società per le obbligazioni residue. Lo si deduce dal regime d’eccezione del capoverso dell’art. 156 l. fall. che, coerentemente al principio per cui «per le obbligazioni contratte in relazione allo specifico affare la società risponde nei limiti del patrimonio ad esso destinato» (art. 2447
quinquies, 3° comma, c.c.) (162), circoscrive l’ulteriore concorso dei creditori separati sul patrimonio sociale relitto ai soli casi, d’eccezione, di responsabilità solidale (e sussidiaria) dell’art. 2447 quinquies, commi 3° e 4°, c.c. (163).
Qui trova la massima espressione il principio per cui altro dalle cause di prelazione, che si limitano a derogarvi, sono i patrimoni destinati allo specifico affare che di contro elidono la par condicio creditorum (v. infra): sulla falsariga del disposto dell’art. 2911 c.c., quando li si fosse semplicemente intesi quali creditori privilegiati i creditori particolari non soddisfatti dalla liquidazione del patrimonio separato ben avrebbero potuto soddisfarsi anche sul restante patrimonio della società debitrice; ed è per questa ragione che, almeno astrattamente, potrebbe ipotizzarsi la validità della fideiussione prestata dalla società in
denaro relativi al servizio loro prestato, siccome iscritti in apposita e separata sezione dello stato passivo (art. 57, d. lgs. 24 febbraio 1998, n. 58).
(160) D’altra parte assimilabile, come preannunciato (supra, § 3), al fallimento d’un patrimonio non personificato.
(161) Predisposto, a seconda dei casi, dalla curatela ovvero dai liquidatori della società in
bonis.
(162) Il che, come si vedrà più oltre nel testo, diversamente da quanto previsto dal 6° comma dell’art. 2447 decies c.c. per i finanziamenti destinati allo specifico affare, dove con lo scioglimento del contratto di finanziamento cessa (ma questa volta hic et nunc, così determinando la diversa disciplina) l’effetto segregativo dell’art. 2447 bis, 1° comma, lett. b), c.c., con conseguente insinuazione al passivo del credito residuo del mutuante.
(163) Dopo averlo osservato al § che precede, qui giova ribadire che le fattispecie dell’art. 2447 quinquies, 3° e 4° comma, c.c. sono le uniche in cui (almeno in astratto) è ammessa una propagazione dell’insolvenza del patrimonio destinato al patrimonio della società.
favore del patrimonio destinato allo specifico affare, atteso che la prima (di regola) non è tenuta al pagamento dei debiti gravanti sul secondo (164).
Quella dei patrimoni destinati della riforma societaria è, dunque, una separazione bilaterale e perfetta, diversa da quella unidirezionale (ed imperfetta) che di contro investirebbe i creditori del fondo patrimoniale i quali, in caso di incapienza del patrimonio separato, potrebbero soddisfarsi, sebbene in via solo sussidiaria, anche sui beni personali dei coniugi, analogamente a quel che avviene, ma in via d’eccezione, nelle ipotesi del fatto illecito o dell’atto che non rechi espressa menzione della destinazione allo specifico affare (art. 2447 quinquies, commi 3° e 4°) (165). In senso contrario, e dunque in favore d’una separazione perfetta anche nella convenzione matrimoniale, potrebbe deporre non tanto la circostanza che l’art. 168 c.c. rinvii alle norme sull’amministrazione della comunione legale (art. 180 ss. c.c.) ma non anche all’art. 190 c.c., quanto l’obiezione per la quale la comunione legale tecnicamente non è un patrimonio di destinazione, poiché i beni che la compongono rispondono d’ogni obbligazione contratta dai coniugi congiuntamente (art. 186, lett. d), c.c.), e ciò quand’anche il debito non fosse connesso ad alcun bisogno della famiglia (166), nella
(164) Quella fideiussione dovrà reputarsi invece nulla nelle ipotesi dell’art. 2447 quinquies, commi 3° e 4°, c.c., sulla scorta di quella giurisprudenza che ha giudicato tale, per mancanza di causa (art. 1325, n. 2, c.c.), la fideiussione prestata da un socio illimitatamente responsabile in favore della sua società, essendo il patrimonio del socio già destinato ex lege al pagamento dei debiti garantiti (Trib. Padova, 27 febbraio 2002, in Giur. merito, 2002, 985).
E d’altra parte, è proprio muovendo da questi presupposti che l’art. 2447 decies, 2° comma, let. g), c.c. ha preveduto che nel contratto di finanziamento destinato allo specifico affare possano accludersi le garanzie che la società presti per il rimborso di parte del finanziamento.
Di contro, la prestazione di garanzie da parte del patrimonio destinato in favore della società non sarebbe consentita nella misura in cui distragga i beni separati dallo specifico scopo dell’art. 2447 bis c.c., avvertendo, in ogni caso, che altro dall’invalidità è l’inefficacia dell’atto in frode ai creditori.
(165) Quando ci si conformasse al brocardo per cui il legislatore ubi voluit dixit et ubi noluit
tacuit, la testuale mancanza d’una norma che, analogamente a quella dell’art. 2447 quinquies, 2°
comma, c.c., stabilisca che delle obbligazioni contratte per soddisfare i bisogni della famiglia i coniugi rispondano nei limiti del patrimonio a ciò destinato confermerebbe la conclusione già esposta
supra nel testo.
(166) Sul tema OPPO, Responsabilità patrimoniale e nuovo diritto di famiglia, in Riv. dir. civ., 1976, 113 ss., che nella comunione legale, giusta la mera sussidiarietà della responsabilità (pro
quota) e la sola postergazione del creditore personale, non rinviene un vincolo di destinazione
analogo a quello dell’art. 170 c.c.; nonché BIANCA, Diritto civile, 2, Milano, 2001, p. 136, dove si legge che «conformemente alle regole della comunione i beni del fondo rispondono solo in via sussidiaria per le obbligazioni personali di uno dei coniugi o derivanti da atti di straordinaria amministrazione senza il necessario consenso dell’altro coniuge. I beni possono cioè essere aggrediti solo in quanto non siano risultati sufficienti i beni personali dell’obbligato e comunque solo nei limiti della sua quota».
Sugli argomenti che potrebbero peraltro addursi a supporto della configurabilità d’una segregazione perfetta, concepita per soddisfare un più limitato ceto creditorio, non anche per garantire un diritto di prelazione che, in caso di incapienza del fondo patrimoniale, consenta il
pur lata accezione giurisprudenziale (167). Ad ogni modo, seppur privo dell’effetto segregativo perfetto dell’art. 2447 bis c.c., anche il vincolo di destinazione dell’art. 167 c.c. comunque elide la par condicio creditorum, (almeno) con riguardo alla impignorabilità per i debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia (art. 170 c.c.) (168).