Profili civilistici dei patrimoni separat
5. L’indistinta categoria dei patrimoni destinat
Nonostante gli studi condotti negli ultimi anni, il patrimonio separato ancora non è assurto al rango, che pure meriterebbe, di categoria generale del nostro diritto positivo (251). Né il codice civile, né la legislazione speciale di settore, e segnatamente quella in materia di intermediazione finanziaria e cartolarizzazione dei crediti, ne hanno offerto una primitiva nozione o sommaria descrizione, talché permanga equivoco l’impiego di espressioni che, almeno prima facie, varrebbero a descrivere fattispecie affini.
La riforma societaria ha coniato l’inedita espressione di «patrimoni destinati ad uno specifico affare» (artt. 2447 bis ss. c.c.) che s’aggiunge a quelle, preesistenti, di patrimoni «separati», «autonomi», «di scopo» o «segregati» (252), mentre il legislatore del 1993, nel disciplinare i fondi pensione, per descrivere la consimile fattispecie impiegò, tra l’altro con norma di lì a poco abrogata, l’onnicomprensiva (e discutibile) locuzione di «patrimonio di destinazione, separato ed autonomo» (253), quasi che tra le diverse espressioni intercedesse un nesso di sinonimia sostanziale.
La sintesi della duplice caratterizzazione fisionomica del patrimonio separato è nell’assunto per cui «la separazione di un nucleo di beni (e la sua elevazione ad unità oggettiva) dal compendio che costituisce il patrimonio di un dato soggetto, non ha luogo, infatti, se non per una determinata finalità, ammessa dalla legge e nei limiti di essa» (MESSINEO, La natura giuridica della comunione
coniugale dei beni, Roma, 1919, p. 134); la conferma, poi, che occorresse «uno scopo lecito,
riconosciuto, verso l’appagamento del quale tendono i beni separati» (MESSINEO, op. ult. cit., p. 134) è nell’ultima giurisprudenza sulla validità del trust interno (v. nfra) e sarà, probabilmente, nei precedenti che verranno sull’applicazione dell’art. 2645 ter c.c.
(248) Il riferimento è, ovviamente, alla destinazione atipica dell’art. 2645 ter c.c.
(249) Sulla correlazione del patrimonio separato con norme di diritto positivo che rendano lo scopo opponibile, oltre che al terzo, allo stesso titolare-disponente, DURANTE, voce Patrimonio, in
Enc. giur., XII, Roma, 1990, p. 3.
(250) Quanto alla legittimazione dell’azione esecutiva dovrà aversi riguardo, ovviamente, al titolo dell’obbligazione inadempiuta, che dev’essere connesso allo scopo di destinazione.
(251) Per una compiuta disamina del graduale processo evolutivo del concetto di separazione patrimoniale, M. BIANCA, Vincoli di destinazione e patrimoni separati, Padova, 1996, p. 97 ss.; ZOPPINI, Autonomia e separazione del patrimonio nella prospettiva dei patrimoni separati della
società per azioni, in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 545; nonché SPADA, Persona giuridica e articolazioni
del patrimonio. Spunti legislativi recenti per un antico dibattito, ivi, 2002, I, p. 837.
(252) Sui distinti concetti di separazione, autonomia e segregazione patrimoniale, LUPOI,
Trusts, Milano, 2001, p. 565 ss.
(253) Così al secondo comma dell’art. 4 del D. lgs. 21 aprile 1993, n. 124, abrogato dall’art. 5 della Legge 8 agosto 1995, n. 335: «Fondi pensione possono essere costituiti altresì nell’ambito del
Quel che accomuna la separazione patrimoniale all’autonomia (patrimoniale) perfetta, nata con la società anonima nella quale la responsabilità degli azionisti fu limitata alla sola quota di partecipazione, è la teorica ottocentesca dello Zweckvermögen che concepì la scissione di beni o rapporti da uno o più patrimoni unitari, dalla quale originasse un nuovo complesso, parimenti unitario, in ragione d’uno scopo che ne mutasse le sorti giuridiche, specie sul fronte della responsabilità dell’art. 2740 c.c.
Se si conviene che ne costituiscano attributi fisionomici l’indistrabilità ed impignorabilità strumentali al vincolo di scopo, possono allora indistintamente classificarsi quali patrimoni destinati: le oblazioni raccolte dai comitati (art. 40 c.c.); il fondo patrimoniale del diritto di famiglia (art. 167 c.c.); l’eredità giacente (art. 528 c.c.) e quella accettata con beneficio d’inventario (art. 484 c.c.); l’usufrutto legale dei genitori esercenti la potestà sui figli minori (art. 324 c.c.); il fondo speciale per la previdenza e l’assistenza (art. 2117 c.c.) (254); i beni del fallito assoggettati alla procedura concorsuale; il patrimonio delle
patrimonio di una singola società o di un singolo ente pubblico anche economico attraverso la formazione con apposita deliberazione di un patrimonio di destinazione, separato ed autonomo, nell’ambito del patrimonio della medesima società od ente, con gli effetti di cui all’art. 2117 c.c.».
(254) Nel novero dei patrimoni separati possono certamente includersi anche i fondi speciali per la previdenza e l’assistenza che, a norma dell’art. 2117 c.c.: 1) sono costituiti dall’imprenditore anche senza la contribuzione dei prestatori di lavoro; 2) non possono essere distratti dal fine al quale sono destinati; 3) non possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell’imprenditore o del prestatore di lavoro (MESSINEO, Manuale di diritto civile e commerciale, I, Milano, 1957, p. 386; BIONDI, I beni, in Trattato di diritto civile italiano diretto da Vassalli, IV, Torino, 1956, p. 122; RASCIO, Destinazioni di beni senza personalità giuridica, Napoli, 1971, p. 161 e ss.; VOLPE
PUTZOLU-CAVALIERI, Iscrizione in bilancio dei fondi di quiescenza del personale, in Giur. comm., 1986, I, p. 425 ss.; SANTONI, Fondi speciali di previdenza, in Enc. giur. Treccani, XIV, Roma, 1989, p. 4; PONZANELLI, I fondi pensione nell’esperienza nordamericana e in quella italiana, in Riv. dir.
civ., 1988, II, p. 109 ss.
La materia era in precedenza regolata dall’art. 15 del d.l. 9 febbraio 1919, n. 112 e dall’art. 19 d.l. 19 novembre 1924, n. 1825: prima del 1919, se si eccettuano i profili amministrativi e contabili, non v’era alcuna separazione tra i fondi di previdenza ed il restante patrimonio aziendale, talché in caso di fallimento i dipendenti dell’azienda sarebbero solo intervenuti nella procedura concorsuale, quali creditori chirografari. E’ la legislazione speciale del 1919 e del 1924 che, giusta la
separatio bonorum, introduce l’opponibilità del vincolo di destinazione dei fondi previdenziali alla
curatela fallimentare, mentre se ne deve all’art. 2117 c.c. l’impignorabilità da parte dei creditori personali dell’imprenditore e dei suoi dipendenti, così da renderne ancor più manifesta la separazione giuridica dal patrimonio aziendale (Cass., sez. un., 14 novembre 1975, n. 3850, in Foro it., 1976, I, c. 681).
Come s’è visto, la caratteristica fisionomica del patrimonio sociale destinato allo specifico affare è l’assenza d’alterità soggettiva che lo rende, quale patrimonio separato, alternativo alla costituzione d’una società ad hoc. I fondi previdenziali hanno per contro subito una progressiva soggettivazione: il vincolo di destinazione è assurto non già a criterio di imputazione d’una distinta responsabilità, elevandosi piuttosto ad autonomo centro di imputazione di beni e rapporti giuridici, prefigurando una associazione non riconosciuta di mutua assicurazione. Decisivi, a questo proposito, il carattere associativo dell’istituto, la formazione d’un patrimonio dotato d’autonomia in ragione dello scopo cui è destinato e la predisposizione d’una organizzazione comune (ROMAGNOLI, Natura
società di capitali ed il patrimonio destinato dalla S.p.A. ad uno specifico affare (art. 2447
bis c.c.); le fondazioni (art. 16 c.c.) nonché le dotazioni degli enti privi di personalità
giuridica, come il fondo comune delle associazioni non riconosciute (art. 37 c.c.).
Benché non esaustiva, quest’elencazione dimostra, all’evidenza, come non ad ogni patrimonio destinato corrisponda una duplicazione delle soggettività giuridiche, mentre è plausibile una distinzione convenzionale tra separazione ed autonomia patrimoniale eretta sull’assenza d’un simulacro di soggettività propria della massa separata.
Per vero, posta l’analoga natura giuridica, il discrimen tra le multiformi fattispecie è stato in prevalenza individuato nella unititolarità del patrimonio separato giustapposta alla plurititolarità del patrimonio autonomo (255), talché l’autonomia altro non sottintendesse, in
ha ritenuto che i fondi costituiti a mente dell’art. 2117 c.c., «ove non abbiano ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica, sono assoggettati alla disciplina comune dettata per le associazioni non riconosciute; sono quindi soggetti giuridici, ancorché privi di personalità, che costituiscono centri di imputazione di rapporti giuridici con altri soggetti dell’ordinamento, compreso tra essi il datore di lavoro che assume l’obbligo di contribuzione» (Cass., 12 marzo 2002, n. 3630, in
Giust. civ. Mass., 2002, p. 453; Cass., 10 aprile 2001, n. 5362, ivi, 2001, p. 761; Cass., 23 agosto
2000, n. 11015, ivi, 2000, p. 1821), e ciò quantunque la legge istitutiva dei fondi pensione avesse distinto tra fondi costituiti in forma d’associazione, anche non riconosciuta, e fondi costituiti proprio sulla falsariga dell’art. 2117 c.c. (art. 4, commi 1 e 2, d. lgs. 21 aprile 1993, n. 124).
Specie quando alla costituzione del fondo partecipino anche i contributi dei lavoratori dipendenti, dovrebbe perciò applicarsi l’art. 37 c.c. che, con riguardo al fondo comune, esclude il diritto dei singoli associati di chiederne la divisione e di pretenderne la quota in caso di recesso (SANTONI, Fondi speciali di previdenza, cit., p. 3).
Talora s’è peraltro contestata la sussunzione del fondo previdenziale nello schema legale dell’associazione, argomentando che si tratterebbe, invero, d’una forma associativa ibrida, partecipe delle caratteristiche del modello societario, se si ha riguardo alle finalità economiche dei partecipanti, e di quelle proprie delle fondazioni, con riguardo alla peculiarità del vincolo di destinazione (GALGANO, Diritto civile e commerciale, I, Padova, 1993, p. 252, in nota 83). Talaltra s’è invece concluso che il fondo previdenziale, quale patrimonio destinato privo di personalità giuridica, prefiguri una alternativa alla fondazione di fatto in cui lo scopo è diversamente perseguito tramite un patrimonio altrui (SANTONI, Fondi speciali di previdenza, cit., p. 4).
L’art. 2117 c.c. espressamente esclude che i fondi speciali per la previdenza e l’assistenza possano formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori particolari dell’imprenditore o del prestatore di lavoro, ma non statuisce alcunché sulla responsabilità sussidiaria del restante patrimonio aziendale, in caso di incapienza del fondo medesimo. Nell’eventualità d’un concorso tra terzi creditori ed iscritti, non vi sarà alcuna par condicio creditorum, visti i privilegi degli artt. 2777 e 2778 c.c. Vi sarebbe, invece, pari trattamento con i creditori particolari dell’imprenditore, ove s’escludesse una separazione patrimoniale perfetta, così da ammettere che i creditori del fondo previdenziale incapiente possano rivalersi, diversamente dai creditori dello specifico affare dell’art. 2447 bis c.c., sull’intero patrimonio aziendale (DONADIO, I patrimoni separati, Città di castello, 1941, p. 135).
(255) Questo, almeno, secondo il tradizionale insegnamento: DURANTE, voce Patrimonio (dir.
civ.), in Enc. giur., XXII, Roma, 1990, p. 2; BIGLIAZZI GERI, voce Patrimonio autonomo e separato, in Enc. dir., XXXII, Milano, 1982, p. 281; PINO, Il patrimonio separato, Padova, 1950, p. 2; nonché SANTORO-PASSARELLI, Istituzioni di diritto civile, I, Napoli, 1945, 54: «in relazione ad una determinata destinazione specifica una pluralità di rapporti attivi e passivi facenti capo a più persone (patrimonio autonomo) o ad una persona (patrimonio separato) è costituita in unità e tenuta distinta dagli altri rapporti attivi e passivi delle stesse persone o della stessa persona». In senso conforme
definitiva, se non la somma d’una pluralità di patrimoni separati (256). Adottando quel criterio distintivo, sarebbero perciò stati patrimoni autonomi i fondi pensione, i portafogli di investimento gestiti dagli intermediari finanziari, il fondo dell’associazione non riconosciuta ed il patrimonio della società personale; sarebbero stati patrimoni separati, invece, l’eredità accettata con beneficio d’inventario (257), l’eredità giacente, l’eredità devoluta allo Stato e, per la giurisprudenza, anche l’eredità sub condicione (258), al pari del patrimonio del fallito (259), del patrimonio del nascituro e del fondo patrimoniale.
Le origini di quella classificazione risiedono nella imputabilità del patrimonio (e dei correlativi rapporti) alla collettività organizzata, dunque nella aggregazione dei singoli
anche la manualistica più recente: cfr., tra gli altri, ZATTI e COLUSSI, Lineamenti di diritto privato, Padova, 2003, p. 354.
(256) PINO, Il patrimonio separato, Padova, 1950, p. 6; DURANTE, voce Patrimonio (dir. civ.), in Enc. giur., XXII, Roma, 1990, p. 5, dove il patrimonio autonomo è appunto descritto come species del patrimonio separato.
(257) L’eredità accettata con beneficio d’inventario é storicamente inclusa tra i patrimoni separati in quanto destinata, sino all’intera sua capienza, alla soddisfazione d’un ceto creditorio particolare (MESSINEO, La natura giuridica della comunione coniugale dei beni, Roma, 1919, p. 136, ove anche la dote era inclusa nella stessa categoria di genere, siccome destinata a sostenere gli oneri del matrimonio, quindi a soddisfare altra classe creditoria particolare).
L’eredotà beneficiata fu esaustivamente definita quale «massa distinta che si amministra separatamente, ed in cui si localizzano e possono soddisfarsi le pretese dei creditori ereditari e legatari, compreso lo stesso erede beneficiato, e che è destinato anzi al loro soddisfacimento» (FERRARA sr., Teoria delle persone giuridiche, Torino, 1923, p. 166).
A rigore, l’accettazione beneficiata non limiterebbe il debito dell’erede, prefigurandone piuttosto una responsabilità limitata (contra GIORGIANNI, L’obbligazione, I, Milano, 1968, p. 175) agli effetti del capoverso dell’art. 2740 c.c. L’art. 490 c.c. va letto, infatti, in combinato disposto con l’art. 497 c.c.: non solo l’erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti (ciò che potrebbe anche prefigurare una limitazione del debito, sulla falsariga di quanto previsto dal capoverso dell’art. 586 c.c. per la successione legittima dello Stato), ma nemmeno può essere costretto al pagamento con i propri beni, salvo la diffida, cui non fosse dato alcun seguito, alla presentazione del conto.
A nulla varrebbe, invece, l’accettazione pura e semplice dell’eredità quando il patrimonio del
de cuius comprendesse beni che lo stesso avesse a sua volta accettato con beneficio di inventario:
l’erede subentra nei rapporti attivi e passivi del de cuius con gli stessi poteri e con gli stessi limiti o vincoli di quest’ultimo (Cass., 5 ottobre 1993, n. 9842, in Giust. civ., 1994, I, p. 714; ivi, 1994, I, p. 1305, con nota di MORENA: «Poiché l’erede subentra nei rapporti attivi e passivi del de cuius con gli stessi poteri e con gli stessi limiti o vincoli di quest’ultimo, nel caso in cui nel patrimonio del de
cuius vi siano beni di una eredità da questo accettata con beneficio di inventario, il regime giuridico
al quale questi beni sono stati assoggettati (art. 490 e ss. c.c.) in seguito a questa accettazione non cessa a causa della successiva delazione neppure quando la relativa eredità sia stata accettata puramente e semplicemente»).
(258) Cass., 28 gennaio 1983, n. 808, in Giust. civ. Mass., 1983, p. 261: «L’eredità condizionata non è una persona giuridica, ma un patrimonio separato sino a che la disposizione non prenda efficacia a seguito dell’avverarsi della condizione, con la conseguenza che l’ammoinistratore di detta eredità non assume la veste di rappresentante di un altro soggetto, ma è titolare del solo potere di gestire e conservare quel patrimonio separato».
(259) In senso difforme, con riguardo ai patrimoni in liquidazione, MESSINEO, Manuale di
cespiti derivata dalla devoluzione allo scopo comune. Sennonché, il criterio impiegato, al pari di quello obiettivo del regime di responsabilità [laddove all’autonomia sarebbe corrisposta una segregazione perfetta (260), mentre la separazione sarebbe equivalsa ad una sorta d’impignorabilità relativa (261)], sembra aver smarrito quella capacità distintiva: il patrimonio destinato allo specifico affare potrebbe indifferentemente assumere i connotati del patrimonio separato, (elevandosi a struttura di coordinamento di comparti endosocietari) quando composto delle risorse d’una sola impresa, ed al contempo del patrimonio autonomo (trattandosi di segregazione biunivoca), salvo che la delibera costitutiva non disponga altrimenti (art. 2447 quinquies, comma 3); di contro dovrebbe trattarsi di patrimonio autonomo, quando composto da risorse d’una pluralità coordinata di imprese (262), che in tal modo parteciperebbero ad una sorta di joint venture per la realizzazione del comune specifico affare (263), pur potendo prefigurare un patrimonio separato (a fronte della specializzazione imperfetta), quanto meno con riguardo alle obbligazioni ex delicto (sottoposte, per legge, alla responsabilità illimitata della società debitrice).
L’ubi consistam dei patrimoni separati è, dunque, nella diversificazione del regime di circolazione e di responsabilità dei singoli beni attuata a soggettività invariata (264). Il maggior loro impiego è l’impulso, in particolare con riguardo agli artt. 2447 bis e 2645 ter c.c., all’ineludibile riforma del Libro I del codice civile: il fatto che la dichiarazione unilaterale di volontà possa destinare un complesso di beni o rapporti ad uno specifico scopo (o affare) senza che l’efficacia reale del vincolo di destinazione apposto imponga il diaframma dell’attribuzione ad altro soggetto di diritto (265), renderebbe oramai plausibile la codificazione della fondazione non riconosciuta (266).
(260) Talché ciascuna classe creditoria, distinta in ragione della causa del debito, avrebbe potuto soddisfarsi solo sulla massa di pertinenza, con esclusione d’una solidarietà passiva, anche in via solo sussidiaria, d’altra massa separata.
(261) Non dissimile da quella concernente i beni del fondo patrimoniale, ove si ritenesse che il creditore col quale il coniuge avesse contrattato per soddisfare un bisogno familiare possa soddisfarsi anche sul restante patrimonio dei debitori, nell’incapienza del fondo destinato ex art. 167 c.c.
(262) Lo stesso varrebbe anche per il fondo patrimoniale, da qualificarsi come patrimonio autonomo, e non separato, quando composto da beni parafernali d’entrambi i coniugi.
(263) Quanto alla separazione patrimoniale quale struttura di coordinamento tra imprese autonome e distinte: v. IAMICELI, Unità e separazione dei patrimoni, Padova, 2003, p. 258.
(264) LA PORTA, Destinazione di beni allo scopo e causa negoziale, Napoli, 1994, p. 6, dove il patrimonio separato è risolto nell’ambito d’una sola sfera giuridico-soggettiva, per la mancanza d’un soggetto esterno cui imputare la massa separata.
(265) Specie pesona fisica o ente personificato.
(266) Sulla fondazione non riconosciuta, altrimenti detta fiduciaria, ove i beni venivano trasferiti in proprietà degli amministratori, con un vincolo reale di destinazione allo scopo opponibile ai loro eredi, GALGANO, Diritto civile e commerciale, I, Padova, 1993, p. 273; DE GIORGI, Le